67a Stagione Sinfonica Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 26 aprile 2012
Ore: 21:00

Pëtr Il’ič Čajkovskij, Concerto per violino in Re Magg op. 35
Antonin Dvořák,  Sinfonia n° 7 in re min op. 70

Biglietteria

67a Stagione

Abbonamenti
Interi: da € 252,00 a € 157,50
Ridotti: da € 189,00 a € 115,50

Biglietti
Interi: da € 19,00 a € 10,00
Ridotti: da € 15,00 a € 8,50

Il Cast

Direttore:  Giancarlo De Lorenzo
Violino:  Vadim Brodsky
Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza

Note di sala

Nell’anno 1878, Pyotr Il’ic Tchaikovsky era in fuga. In un momento importante della propria carriera, in procinto di completare l’Evgenij Onegin e la Quarta Sinfonia, il compositore si era lasciato alle spalle la Russia, percorrendo l’Europa in cerca di nuove opportunità, ma soprattutto per eludere le ombre che incombevano sulla sua personalità fragile, ombre d’un matrimonio fallito ed un tentativo di suicidio. Si allontanò dalla patria, spesso accompagnato dal fratello Anatolij, prostrato dal legame con Antonina Miljukova, musicista fallita ed esaltata dalla quale non ebbe mai la forza di separarsi formalmente. Tchaikovsy non la amava, e fu forse per dissimulare la sua attrazione per persone del suo stesso sesso che il compositore acconsentì al matrimonio. La fragilità di nervi e la tendenza a crisi depressive dei due portò presto la situazione sull’orlo del disastro, portando Tchaikovsky, nel 1877, a cercare l’oblio nelle gelide acque della Moscova. L’anno dopo, la pensione svizzera di Villa Richelieu, a Clarens, offrì al musicista una più lieta forma d’oblio. Il passato lo tormentava ancora, e vicini erano i ricordi che lo avevano indotto a scrivere: «Non rimane in me nemmeno una briciola di giovinezza. La mia vita è diventata terribilmente vuota, grigia e squallida». Eppure, il ritiro montano lo allietò al punto da permettergli di portare a termine le grandi composizioni a cui si stava dedicando, e di portarne a termine una nuova, abbozzata in soli undici giorni e poi orchestrata in due settimane: il Concerto per violino e orchestra. L’occasione per tale creazione venne da una visita a Clarens di un violinista già allievo di composizione di Tchaikovsky, Yosif Kotek. Durante l’alacre elaborazione del Concerto, vi fu persino il tempo di scartare un movimento lento che Kotek ed un altro fratello del compositore, Modest, trovarono poco efficace: venne riutilizzato poi nella raccolta Souvenir d’un lieu cher op. 42, nella versione per violino e pianoforte. La dedica del lavoro, tuttavia, non fu indirizzata a Kotek, forse ancora una volta per sviare dicerie riguardanti un legame che forse trascendeva l’amicizia. Tchaikovsky pensò invece a Leopold Auer, noto virtuoso del violino che tuttavia non fu molto generoso con il Concerto. Creando un curioso parallelo con il primo Concerto per pianoforte e orchestra del compositore, stroncato duramente in precedenza da Nikolaj Rubinstein, Auer giudicò l’opera “ineseguibile”. Più tardi avrebbe mitigato la sua severità, diventando uno dei più assidui frequentatori di questa pagina tchaikovskiana, portata invece alla première da un altro violinista: Adolf Brodsky, antenato di Vadim Brodsky, esecutore questa sera del Concerto con l’Orchestra del Teatro Olimpico. Anche il pubblico che ascoltò per la prima volta il Concerto, la sera del 4 dicembre 1881, non capì subito i suoi pregi, anche a causa di un’esecuzione non impeccabile per uno scarso numero di prove. Il critico Eduard Hanslick ebbe parole molto dure per la composizione, pur concludendo con una nota positiva: «Il Concerto ha belle proporzioni, è musicale, e non è privo di genio».

È difficile definire cosa sia uno stile in parole semplici, cercando di trasmetterne il contenuto con pochi ma essenziali concetti. Pur sapendo di peccare di eccessiva sinteticità, è comunque possibile, prudentemente, riassumere il linguaggio di Tchaikovsky in una successione di tre tratti fondamentali. Innanzitutto, la reinvenzione della forma classica, costruita con rispetto, attraverso l’esposizione e lo sviluppo dei temi, ma al tempo stesso trasformata con fantasia; poi l’amore per la voce umana, testimoniato dall’utilizzo di melodie cantabili o addirittura provenienti esplicitamente da canzoni popolari o romanze operistiche; ed infine la radice russa, e dunque l’omaggio al linguaggio sonoro della sua patria, non esibito con evidenza, ma sempre fondamentalmente presente.

Il Concerto per violino e orchestra presenta in maniera chiarissima questi tre elementi. Si potrebbe anzi persino sostenere che, simbolicamente, ciascuno dei tre movimenti della composizione costituisce un approfondimento monografico su uno di tali capisaldi stilistici.

Il primo movimento, Allegro moderato, è in effetti una rivisitazione libera della forma sonata, ossia di una delle impalcature fondamentali del pensiero musicale proveniente dal classicismo viennese maturo. Sin dall’esordio è possibile intuire la qualità dell’inventiva tchaikovskiana: la canonica successione di due temi, nell’esposizione, è preceduta da un poco esteso motto musicale, destinato a non essere più riutilizzato successivamente. L’invenzione ricorda ciò che accadeva, in modo molto più esteso ed appariscente, all’inizio del precedente Concerto per pianoforte e orchestra n. 1, che raccolse alla pari del Concerto per violino critiche aspre proprio per via della sua apparente spregiudicatezza costruttiva. Eppure, la forma della sonata appare poi evidente, nella successione dei due temi, nel loro sviluppo e nella loro ripresa conclusiva. È tuttavia nuovamente spiazzante, secondo una visione rigorosa degli equilibri classici, la presenza di una cadenza (ossia di un passo significativo affidato al violino solo) non in chiusura di movimento, ma alla fine dello sviluppo, poco prima della ripresa.

Il secondo movimento tradisce sin dal titolo la presenza della matrice cantabile dello stile di Tchaikovsky. La Canzonetta ha la struttura di una romanza semplice, con un tema tipicamente russo e spiccatamente melodico che segue un’introduzione dei fiati. Una brevissima sezione centrale precede la ripresa del tema di cui si è detto, in cui il valore musicale è dato eminentemente dal confronto di timbri, e dunque dalla qualità dell’orchestrazione.

La Canzonetta confluisce direttamente nel conclusivo Allegro vivacissimo, dedicato invece al recupero della tradizione popolaresca russa. In realtà, si ripete, nell’identificare in ogni movimento un “momento” differente del pensiero di Tchaikovsky si sta facendo opera di indebita semplificazione. In verità, tali elementi minimi sono riscontrabili in ciascuna delle parti del Concerto, combinati in vario modo. Per esempio, era tipico anche della tradizione classica tanto cara al compositore concludere un concerto solistico con accenti popolareschi. Ad ogni modo, in questo caso si tratta evidentemente del folklore del paese natio del compositore. Tchaikovsky va a scegliere un andamento di danza (Trepak), ideando un momento ricco di allusioni coreutiche con la maestria che si addice ad un compositore particolarmente esperto della scrittura per balletto.

Praticamente coeva al Concerto di Tchaikovsky, ma appartenente ad un altro luogo d’Europa e ad una diversa sensibilità musicale, è la Settima Sinfonia di Antonin Dvorak. Il compositore boemo seppe unire al rigore nella costruzione della forma musicale una freschezza popolaresca, basata sulla rivisitazione ingegnosa di suggestioni folkloristiche. Quella di Dvorak è una scrittura apparentemente piacevole ma estremamente consapevole, come ben testimoniano anche le sottigliezze della Settima Sinfonia, meno nota della Nona (Dal Nuovo Mondo), ma forse ad essa superiore nel disegno architettonico e nell’elaborazione tematica. La Settima giunse a compimento nel 1884, dopo un percorso quinquennale di maturazione di idee, durante il quale la produzione del compositore si allontanò dai territori sinfonici per lasciare spazio a significativi risultati nel campo cameristico (tra cui occorre ricordare il Trio con pianoforte op. 65 e il Quartetto d’archi n. 11 op. 61).

Colpisce, nel movimento d’apertura della Settima, l’uso di un disegno lirico e sommesso tracciato da viole e violoncelli come primo tema, ossia là dove la tradizione avrebbe preteso motivi volitivi, impetuosi; ma l’intelligenza musicale di questa Sinfonia va oltre l’adesione a schemi consolidati, lasciando che s’insinuino nella partitura precoci e indiretti segni delle imminenti innovazioni novecentesche.

Marco Bellano