67a Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 16 febbraio 2012
Ore: 10:00*
giovedì 16 febbraio 2012
Ore: 21:00
sabato 18 febbraio 2012
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Carlo Galante, Concerto per due clavicembali e orchestra
Johann Sebastian Bach, Concerto per due clavicembali e orch. in Do magg.
Wolfgang Amadeus Mozart, Serenata K.203 (Colloredo)

Biglietteria

Prove Aperte

Biglietti: Euro 10,00/8,00 + prevendita

67a Stagione

Abbonamenti
Interi: da € 252,00 a € 157,50
Ridotti: da € 189,00 a € 115,50

Biglietti
Interi: da € 19,00 a € 10,00
Ridotti: da € 15,00 a € 8,50

Il Cast

Direttore: Marco Guidarini
Clavicembali: Maurizio Salerno – Maurizio Croci
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Guida all’ascolto di Paolo Castagnone
I tempi di Dafne

Nel primo libro delle “Metamorfosi” Ovidio racconta che Apollo si vantava di saper tirare con l’arco come nessun altro. Cupido punì la sua presunzione colpendolo con una freccia e facendolo innamorare della bella ninfa Dafne; ma quest’ultima aveva consacrato la sua vita a Diana. L’amore di Apollo era irrefrenabile e Dafne dovette chiedere aiuto a suo padre Penéo, signore dei fiumi, il quale la trasformò in un albero di alloro pur di impedire ai due di congiungersi. Il dio dell’Olimpo, ormai impotente, rese la pianta sempreverde e la consacrò agli onori e all’arte.

Proprio a questo mito classico è intitolato il Concerto per due clavicembali di Carlo Galante, che così ci racconta la sua forma: «La canonica struttura tripartita vuole evocare il racconto mitologico: il primo movimento –  “Lieve” – è dedicato a Dafne ed ha un carattere tenero, con l’ordito clavicembalistico che accompagna i brevi motti melodici degli archi. Il seguente “Sostenuto” impersona il temperamento solare e terribile di Apollo, evocato da sequenze di accordi maggiori con l’aggiunta dell’ottava eccedente. L’ultima sezione, “Inseguimento e Metamorfosi”, è rapinosa nella prima parte – in cui si immagina l’inseguimento amoroso – ma si distende infine in una sorta di “passacaglia” quando Dafne si trasforma in albero. L’atmosfera si fa via via più rarefatta e tutti gli strumenti, con piccoli “tocchi”, ritrovano la loro primigenia “anima lignea”, compiendo essi stessi, metaforicamente, la metamorfosi della ninfa».

L’autore si ispira agli amati clavicembalisti francesi, da Couperin a Rameau, per legare elementi narrativi alla propria partitura e, a tale proposito, afferma che la musica non può raccontare ma solo evocare e, nella sua personale rilettura di questo mito, si aggiungono componenti estranee, che “contagiano” di quotidianità il sublime. «Dafne – afferma Galante – è per me una piccola e incantevole bambina (la mia amatissima figlia), a cui è dedicato questo concerto e che, nella mia immaginazione di compositore, trascolora nella ninfa amata da Apollo. Tutto è giocato sulla molteplicità di significati della parola “tempi”: sono contemporaneamente i “tempi” del mito, i “tempi” di una neonata, ma anche i “tempi” musicali in cui il “sortilegio” dell’evocazione si compie. “Tempo” è la parola chiave per mettere ordine a sollecitazioni tanto diverse: l’arcano racconto mitologico, i delicati movimenti di un’infante, le amate e antiche musiche, servono proprio a sospendere il Tempo, per approdare ad una dimensione metafisica in cui Passato e Presente non sono mai opposti».

Parlando del passato in una dimensione storica è invece opportuno domandare a Carlo Galante quale sia il rapporto con la tradizione del concerto per clavicembalo: «Ho riflettuto a lungo per trovare sia una scrittura tastieristica originale, sia un’adeguata compilazione formale; durante il lavoro avevo sempre l’impressione che dopo i concerti di Bach – capolavori assoluti e sommo esempio di equilibrio tra i cembali solisti e l’orchestra – bisognasse ripensare un po’ tutto da capo. Il dilemma era: assecondare le specifiche peculiarità di questo nobile e antico strumento oppure, con un atto di forza, cambiarne radicalmente i connotati? Mi sentivo lontano dai lavori novecenteschi; il clavicembalo a cui fanno riferimento è uno strumento diverso – per esempio ha un suono molto più “aggressivo” – ed ha caratteristiche timbriche assai meno allettanti. Di conseguenza ho optato per la prima ipotesi, che mi è molto più congeniale: sono ripartito dal repertorio francese di fine Seicento, reinventando figure musicali e soluzioni strumentali tipiche di quella letteratura musicale. Non c’è però alcuna volontà di parodia: non indosso nessuna “maschera”, non mi acconcio con nessuna “parrucca”, il materiale musicale che uso è antico e moderno allo stesso tempo, si comporta come il DNA del nostro codice genetico, che contiene tutta la nostra storia ma dona il miracolo della vita ogni giorno».

Concerto per due clavicembali e orchestra BWV 1061

Il 5 maggio 1723 Bach diviene Kantor della Thomaskirche di Lipsia, ma l’incarico si rivela fin dall’inizio gravoso, così come tutt’altro che semplici risultano i rapporti con le autorità municipali. Un consigliere arriva a lamentarsi di lui in termini per noi sorprendenti: «Poiché non abbiamo potuto avere di meglio, ci dovremo accontentare di una mediocrità». La mole di lavoro che il musicista svolge in quegli anni è enorme; solo per ricordare i doveri principali egli deve insegnare presso il locale collegio, assistere alle prove dei vari gruppi vocali e strumentali, scrivere le musiche per tutte le feste e le celebrazioni solenni, valutare l’efficienza degli organi e la preparazione dei musicisti di tutte le chiese. A partire dal 1729 il compositore assume anche l’incarico di direttore del Collegium musicum, che era stato fondato nel 1702 da Telemann con il compito di organizzare concerti ogni settimana presso il Caffè Zimmermann.

A tal fine, cantate profane, brani strumentali e pagine cameristiche devono essere approntate in gran quantità e non stupisce che egli trascrivesse lavori già esistenti, sia propri sia di altri autori. La possibilità di avvalersi di alcuni fra i suoi migliori allievi di clavicembalo e la volontà di far esibire i due figli maggiori, Carl Philipp Emanuel e Wilhelm Friedemann, lo inducono poi a prediligere il cembalo quale protagonista. Il musicista di Eisenach può essere infatti considerato l’inventore del concerto per questo strumento a tastiera, in special modo di quello per due, tre e quattro solisti.

Secondo il musicologo ottocentesco Johann Forkel, fra tutte le partiture consimili il Concerto BWV 1061 è l’unico concepito appositamente per clavicembalo. L’opera, infatti, è nata come brano per due solisti senza accompagnamento e, significativamente, solo delle parti principali esiste il manoscritto autografo, mentre quelle degli archi si sono conservate in modo frammentario grazie a diversi trascrittori, fra cui Anna Magdalena, la seconda moglie di Bach. Poiché gli interventi dell’orchestra conferiscono vigore e spessore timbrico, ma non contribuiscono a definire gli elementi essenziali del pezzo, l’ipotesi più accreditata è che la strumentazione sia stata realizzata in un secondo momento per approntare un’esecuzione di maggior impatto fonico.

Il primo movimento si basa su diverse figure musicali che vengono intrecciate per creare un tessuto musicale ricco e variegato, mentre il dialogo fra i due protagonisti è incessante ed essi si distribuiscono equamente il materiale motivico. Come spesso avviene nelle partiture bachiane, la densità contrappuntistica sostituisce la ricca ornamentazione melodica che era invece prediletta dalla maggior parte dei musicisti del tempo. Anche il seguente Adagio ovvero Largo impiega abbondantemente la scrittura a canone e quella imitativa; tuttavia l’esito espressivo è molto diverso e il suo clima meditativo bilancia perfettamente l’energia ritmica che aveva caratterizzato la prima sezione del brano. Il Concerto in do maggiore si conclude con una Fuga costruita su un soggetto propulsivo e guizzante, che nel continuo scambio delle parti fra i solisti, accuratamente sostenuti dagli archi, conduce il gioco virtuosistico dei clavicembali verso la sua esuberante conclusione.

Serenata in re maggiore K. 203

I primi anni di attività pubblica di Mozart sono spesi nella speranza di affermare le proprie capacità artistiche presso corti principesche e cappelle ecclesiastiche. Tutti i tentativi risultano però vani e al musicista non rimane che ripiegare sul suo vecchio e triste impiego nella città natale. L’unico spiraglio rimangono le commissioni di una nobiltà che inizia ad apprezzare le doti del geniale concittadino: vengono così alla luce messe, divertimenti e pagine occasionali in cui egli riesce, nonostante tutto, a esprimere la propria dirompente originalità. E’ il caso della K. 203, passata alla storia come Serenata “’Colloredo” sul presupposto che fosse stata composta per celebrare l’onomastico del conte Hieronymus von Colloredo, principe-arcivescovo di Salisburgo dal 1772, ma più probabilmente concepita nell’agosto del ‘74 per le celebrazioni di fine corso degli studenti di filosofia dell’Università.

Un tipico aspetto di questo lavoro – sintomatico della sensibilità di un artista che aveva sempre nel cuore il teatro – è il rilievo solistico attribuito a molti degli strumenti in organico, quasi fossero i personaggi di un’operina chiamati di volta in volta sulla ribalta. Nella partitura è poi riscontrabile l’alternanza di oboi e flauti, una tipica caratteristica delle composizioni salisburghesi, dovuta al fatto che i medesimi esecutori suonavano entrambi gli strumenti.

La partitura si apre con un’introduzione lenta; lo stato d’animo grave e pensieroso è però rapidamente dissipato dal seguente Allegro assai che, fin dalle prime note, annuncia un clima di gioiosa celebrazione. Con il primo Andante entra in scena il violino, che svolge un ruolo da protagonista anche nel Trio del seguente Minuetto. L’inconfondibile nobiltà della scrittura mozartiana ritorna nel successivo Allegro, impreziosito da un lungo intervento solistico e dal timbro dei corni nel registro acuto. Il nuovo Minuetto è costruito sul dialogo fra le sezioni strumentali e da improvvisi passaggi in tonalità minore, mentre il secondo Andante svapora nel fruscio notturno dei violini coi sordini, sul quale si staglia l’intervento melodico dell’oboe, che conferisce a questa pagina un lieve pathos.

Si viene ridestati da questa atmosfera sognante dal ritmo incalzante e dai contrasti ben calcolati del terzo e ultimo Minuetto, caratterizzato anche da un dolcissimo e malinconico intervento dell’oboe nel Trio. Il suggello finale di un lavoro nel quale l’accento è posto su uno stile luminoso e sorridente, ricco di inventiva e di colori, è lasciato all’irrefrenabile slancio del Prestissimo finale, contrassegnato dalla proverbiale mobilità mozartiana nella scrittura per gli archi e dagli improvvisi effetti chiaroscurali.