Le date
György Ligeti, Conzert Romanesc
Wolfgang Amadeus Mozart, Ein musicalischer Spass k 522
Wolfgang Amadeus Mozart, Concerto per corno e orchestra n. 4 k 495
Franz Joseph Haydn, Sinfonia n. 102
Biglietteria
ABBONAMENTI
Interi: da € 252,00 a € 157,50
Ridotti: da € 189,00 a € 115,50
BIGLIETTI
Interi: da € 19,00 a € 10,00
Ridotti: da € 15,00 a € 8,50
Il Cast
Direttore: Daniele Agiman
Corno: Stefan Dohr
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
György Sándor Ligeti (Târnăveni, 1923 – Vienna, 2006) è di certo uno dei più grandi compositori del Novecento. Diversamente da altri è conosciuto anche dal grande pubblico grazie alla musica composta per tre grandi film di Kubrik, 2001: Odissea nello spazio, Shining e Eyes Wide Shut. Con Ligeti la musica occidentale conquista forse l’ultimo gradino della sua esplosiva evoluzione. In qualche modo la sua opera determina i limiti, forse invalicabili, della composizione musicale, limiti non tecnici quanto concettuali.
Nelle opere mature di Ligeti difatti la composizione si fa oggetto d’arte puro, oggetto speculativo che occupa uno spazio e un tempo in una visione oggettivamente contemplativa.
L’esempio più chiaro è il Poema Sinfonico per Cento Metronomi. Musica non più musica se ascoltata in maniera tradizionale. I metronomi, regolati a velocità differenti, si fermeranno uno alla volta, scandendo la contemporaneità degli eventi, la simultaneità delle vite, la casualità che incontra la legge deterministica, lo scorrere del tempo psicologico e insieme il tempo della fisica, il tempo brevissimo e lento della percezione umana e il tempo del cosmo, perdutamente insolubile.
Con Ligeti il brano di musica si fa oggetto d’arte raffinatissimo e di lacerante bellezza poetica. E’ così per le più famose composizioni per orchestra fra cui spicca Lontano, dove il sentimento della lontananza siderale che avvolge la vita sulla terra è reso palpabile dalle lunghe e lentissime polifonie orchestrali atte a scaraventare l’ascoltatore in una solitudine cosmica tanto profonda quanto buia, o Lux Aeterna, per coro a cappella, dove la riflessione metafisica sulla morte si sporge alla più grande e commovente intensità.
Ma Ligeti non ebbe sempre la libertà di scrivere musica come avrebbe desiderato. Dopo essere sopravvissuto ai lavori forzati, i nazisti lo deportarono perché ebreo e fu, insieme alla madre, l’unico superstite di una numerosa famiglia svanita ad Auschwitz, riprese gli studi musicali a Budapest dimostrando da subito le sue eccezionali qualità, tanto da venir presto confermato come insegnante di armonia presso la stessa scuola. L’Ungheria, in quel periodo, finì però sotto il giogo sovietico e le regole per i compositori, come per tutti gli intellettuali, si fecero asfissianti. Dopo i fatti del ’56, nascosto in un treno postale, Ligeti riuscì a fuggire stabilendosi in Germania, dove per la prima volta poté ascoltare la musica d’avanguardia, musica proibita in patria e di cui aveva solo sentito parlare. L’incontro con la nuova musica fu per Ligeti più di una rivelazione, fu un vero atto di libertà, di vita, di coscienza, capace di svincolare le sue migliori energie. Ligeti non fu mai un “ortodosso” dell’avanguardia, mai un conformista, non seguì mode o correnti di vario genere. La sua originalità scoppiò fra le mani di un mondo musicale già all’epoca alle prese con la conquista di spazi e di potere, con l’unico risultato di far da subito di un’avanguardia un’accademia.
Nel confronto con altri grandi del secondo Novecento, ciò che sorprende di Ligeti è, oltre ad una sconfinata intelligenza musicale, una sete di libertà che non può e non deve sedarsi. Una forza straordinaria ispira ogni composizione, ogni nota sembra scritta nella consapevolezza profonda della libertà: la precisione, l’acume, la potenza con cui Ligeti realizza con i suoni idee poetiche mozzafiato ne fa un artista destinato all’immortalità.
Anche il fatto stesso di voler ripescare nel 1971 un brano giovanile come il Concert Romanesc dimostra l’atteggiamento libero di questo autore. Composizione stretta fra l’esempio di Bartok e Kodaly dà prova già dalle prime note dell’energia lineare dell’ispirazione ligetiana, anche se siamo ancora lontani dalle grandi opere della maturità.
Brano vivo, segnato da una malinconia dolce e da una speranza intimamente moderna, divertito nell’ispirazione popolare, nel vortice ritmico delle danze ungheresi e romene, si scioglie improvvisamente in quadri di drammatica inquietudine e di grottesca follia.
La particolarità del brano è la presenza di un corno fuori scena che risponderà a un richiamo antico, un corno lontano che come un sonnambulo, pronto alle voci apprese in sogno, senza destarsi, alza una voce nel buio muovendo qualche passo, masticando, incomprensibile, una parola.
Wolfgang Amadeus Mozart (Salisburgo 1756 – Vienna 1791)
Ein musikalischer Spass k 522
Scritta da Mozart in una pausa del Don Giovanni, questa serenata satiresca tanto raffinata quanto aguzza di ingegno, deve aver significato una vero momento di riposo per il salisburghese. Il 1787 fu un anno particolarmente duro per Mozart, la morte del padre Leopold, la continua ricerca di denaro e un’attività febbrile avevano minato l’animo di Wolfgang. Questo scherzo in musica K 522, capace di riprodurre tutte le cadute di gusto, gli errori e la poca ispirazione di alcuni contemporanei di Mozart, appare oggi meno dirompente di come dovette apparire al circolo di amici a cui presumibilmente fu dedicato. Il tempo trascorso, e il nostro orecchio moderno così abituato ad ogni tipo di sonorità, di dissonanza, di ritmo e di armonia, fatica a scovare tutti i particolari farseschi di cui è costituita la partitura. Eppure ad ogni battuta, in ogni sezione fino al grottesco finale stonato, abbiamo invenzioni assurde, provocazioni e soprattutto i ritratti dei piccoli compositori, magari dilettanti, che popolavano la vita musicale viennese dell’epoca. E’ una composizione aspra, un po’ maligna, che dipinge crudelmente la vanità stupida di troppi musicisti contemporanei di Mozart, ma per un ascolto pieno dobbiamo immergerci nello stile mozartiano, olimpico eppure semplice, alto, complesso ma mai difficile, affinché ogni ribattuto indecente, ogni sorpresa, ogni errore ben calcolato ci riporti a quelle risate a cui, nel giugno del 1787, Mozart si abbandonò.
Il Concerto per corno e orchestra n. 4 k 495 di Wolfgang Amadeus Mozart è il più complesso dei concerti dedicati “all’infelice strumento”. Anche se ispirato ancora da temi di caccia in questa ultima composizione per corno si annidano stranamente ombre e momenti delicati e introspettivi. Non che gli altri Concerti siano musica d’occasione, ma in questa composizione Mozart sente diversamente il corno, aprendo forse quella visione dello strumento che sarà centrale nell’estetica romantica. Il calore e la forza dal piglio tipicamente eroico del corno sostituirà la tipica scena di caccia che da secoli lo strumento evocava.
In questo ultimo concerto si apre la porta per l’uso che del corno ne farà Beethoven e poi Schumann fino a Richard Strauss, che lo esalterà in un eroismo ideale e supremo.
Composto per l’amico Ignaz Leutgeb nel 1786, risente delle composizioni più grandi dello stesso periodo, la Cantata Massonica K471 e le Nozze di Figaro K492, anche se per questo non rinuncia mai a genio e originalità. E’ un Mozart meraviglioso e introverso, delicatamente raccolto, e per questo ancora più raro.
Franz Joseph Haydn (Rohrau,1732 – Vienna 1809)
Sinfonia 102
La Sinfonia 102 si apre con un respiro. Ed è forse il respiro di Dio che invade la natura. Il soffio della creazione. Un unisono piano in crescendo e diminuendo. Un unisono generante simile ad un seme denso di vita, un unisono contenente tutte le probabilità, tutte le possibilità, tutte le rifrangenze, sospese in un senza tempo lancinante . Da qui diparte il Largo introduttivo, chiaro, accecante nelle linee tracciate nel silenzio dai violini, sereno e nobile, di una regalità sublime e illuminata.
L’Allegro che ne segue, introdotto da una brevissima cadenza del flauto, è subito scandito da una gioia serena e piena, riccamente tranquilla anche se drasticamente umana che, nel corso del movimento, si aprirà anche a contrasti aspri, composti da sonorità cangianti fatte da intervalli audaci e Tutti orchestrali volti a stemperare la tensione verso un orizzonte classico, le proporzioni verranno rispettate con equilibrio e misura.
Dopo la solenne chiusa del primo tempo si apre un Adagio magistrale, fra i più toccanti del compositore. Il violoncello solo sarà l’anima solitaria che vagherà fra le melodie e gli abbellimenti degli archi, stabilendo una doppia dimensione di luce e ombra, di positivo e negativo indissolubilmente legati fra loro.
Il glorioso Minuetto serve al compositore per annunciare l’arrivo dell’ultimo tempo: Finale Presto. Un po’ mozartiano, venato dal famoso umorismo haydniano avrà mille e più soluzioni: il tema giocoso dei violini verrà suonato insieme al flauto, i fiati risponderanno a fanfara, la parte centrale del movimento verrà sviluppata con un andamento polifonico e gli scambi e le improvvise interruzioni renderanno il discorso sempre imprevedibile. Sappiamo che Haydn se solo lo avesse voluto avrebbe potuto continuare all’infinito, ma non troppo tardi, dopo due finte chiusure, ci regala un maestoso finale degno della grandezza dell’opera.