Le date
Milhaud, La création du monde
Ibert, Concertino da camera per sassofono e orchestra
Roussel, Petite suite op. 39
Milhaud, Le boeuf sur le toit op. 58b
Biglietteria
Prove Aperte
Biglietti: Euro 10,00/8,00 + prevendita
67a Stagione
Abbonamenti
Interi: da € 252,00 a € 157,50
Ridotti: da € 189,00 a € 115,50
Biglietti
Interi: da € 19,00 a € 10,00
Ridotti: da € 15,00 a € 8,50
Il Cast
Direttore: Jean Deroyer
Sax: Marco Albonetti
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
A CURA DI SERGIO CASESI
Quando pensiamo al bosco fiorito della musica strumentale francese degli ultimi centocinquanta anni, ci viene spontaneo pensare ai secolari meravigliosi, alti e perenni in cui identifichiamo i sommi Debussy e Ravel. Ma, come in ogni ambito, se a qualcuno è permesso arrivare in alto, scoprire nuovi cieli e nuove visioni della terra, vuol dire che una comunità, e più in generale un’intera società, lo hanno voluto e permesso.
L’attenzione della società francese verso la musica d’arte infatti non è mai scemata nel corso degli anni. Ancora oggi la Francia ha strutture e istituzioni di prestigio di valore inestimabile, basti pensare all’Ircam o al Conservatorio Superiore di Parigi. In Francia quando è stato il momento di creare spazi per i nuovi compositori, per le nuove idee, per le nuove forme, sempre si sono trovati soldi, energie e pubblico.
In questo modo la scuola francese è cresciuta e si è consolidata, sia nel campo strumentale che nella composizione, facendo diventare Parigi un luogo attrattivo per tutti i musicisti del globo. Ancora oggi moltissimi strumentisti e compositori arrivano dall’Asia, oltre che dall’intera Europa, per studiare musica a Parigi e poi per stabilirvisi e lavorare. I conservatori, le orchestre e le società dei concerti hanno saputo da sempre valorizzare la musica, anche quella nuova, facendo sì che venissero allo scoperto, e questo già dall’Ottocento, le nuove tendenze, le nuove capacità degli individui più meritevoli, tanto che oggi i nomi dei solisti francesi nel corso della storia non si contano più. Così Debussy e Ravel, pur restando unici per originalità e fantasia, vedono lo spiegarsi al loro fianco di un esercito di compositori di valore, di grande esperienza e capacità intellettuale. Da Saint-Saëns, Berlioz, Bizet, Chabrier, Chausson a Roussel e Fauré, da Milhaud, Poulenc, Ibert, Jolivet fino a Messiaen e al genio assoluto della modernità, Pierre Boulez.
In generale le caratteristiche della musica francese, seppur declinate nel corso delle epoche e degli stili, restano le stesse: una sapiente espressività timbrica, sempre attenta, sempre pregiata e suadente, unita ad una invenzione melodica e ritmica spesso dolce, a volte intima e segreta, sempre ricca e ricercata. Una caratteristica generale di tutta la musica francese è quindi la sublime raffinatezza che sempre esprime e con cui è composta. La scrittura sofisticata ed elegante, anche quando diviene elitaria e ermetica, o a volte accademica, è il tratto distintivo di una nazione musicale, di un modo di intendere la musica e la sua funzione nella società.
Darius Milhaud, nato a Marsiglia il 4 settembre 1892, è il compositore della fantasia, del desiderio iconoclasta di fare musica e di essere intellettuale. Milhaud è la voce che, seppur non arrivi alle vette dei grandi del Novecento, risuona ancora in tutti noi ogni qual volta proviamo il desiderio di fuga, o di scrollarci di dosso il peso della buona educazione, del politicamente corretto e più in generale dell’ipocrisia sociale a cui tutti siamo soggetti.
Allievo del grande organista compositore Widor, presto ebbe l’opportunità di essere assunto come segretario di Paul Claudel – il drammaturgo e poeta francese, di professione diplomatico e fanatico cattolico, tanto fanatico che oggi in Italia si tenta, da parte di altri fondamentalisti, una sua elevazione a grande del teatro. Seguendo Claudel visitò il Sud America e venne conquistato dai ritmi e dalle armonie che lo popolavano, conobbe gli Stati Uniti e il primo Jazz che veniva alla luce oltre a molte forme di musica popolare amate dal compositore francese proprio per la diversità dalla musica colta occidentale studiata al Conservatorio.
La sintesi personalissima di Milhaud è il senso del fascino che le sue composizioni ancora oggi irradiano. Il Caos del mondo risuona appena prima di diventare Cosmo, il vitalismo dolcissimo della strumentazione, gioioso come un brindisi, come un urlo liberatorio, non è mai appassito, non si è mai spento anche al cospetto delle composizioni nate dallo spirito rivoluzionario degli anni sessanta del secolo scorso.
La Création du Monde e Le Beuf sur le Toit sono fra le opere più eseguite, conosciute e amate di Milhaud. Scritte negli anni venti, prima della fuga in America a causa dell’occupazione nazista – Milhaud è di fede ebraica e nel ’40 troverà rifugio a Oakland dove insegnerà fino al 1971 – si distinguono dalle opere dei Sei, il gruppo di compositori di cui faceva parte, per la vitalità e l’allegria che la musica esprime. Se la Creazione del Mondo è ispirata alla mitologia africana, e al mondo come scrigno da cui far nascere l’amore fra l’uomo e la donna, Le Beuf, da un’idea di Cocteau, doveva essere una suite cinematografica per un film di Charlie Chaplin, cosa che non avvenne ma che non impedì alla partitura di diventare quasi un manifesto per i surrealisti. Difatti la pantomima di Cocteau prevede personaggi fuori dall’ordinario e un’ambientazione molto più che strana: in un bar americano, durante il proibizionismo, un grumo di gente con teste di cartone beve e fuma alla faccia della legge. C’è un uomo vestito da donna che amoreggia con il fidanzato, un pugile che fuma dell’oppio, un allibratore, un nano.. Ad un certo punto sta per scoppiare una tremenda rissa che però non si accende…
La follia dei personaggi è scolpita da motivi sudamericani che il compositore sa bene sovrapporre e alternare, e che ne fanno il tratto più affascinante di una surrealtà tanto allegorica da fare arrivare il messaggio chiaro e forte fino ai giorni nostri.
A Parigi, Milhaud insieme ai surrealisti si ritrovava al “La Gaya”, un bar che subito dopo il successo del Beuf sur le Toit ne prese il nome.
Jacques Ibert, Parigi 1890, fu un compositore tradizionalista, e non divenne mai, come invece avrebbe voluto, un compositore classico.
Chiarezza dello stile, ottima conoscenza tecnica della materia e molta dedizione gli permisero di comporre un catalogo ampio che riscuote ancora oggi, spesso fra gli strumenti con meno tradizione alle spalle, un certo successo. Famoso è il Concerto per Flauto, sempre eseguiti i vari brani per fiati e pianoforte e sempre in Francia quasi spesso si ascoltano i suoi “Escales” per orchestra.
La forma prima di tutto, così anche il Concertino per Sassofono e undici strumenti.
Brano che mette in luce, non solo il virtuosismo del solista, ma anche le capacità timbriche del Sax contrapposto alla compagine strumentale. L’interesse dell’ascolto sta proprio nel virtuosismo e nell’opaca liricità accademica di cui è composto questo brano, passaggio obbligato per il solista del sassofono che può così dimostrare il proprio valore.
Spesso, quando si eseguono i capolavori di Mozart o Beethoven, non si comprende davvero se gli applausi finali sono per gli esecutori o invece sono diretti al cielo per i grandi autori.
Con il Concertino da camera per Sassofono sappiamo che sono tutti del solista, impegnato in prove sempre davvero difficili.
Albert Roussel, nato nel 1869 nelle Fiandre francesi, è una voce originale nel panorama parigino tra fine Ottocento e inizi Novecento. La musica di Roussel non concede mai nulla agli aspetti più esteriori del simbolismo in voga in quegli anni. Come nella Petite Suite, in Roussel le melodie sono sempre ricercate, a volte difficili, anche se è sempre grande il desiderio di comunicare di cui sono intrise tutte le opere. La costruzione, e l’orchestrazione a volte eccessivamente sofisticata, ne fanno un autore che ha dovuto aspettare non poco un’affermazione autentica. Ritmi e armonie difficilmente diventano semplicemente suadenti, mai Roussel si concede o usa mezzi troppo semplici per conquistare il pubblico.
Il secondo movimento dell’op 59, Pastorale, è un esempio chiarissimo dell’estetica del compositore. Le atmosfere ben descritte, le situazioni psicologiche così nitide sulla partitura, necessitano di un’attenzione particolare, di un ascolto non banale. Si tratta del pensiero di un introverso, di un uomo che sta bene, o dice a se stesso di star bene, nella solitudine.
Per anni, prima di diventare insegnante di musica e quindi accreditarsi come compositore, Roussel fu un ufficiale di marina. Il suo grado gli permetteva di portare con sé nella propria cabina un pianoforte, e lì, fra le onde dell’oceano, amava scrivere musica. Di tanto in tanto suonava con altri appassionati di musica, ma la composizione nacque nel cuore di Roussel come un pensare in un silenzio adagiato sulle acque. Al di là di tutto. E ondose, a volte tanto blu da essere spaventose, sono le armonie che il compositore di Tourcoing ci ha lasciato. Le partiture di Roussel dimostrano lentezza nello scrivere, quasi un ossessivo piacere nell’esercizio della lima, nel perseguimento di una perfezione formale che sola, forse nella mente di un ufficiale al largo delle isole Canarie, poteva colmare l’ambivalente gioia dell’essere fintamente sperduti.
Quando Adolphe Sax inventò lo strumento a cui diede il proprio nome, il brevetto è del 1846, molti furono i compositori che da subito vollero conoscere questo nuovo timbro dal carattere così originale ed evocativo. Bastarono pochi anni al sassofono per essere conosciuto al grande pubblico e molti furono i giovani che ne intrapresero lo studio. Già nel 1857 Sax divenne insegnante al Conservatorio di Parigi e sia le bande di fiati sia le orchestre di tutta Europa si dotarono di strumentisti capaci di suonare questo strumento.
L’apparente facilità con cui un dilettante può cominciare lo studio del sassofono e il costo relativamente basso fecero il resto, il mondo fu colonizzato velocemente dal sax che divenne nel corso degli anni la voce del jazz in America e strumento tradizionale in molte zone del nostro continente. Sembra incredibile, ma Adolphe Sax, l’instancabile inventore di strumenti musicali, riuscì a morire in miseria nel 1894, dopo aver depositato trentatré brevetti e aver investito male tutti i suoi averi.