Stefano Montanari sul podio al Dal Verme: concerto per flauto e arpa di Mozart
Solisti il flautista Andrea Manco e l’arpista Claudia Lucia Lamanna. In programma anche pagine di Haydn e Mendelssohn-Bartholdy
È il raro Concerto per flauto e arpa in Do maggiore K299 di Wolfgang Amadeus Mozart a svelare due diversi “strumenti dell’anima” così come sottolinea il tema della 79a Stagione di concerti dei Pomeriggi Musicali, al Teatro Dal Verme, giovedì 22 (ore 10 e ore 20) e sabato 24 febbraio (ore 17) con Stefano Montanari sul podio, solisti il flautista Andrea Manco e l’arpista Claudia Lucia Lamanna.
Stefano Montanari, tra i direttori più amati dai Pomeriggi Musicali, proporrà in apertura l’ouverture dall’opera di Franz Joseph Haydn L’isola disabitata Hob 28/9 e la Sinfonia n. 4 in La maggiore op. 90 “Italiana” di Felix Mendelssohn-Bartholdy.
«Le pagine in programma – spiega Raffaele Mellace nelle note per il programma di sala – hanno, in diversa misura, a che vedere con il tema del viaggio: scritte in viaggio o immaginando luoghi remoti. Quella in cui l’immaginazione prevale sulla realtà è l’ouverture che Franz Joseph Haydn concepì per L’isola disabitata, azione teatrale scritta da Pietro Metastasio […] Il compositore vi percorre nuovamente, e forse per l’ultima occasione – complice probabilmente la vicenda dell’opera che si apre con la protagonista che si protesta abbandonata sull’Isola disabitata, quasi una novella Arianna –, la via di un’espressività violenta, lacerata, drammatica, una scrittura che sembra scandagliare con singolare potenza introspettiva un mondo interiore posseduto da una cupa frenesia, dalla vicinanza di sentire con il movimento letterario tedesco dello Sturm und Drang che coinvolse negli stessi anni autori come Goethe. […] Un luogo altro, ma ben reale, ispirò a Mozart la composizione del Concerto per flauto e arpa: la Parigi del 1778, dove il compositore ricevette la commissione d’un tale lavoro da parte di Adrien-Louis de Bonnières, conte di Guines, flautista dilettante, intenzionato ad eseguirlo con la figlia Marie-Louise-Philippine, arpista […]. Leggerezza, trasparenza, mancanza di peso sembrerebbero ispirare il compositore ventiduenne nel materializzare, lungo i tre tempi, l’intreccio di due strumenti complementari ma eterogenei – che «spaziano svolazzando nei loro giochi come preziosi uccelli esotici di un arazzo Gobelin», ha scritto Giovanni Carli Ballola –, quali non si trovano altrove nel suo catalogo. […] Per Mendelssohn viaggiare, incontrare civiltà e paesaggi lontani rappresentava l’occasione per tradurre in suoni la risonanza di quelle esperienze in un animo colto, sensibile, ricettivo. A Roma Mendelssohn compose buona parte della Sinfonia “Italiana” nel lungo soggiorno del 1830/31, per completarla a Berlino nel 1832/33 per onorare una prestigiosa commissione della Philharmonic Society di Londra. La Sinfonia rappresenta programmaticamente, specie nei tempi estremi, l’evocazione di quella «più grande gioia di vivere» che per l’amburghese aveva costituito l’esperienza folgorante del nostro Paese, sulle orme del Viaggio italiano di Goethe, amico personale del compositore».