Le date
Antonin Dvořák, Serenata op.44
Sergej Prokof’ev, Concerto n. 2 per violino e orchestra op. 63
Antonin Dvořák, Serenata op. 22
Biglietteria
Prove Aperte
Biglietti: Euro 10,00/8,00 + prevendita
67a Stagione
Abbonamenti
Interi: da € 252,00 a € 157,50
Ridotti: da € 189,00 a € 115,50
Biglietti
Interi: da € 19,00 a € 10,00
Ridotti: da € 15,00 a € 8,50
Il Cast
Direttore: Stanislav Kochanovsky
Violino: Alexander Kagan
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
Guida all’ascolto di Oreste Bossini
“Caro S.,
in relazione alla borsa di studio conferita dallo Stato, sono stato molto soddisfatto negli scorsi anni dei lavori di Antonín DvoÅ™ák di Praga. Quest’anno ha mandato, tra le altre cose, un volume di Duetti per due soprano con accompagnamento di pianoforte, che sembrano molto adatti e pratici per una pubblicazione…Dvorak ha scritto ogni sorta di composizioni, opere (in ceco), sinfonie, quartetti e musica pianistica. Non c’è dubbio che abbia molto talento. E poi è anche povero. Vi prego di rifletterci sopra. I Duetti non vi daranno molti pensieri e probabilmente si venderanno bene…”
Con questa lettera del 12 dicembre 1877 Brahms apriva le porte dell’influente editore Simrock a uno sconosciuto musicista di provincia, che gli aveva chiesto una raccomandazione su suggerimento del critico Eduard Hanslick. DvoÅ™ák partecipà nel 1874 al concorso annuale istituito dal governo austriaco per dotare di una borsa di studio gli artisti più promettenti. La commissione del premio era formata tra gli altri da Brahms, che intuì nel disordinato talento di DvoÅ™ák una natura musicale di prima qualità. Le composizioni inviate a Vienna mostravano un flusso ininterrotto di idee musicali, sgorgate da una vena melodica che pareva inesauribile. A 33 anni, con molti anni di mestiere alle spalle ma pochi studi di composizione, il musicista di Praga cominciava appena ad affrontare il problema della forma, della composizione. Nell’incredibile calderone di musiche scritte in precedenza, in seguito quasi tutte eliminate dal catalogo, si trovano pezzi che raggiungono punte estreme di prolissità, come il Quartetto in re dell’incredibile durata di 68 minuti, ma con una profusione di idee musicale fuori dal comune. Il giovane DvoÅ™ák seguiva i modelli dello stile classico, in primo luogo Beethoven, con una scrittura però contaminata dal cromatismo wagneriano allora di moda. Al pari di Schubert, DvoÅ™ák sognava di raggiungere il successo come autore teatrale. La sua ansia di scrivere per la scena era tale che quando l’opera Král a uhlir (Il re e il carbonaio) fu rifiutata dal teatro, DvoÅ™ák compose da capo lo stesso libretto una seconda volta.
Brahms mantenne intatta la benevolenza verso il giovane collega per tutta la vita con vari atti di tutela generosa, e tolse l’esistenza di Dvorak dalla precaria condizione della vita di provincia per proiettare in breve tempo il nome del musicista praghese sulla scena musicale europea. Forse quel che colpì Brahms in questa giovane mente disordinata, oltre all’evidente talento, fu il bisogno di chiarezza, la necessità di depurare la sostanza dell’idea musicale dalle scorie che appesantiscono il discorso. Nelle composizioni degli anni a cavallo del concorso Dvorak mostra infatti di allontanarsi dall’influenza della musica di Wagner e della scuola neo-tedesca, che aveva condizionato in modo più o meno profondo i primi lavori.
Nel frattempo anche altre circostanze erano cambiate. In primo luogo, il matrimonio con Anna Cermák, che aveva dato a Dvorak una famiglia e una vita affettiva stabile. Una modesta posizione di organista gli consentì inoltre di lasciare il lavoro in orchestra, come suonatore di viola, per potersi dedicare meglio alla composizione.
A quest’epoca primaverile e piena di speranze appartiene la Serenata per archi in mi maggiore, composta di getto tra il 3 e il 14 maggio 1875. La pagina fu accolta con grande successo sin dalla sua prima esecuzione diretta da Adolf Cech a Praga il 10 dicembre 1876, e da allora non ha cessato di rimanere tra le musiche più popolari di Dvorak. La ragione del successo di questa pagina, ispirata al modello settecentesco della musica d’intrattenimento, sta innanzitutto nella freschezza delle melodie e nella chiarezza della forma. Il nucleo della musica di DvoÅ™ák trae l’ispirazione dal ricchissimo patrimonio di canti e di danze della sua terra, che aveva nutrito la sua fantasia sin dall’infanzia. Il percorso di DvoÅ™ák era già stato indicato dal robusto insorgere un po’ in tutta Europa delle scuole nazionali di stampo classico-romantico. Lo “slavismo” della Serenata è rintracciabile facilmente nella pulsazione caratteristica dei ritmi, nel profumo modale delle armonie, nella curva delle melodie, spesso venate di incantevoli melanconie come nel caso del meraviglioso Tempo di Valse.
Dell’altra Serenata in re minore, op. 44, per strumenti a fiato, parla Brahms in una lettera all’amico violinista Joachim (maggio 1879): «Non si riesce facilmente a ricevere un’impressione più amabile e piacevole di un autentico, ricco e affascinante talento creativo». Il nuovo lavoro di DvoÅ™ák meritava senz’altro parole così lusinghiere, anche perché dimostrava gli enormi passi avanti compiuti dall’autore nel padroneggiare la scrittura strumentale e la chiarezza della forma. A differenza della popolare Serenata per archi, quella per strumenti a fiato è concepita per un vero ensemble di musica da camera. Ciascuno degli 11 musicisti suona una parte individuale, conferendo al lavoro la leggerezza e la elasticità della conversazione. DvoÅ™ák elimina dall’organico gli strumenti più brillanti, come il flauto, rafforzando la linea del basso con l’aggiunta di un violoncello e di un contrabbasso. La Serenata dunque acquista una tinta più scura e romantica, anche per la presenza di un trio di corni e di un controfagotto (indicato però ad libitum, a causa della difficoltà di reperire questo ingombrante strumento). Dal punto di vista formale invece la Serenata assomiglia di più a una Sinfonia che a un Divertimento, con quattro movimenti ben ripartiti secondo il canone dei caratteri classici. La scrittura tuttavia è più leggera, come dimostra subito il movimento iniziale, “quasi marcia”. La tonalità di re minore conferisce un tono serioso all’incalzante ritmo della fanfara, che ricorda con il suo perenne muoversi in avanti il mondo inquieto di Schubert. Il continuo pendolo dell’armonia tra re minore e fa maggiore spande sul movimento il profumo della musica slava, che si manifesta in maniera più evidente nella sezione centrale, imperniata sulle figure di una danza popolare.
Se il Minuetto è incantevole per la delicata e melanconica grazia, l’Andante con moto è uno dei capolavori della musica da camera. La voce nostalgica dei clarinetti in la riporta alla mente il suono di Mozart, che la scrittura di DvoÅ™ák onora in questa pagina con un miracolo di equilibrio e trasparenza. Sulla pulsazione costante dei corni, il cuore espressivo di questa pagina, si sviluppa un dialogo sentimentale tra oboi e clarinetti. L’idillio s’interrompe nella parte centrale, che diventa tutto a un tratto più tempestosa e drammatica, ritrovando poi la calma melanconica dell’inizio. L’Allegro molto finale chiude la Serenata con energia e fiducia nel futuro, anche se il ritorno inaspettato prima della coda della “quasi marcia” iniziale indica come l’instabilità emotiva rivelata da quel moto ossessivo sia ancora in agguato.
La Serenata per strumenti a fiato fu eseguita per la prima volta a Praga il 17 novembre 1878, con la direzione dell’autore.
Il grande punto interrogativo della biografia di Prokof’ev è sempre stato il motivo del suo ritorno in Russia agli inizi degli anni Trenta. Non sono mai parse convincenti le affermazioni del compositore, che riteneva la situazione della nuova società sovietica più stimolante di quella occidentale. Sembra davvero improbabile paragonare il clima repressivo del regime stalinista con la libertà e la vivacità culturale che Prokof’ev poteva respirare nella Parigi di Stravinskij e Cocteau, dei surrealisti e Picasso. Nel vivo della storia però le prospettive non erano così chiare e il clamoroso gesto di Prokof’ev diviene più comprensibile inquadrandolo nella trasformazione delle forme estetiche verso cui si stava orientando il compositore. La più chiara formulazione teorica di questo nuovo modo di pensare alla musica è contenuta in un articolo scritto da Prokof’ev il 16 novembre 1934 sul quotidiano Izvestia. Il passo forse più significativo è il seguente: “Si potrebbe qualificare la musica di cui abbiamo bisogno come ‘facile e sapiente’, o come ‘sapiente ma facile’. Non è così semplice trovare il linguaggio che le conviene. Innanzitutto, deve essere melodica, di una melodia semplice e comprensibile che non deve essere d’altra parte rimasticata né avere un profilo banale…”
La ricerca di una nuova semplicità di forme, moderne e razionali allo stesso tempo, accumunava molte delle esperienze artistiche tra le due guerre. Prokof’ev sperava di trovare nella società sovietica quel rapporto autentico tra artista e pubblico, ma la storia l’avrebbe disilluso in maniera crudele. In questo contesto trova la sua dimensione anche il secondo e ultimo Concerto per violino, commissionato al compositore da un gruppo di sostenitori del violinista francese Robert Soëtans. Il lavoro fu presentato a Madrid il primo dicembre del 1935, alla presenza dello stesso Prokof’ev, nell’ambito di una tournée del violinista in vari paesi del Mediterraneo. Accolto con grande successo, il Concerto entrò ben presto a far parte del repertorio di grandi solisti come Jasha Heifetz, che ne assicurarono la popolarità.
Chiarezza di forme modellate sullo stampo del concerto classico, lirismo ampio e malinconico, un tocco di aggressività violinistica senza eccessi virtuosistici sono le caratteristiche del Concerto in sol minore. Vi è da notare la ricerca di uno stile “internazionale”, moderno e spigliato anche nell’orchestrazione. Prokof’ev rende omaggio nel movimento finale al paese ospitante il debutto, tramite le nacchere, mantenendo però un profilo personale e idiomatico nel taglio delle melodie e nel linguaggio armonico ricco di sprezzature politonali.