Le date

Sala Grande
sabato 28 aprile 2012
Ore: 10:00*
sabato 28 aprile 2012
Ore: 17:00
giovedì 03 maggio 2012
Ore: 21:00
*I Pomeriggi in anteprima

Note

Giovedì 3 maggio alle ore 20.00 in occasione di Expo Days
Happy hour con le specialità della cucina e della pasticceria viennese, a seguire concerto sinfonico.

La Fondazione I Pomeriggi Musicali rende omaggio all’Austria e alle sue eccellenze: la gastronomia viennese e le musiche di Franz Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart accompagnano il pubblico del Dal Verme in un’atmosfera da fine Settecento.

ore 20.00: happy hour con ingresso a 8 euro riservato al pubblico del concerto
ore 21.00: concerto con l’Orchestra I Pomeriggi Musicali

Wolfgang Amadeus Mozart, Concerto per violino e orchestra K216
Wolfgang Amadeus Mozart, Concertone  per due violini e orchestra k190
Franz Joseph Haydn, Sinfonia n.104

Biglietteria

Prove Aperte

Biglietti: Euro 10,00/8,00 + prevendita

67a Stagione

Abbonamenti
Interi: da € 252,00 a € 157,50
Ridotti: da € 189,00 a € 115,50

Biglietti
Interi: da € 19,00 a € 10,00
Ridotti: da € 15,00 a € 8,50

Il Cast

Direttore:  Daniele Rustioni
Violini:  Sonig Tchakerian – Davide de Ascaniis
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

a cura di Mariateresa Dellaborra

Nel 1775, nell’arco di soli sei mesi (da aprile a settembre), Mozart completa tre dei suoi cinque concerti per violino e orchestra dando vita ad un ciclo organico unico nel suo genere. Fondendo in un tutto unitario influssi eterogenei, egli crea infatti imprescindibili modelli paradigmatici non solo nella forma, ma anche nei contenuti. La struttura del concerto all’italiana di tipo vivaldiano rivissuta attraverso l’elaborazione di Tartini e Nardini, l’articolazione interna delle arie e del primo tempo di sonata, la scrittura dei concerti alla francese di Viotti, il clima viennese sono tutti ben presenti, si ripercuotono su molteplici aspetti della composizione e ne modificano ora la struttura, con i frequenti ritorni del tutti, ora la costruzione interna dei singoli movimenti, ora la tecnica violinistica pura che cede al virtuosismo. I tratti comuni si insinuano dunque nelle pieghe più recondite della tecnica compositiva, come anche si manifestano attraverso gli aspetti più vistosi della creazione: il lato puramente virtuosistico, ad esempio, vi perde interesse a favore di una sensibile e fantasiosa cantabilità; atmosfere di sogno si alternano a momenti di puro divertimento e di estro capriccioso; la scrittura elegante e controllata domina e non lascia spazio a quella di Sturm und Drang; massimo rilievo è assegnato al solista che dipana melodie dalla più svariata provenienza stilistica.

Da un punto di vista più ‘tecnico’ inoltre, tutti i concerti sono ripartiti nei tre tempi tradizionali impostati secondo schemi consolidati e la scrittura solistica si staglia costantemente sul tutti bilanciando perfettamente passi cantabili e di agilità, privi tuttavia di qualunque interesse virtuosistico fine a se stesso. Nonostante questi tratti comuni, tuttavia, ogni concerto presenta condotte peculiari estremamente interessanti. Nel caso del terzo, il Concerto KV 216 in sol maggiore, conosciuto anche come “Strassburger-Konzert”, si trova, ad esempio, un sorprendente influsso dello stile galante evidente dal ricco e cangiante uso delle tonalità che suscitano forti emozioni. Nei tempi estremi si sentono poi riecheggiare temi già noti, utilizzati come citazioni, accanto a idee originali. Il primo tempo, Allegro, presenta un soggetto molto breve, caratterizzato da sincopi e da incisivi accenti, che ha una palese somiglianza con quello del Concerto KV 207, a sua volta strettamente collegato all’aria di Aminta nel primo atto del Re pastore, opera composta da Mozart probabilmente tra l’uno e l’altro dei due concerti. Due altre idee tematiche portanti sono affidate l’una agli oboi, l’altra ai violini. Quest’ultima è caratterizzata dai ritmi lombardi assimilati dall’autore durante il soggiorno italiano. Anche al solista spetta la declamazione di due ulteriori pensieri musicali davvero originali e unici: dapprima una lunga frase su registri alti, sinuosa e imperiosa, quindi un tambureggiante motivo che pare una caricatura di marcia alla turca e prelude all’atmosfera del finale. Lo sviluppo è relativamente ampio e profondo e coinvolge il solista in un canto spiegato, alla fine del quale si presenta la ripresa. Al tema iniziale succedono nell’ordine preciso i vari temi corredati dal breve ritornello orchestrale che fa da conclusione, dopo l’interruzione della cadenza.

L’Adagio è senza dubbio il movimento di maggior spicco. Facendo ricorso a mezzi elementari  (quali le sordine agli archi nel ripieno, che tracciano un delicato disegno oscillante; i violoncelli e i contrabbassi che accompagnano in pizzicato; i flauti in sostituzione degli oboi) e intonando una semplice e limpida idea accordale, condivisa tra solista e fiati, Mozart crea una stupenda oasi sonora. Il Rondò Allegro, dimostra spensieratezza, distacco dalle forme consolidate dalla tradizione, insomma una più elastica concezione del concerto, un desiderio di evasione e di divertimento. Il ritornello non è sempre uguale a se stesso e gli episodi che lo inframmezzano presentano ognuno un proprio carattere, alcuni dei quali anche folcloristico. L’effetto complessivo è quello di un bizzarro pot-pourri.

Reduce dal terzo viaggio in Italia e in procinto di partire per Vienna, Wolfgang Amadeus Mozart, nel maggio 1773, compose una sinfonia  (KV 181) e il Concertone per due violini e orchestra KV. 190 (186e). Non sono noti i motivi che lo indussero a cimentarsi con quest’ultima forma, ma l’esito fu senza dubbio quello di saggiare la struttura del concerto, inteso nel senso etimologico di “cum certare” con un organico insolito. I due violini solisti infatti non si limitano ad interloquire con l’orchestra, ma spesso anche con i singoli strumenti della compagine che a loro volta rivestono un ruolo espressamente concertante. Dunque la sperimentazione tange, oltre che la forma nel suo complesso, anche gli elementi interni, costitutivi. La divisione tra soli e tutti risalta a sufficienza. I due violini non hanno mai l’estensione né il carattere che saranno tenuti ad avere in un concerto: intonano brevi episodi per lo più liberi e non ripresi nel tutti, che si frammischiano alla trama sinfonica. Il ruolo dei due solisti inoltre è ben distinto: non agiscono in imitazione, sia che dialoghino tra loro o con gli oboe o con i violoncelli, sia ancora che rispondano in contrappunto al resto dell’orchestra, sia infine che sviluppino in senso virtuosistico alcuni disegni enunciati nelle loro linee essenziali dal tutti. Sembra quasi di ascoltare un antico concerto grosso dove, a differenza della tradizione italiana, viene dato maggior peso al gioco contrappuntistico. Ogni idea è infatti soggetta ad elaborazione. L’invenzione tematica invece, come anche la tecnica violinistica, sono derivate dall’ambiente italiano. Ad insaporire ulteriormente la scrittura e l’estro tematico si trovano molte indicazioni dinamiche e frequenti passaggi in minore. Tali caratteristiche sono evidenti soprattutto nel primo tempo – Allegro spiritoso – dove ai due solisti spetta prevalentemente la declamazione tematica: quella decisa e volitiva del primo tema, quella più cantabile e patetica del secondo. L’Andantino grazioso, come il Minuetto successivo, si rivela tributario dello stile tedesco, accostando i gruppi concertanti, ognuno coi suoi propri temi, in un tipico stile di conversazione. Nel Minuetto finale la parte principale è affidata al tutti mentre il Trio viene eseguito dai solisti. In sintesi si potrebbe considerare il Concertone KV 190 come il primo considerevole brano concertistico per violino creato all’interno del genere del divertissement, che Mozart aveva avuto occasione di praticare già durante il proficuo soggiorno milanese del 1771.

Denominata anche London o Salomon, la Sinfonia n. 104 di Franz Joseph Haydn, appartiene all’ultimo periodo creativo dell’autore chiamato, per chiara fama, ad allietare le orecchie del raffinato, esigente e colto pubblico inglese. Dopo il successo ottenuto con le prime sei sinfonie londinesi composte tra il 1791 e il 1792, Haydn, ormai denominato il «Shakespeare della musica», ebbe modo di riflettere sui risultati ottenuti e di focalizzare l’attenzione sui procedimenti da applicare alla forma sinfonica e quindi di prepararsi a una seconda visita che iniziò dal 1794. Anche per questa occasione predispose sei sinfonie (nn. 99-104), l’ultima delle quali (n. 104) fu eseguita nella stagione del 1795, ottenendo un successo altrettanto convinto e caloroso delle precedenti. Evitando del tutto la sorpresa, negli ultimi sei numeri Haydn si impegna a “umanizzare” la forma, semplificando le melodie, tratte come sempre dal folclore, e riducendole talvolta a brevi ed elementari frasi che provvede poi a elaborare con intelligenza. Ne risulta una forma più solida e impegnata all’interno della quale non mancano sperimentazioni e che talora raggiunge livelli di complessità estremamente elevati da indurre l’uditorio ad un coinvolgimento intellettuale sino ad allora impensabile nella sinfonia. La più vistosa innovazione riguarda l’introduzione del clarinetto, strumento già usato in Inghilterra nei teatri d’opera, ma non ancora inserito stabilmente nell’orchestra da concerto. Nella sinfonia 104, ad esempio, gli affida un ruolo molto interessante che produce un effetto pittoresco nel primo, secondo e quarto tempo. Oltre a questa nuova presenza, nella 104 in re maggiore, organizza un originale studio del piano tonale con modulazioni a toni lontani o inconsueti (vedi ad esempio il Trio in si bemolle maggiore). Diverso ruolo è inoltre affidato all’introduzione lenta (già presente in altri numeri londinesi). In questo caso l’Adagio offre una chiarezza maggiore delle precedenti, ma le sue cellule melodiche, molto brevi e intrise di presagi romantici, rimangono nulla più che frammenti e servono per dare risalto al disegno dei temi principali di tutta la sinfonia. Il primo e il quarto tempo (rispettivamente Allegro e Finale. Spiritoso) sono in forma sonata ben fondata sul dualismo tematico. L’ultimo, in particolare, prende spunto da una canzone popolare croata che, dal momento espositivo iniziale molto semplice, raggiunge una complessità estrema di costruzione. Il movimento lento, un Andante lirico, appare quasi come la sintesi di tutto il mondo emotivo haydniano, mentre il Menuetto-Allegro successivo rende omaggio alla tradizione viennese. In generale tuttavia i quattro movimenti dell’ultima sinfonia londinese sono una chiara dimostrazione della nuova tecnica compositiva acquisita e padroneggiata da Haydn, che la sintetizza in questo modo all’amico Griesinger «una volta che mi ero impadronito di un’idea, la mia unica preoccupazione era quella di svilupparla e portarla avanti attenendomi alle regole dell’arte […] mentre molti dei nostri nuovi compositori falliscono nel loro intento: mettono insieme un pezzetto dopo l’altro, s’interrompono bruscamente quando hanno appena cominciato e nella mente non rimane traccia di quel che si è ascoltato».