Le date
Pëtr Il’ic Cajkovskij, Serenata malinconica per violino e orchestra op. 26
Pëtr Il’ic Cajkovskij, Valse-Scherzo per violino e orchestra op. 34
Pëtr Il’ic Cajkovskij, Serenata op. 48
Sergej Prokof’ev, Pierino e il lupo per voce narrante e orchestra op. 67
Biglietteria
Prove Aperte
Biglietti: Euro 10,00/8,00 + prevendita
67a Stagione
Abbonamenti
Interi: da € 252,00 a € 157,50
Ridotti: da € 189,00 a € 115,50
Biglietti
Interi: da € 19,00 a € 10,00
Ridotti: da € 15,00 a € 8,50
Il Cast
Direttore e violino Massimo Quarta
Voce recitante Giulio Casale
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
“Nel mio Pierino e il Lupo c’è, come d’obbligo, il massimo rispetto per un vero e proprio classico della cultura internazionale. Mi sono attenuto strettamente alle indicazioni dell’autore anche per quanto riguarda la breve prolusione, atta a introdurre i fanciulli d’ogni latitudine ai timbri degli strumenti d’orchestra (leggi: i protagonisti dell’opera). La variante principale nella versione che mi è stato richiesto di produrre poggia sull’uso del presente indicativo in vece del passato remoto: un classico vive e incide nell’immaginario di chi ascolta nel momento stesso del suo svolgersi, e in questo modo eternandosi, mi pare. Pierino poi spesso diviene nel mio testo “il giovane Pietro” (non proprio quello delle storielle italiane, casomai il coetaneo di Peter, o Petar, o anche Pjotr, etc.), sbadato e coraggioso come sanno essere al dunque tutti i ragazzi del mondo.
Per me, poter narrare la ben nota vicenda in un contesto di tale prestigio e diretto da un autentico Maestro, sarà stato nientemeno che un onore. Qualcosa per cui serbare gratitudine, a lungo.”
Giulio Casale
Guida all’ascolto di Edgar Vallora
Serata di festa, interamente dedicata alle suggestioni del repertorio musicale russo, ma spaccata in due parti, due mondi espressivi. La prima parte dedicata a Cajkovskij, una delle vette del panorama romantico, autore che “affondò le mani” (espressione rubata a una lettera del compositore) nel magma delle emozioni (non sacrificando l’intelligenza), in tutte le sue sfumature più sottili – languide, opalescenti, melanconiche, turbate anche quando trionfali. La seconda dedicata a Prokof’iev, che invece “affondò le mani” nelle sfere dell’intelligenza (non sacrificando le emozioni). Due facce di una stessa medaglia geografica, due risvolti dell’animo russo.
Brevissimi cenni biografici. Figlio di un ingegnere e di una pianista, Cajkovskij ricevette la prima educazione musicale dalla madre. Trasferitosi con la famiglia a San Pietroburgo, abbandonò gli studi giuridici e seguì i corsi (armonia e orchestrazione) tenuti al Conservatorio da Anton Rubinstein. Appena diplomato ottenne la cattedra al Conservatorio di Mosca. Nel 1876 conobbe Natedza von Meck, ricca vedova che, sedotta dal suo geniO, gli garantì una rendita che gli permise di dedicare tutte le sue forze alla musica. Quattordici anni dopo, però, la von Meck troncò bruscamente il sussidio. Benché altre fonti di reddito gli permettessero di vivere dignitosamente, Cajkovskij si sentì ucciso dal comportamento della benefattrice e ruppe ogni rapporto. Al fertile periodo della “relazione impropria” con la nobildonna appartengono le grandi opere del compositore (i Balletti più celebri, le Sinfonie, il Concerto per pianoforte, Ouvertures-Fantasie e decine di liriche). Dal 1877 al ‘91 il musicista organizzò numerose tournées nelle più grandi città europee e statunitensi. All’inizio del ’93 si immerse nella Sesta sinfonia (intitolata in seguito Patetica): in quest’opera il compositore concentrò tutte le sue speranze, di rinascita anche morale; ma, presentata a Pietroburgo in autunno, la Patetica fu accolta da ostile freddezza. Pochi giorni dopo un epidemia di colera (non manca chi azzarda ipotesi di suicidio) portava via le spoglie terrestri di Cajkovskij.
La Serenata melanconica Op.26 che apre la serata, rappresenta l’ultimo strascico del primo periodo del compositore, non ancora illuminato da capolavori. Composta nel 1875, la piccola pagina (nove minuti in tutto) precede di due anni quel “massiccio montano” (H. Loebtz) che è il Concerto per violino Op.35 (da notare che anche la notissima “canzonetta” custodita nel cuore del Concerto, è una pagina avvolta dai fumi della melanconia e del languore). L’opera si presenta con una introduzione lenta che si vota, di battuta in battuta, ad un atteggiamento lirico ma non spensierato: uno spirito melanconico, come suggerisce il titolo stesso. Al violino è accordata la possibilità di “cantare”, mettendo a nudo emozioni intime, solamente a tratti insidiate da qualche soffocato singhiozzo. Nessun virtuosismo gratuito, nessuna scalata tecnica: come se al violino fosse regalato un cuscino su cui riposare (non mancano i critici aspri che denunciano décalages nel “kitsch più nauseante”).
Racchiuso tra due valve Cajkovskijane di maggior consistenza è la Valse-Scherzo Op. 34, pagina breve, concisa, comunque brillante e piacevole (sei minuti di musica). Fu composta nel 1877 e dedicata ad un violinista molto apprezzato dal compositore, certo Josif Kotek (e molto amato, secondo i commentatori più pettegoli: amico-amante. Al punto che un critico, dall’ottimismo sopra le righe, si spinge ad affermare che si tratta di “ musica che sfida e vince la sessuofobia e l’omofobia della società zarista!”). La prima esecuzione ebbe luogo a Parigi nel settembre 1878, affidata alle mani di un violinista polacco. Oltre all’intrinseco valore musicale, la Valse-Scherzo ha un suo significato se visto come una sorta di saggio preparatorio al Concerto per violino Op.35, quel colosso che ÄŒajkovskij porterà a termine di lì a pochi mesi; poco popolare come brano da concerto, è relativamente più noto nella versione per violino e pianoforte, lasciataci dallo stesso compositore.
Spogliata da ogni orpello romantico è anche la Serenata per archi Op.48. In opposizione ai “pezzi di bravura emotiva” la Serenata è una delle opere più equilibrate, asciutte, più severamente strutturate. Cajkovskij la considerava come un tributo a Mozart, compositore che venerava. Composta nel 1880 la Serenata è parente stretta della éclatante Ouverture 1812 (onore alla vittoria russa su Napoleone); ma può essere considerata come l’antitesi a quell’opera tumultuosa, tutta colpi di cannone e inni nazionali. L’autore ne è conscio. “L’Ouverture 1812 – scrive alla benefattrice von Meck – è teatrale e bruciante, ma non ha nessun merito artistico. L’ho scritta senza ardore e senza amore. Mentre la Serenata l’ho composta sorretto da uno slancio emotivo commosso. Viene dal fondo del cuore”.
Il primo movimento “Pezzo in forma di sonatina” è articolato come una piccola sonata (introduzione, esposizione, riesposizione); magistralmente cesellata. A partire da questo movimento il tocco di danza è sovrano: i due movimenti interni sottolineano infatti il suo talento come compositore di balletti (ancora un valzer dal soave lirismo: inchino ai Minuetti-per-bene di Mozart). E così nel terzo movimento, che inizia con una graziosa dissonanza per diventare una esplorazione su una gamma di toni ascendenti dalla danzante melanconia russa.
Tema russo anche nel Finale, basato su due arie popolari collezionate da Balakirev: una melodia languida espressa dal violino (da un canto dei battellieri del Volga), poi una trascinante danza cosacca.
Presentata a Pietroburgo, la Serenata ebbe una presa immediata sul pubblico. Il valzer fu bissato numerose volte e, grazie soprattutto a questo movimento, la Serenata divenne una delle opere favorite dalle orchestre d’archi minute.
Brevissimi cenni biografici. Dopo aver studiato al Conservatorio di Pietroburgo, fin dal 1918 Prokof’ev inizia a viaggiare, tra Europa e Stati Uniti, entrando in contatto con personalità di spicco come Diaghilev, Stravinskij e musicisti che appartenevano a correnti d’avanguardia inclini al politonalismo e all’espressinismo (e che già si erano allontanate dalla Russia).
Nel 1923 torna in Russia con l’intento di partecipare in prima persona al processo di trasformazione sociale e culturale del paese, ma viene accusato di “tradimento culturale” dall’ottuso apparato sovietico di Stalin; e, per forza di cose, nei dieci anni che rimase in Unione Sovietica, il senso estetico ma soprattutto la ricerca intellettuale si affievolirono: passando da posizioni di avanguardia a scelte più tradizionali, più vicine ai desiderata dell’intellighenzia politica. Considerato uno dei massimi musicisti del secolo scorso, Prokof’ev vanta una prodigiosa tecnica compositiva progressivamente elaborata sui modelli più intelligenti. Si sa che nella difficile arte dell’orchestrazione Nikolai Rimski-Korsakov rimane una luce insuperabile; nulla di sbalorditivo se il suo allievo preferito, Prokofiev per l’appunto, abbia introiettato e lavorato a partire da quel superbo modello.
Con quattro Sinfonie alle spalle e molti Balletti al suo attivo, Prokof’ev nel 1936 fece definitivamente ritorno in patria. Tra tante amarezze, una piccola sorpresa: l’incarico da parte del “Teatro Centrale di Mosca” di comporre una nuova opera musicale destinata ai bambini: per avvicinare alla musica anche i più giovani. Incuriosito, il compositore accettò l’incarico e in soli quattro giorni consegnò il lavoro – testo e musica. Opera che oltretutto diresse in prima persona, il 2 maggio 1936. Scarso pubblico, scarsa attenzione, scarsa risonanza: Prokof’ev mai avrebbe immaginato l’enorme successo che avrebbe riscontrato la sua opera nei decenni successivi.
La fiaba musicale “Pierino e il lupo” aveva lo scopo (ecco l’intelligenza) di far scoprire ai bambini i più significativi (suoni degli) strumenti dell’orchestra. Mentre il narratore racconta la storia di Pierino, giovane e temerario “eroe” (!) che finisce per averla vinta sul lupo feroce, l’orchestra regala divertenti, curiosi intermezzi musicali in cui i vari protagonisti sono “personificati” dai vari strumenti: l’uccello da un pettegolo flauto, l’anatra dall’oboe, il nonno da un fagotto borbottante, il gatto da un felpato clarinetto, il lupo dai corni. Non mancano gli archi (Pierino) e gli spari dei fucili dei cacciatori (timpani)!
(In brevissimo la storia. Bambino coraggioso, Pierino vuole difendere gli animaletti a lui cari da un lupo feroce. Ostacolato dal nonno che “pericolo! pericolo!” lo chiude in giardino, Pierino assiste impotente alla selezione naturale – agguati e morti di una specie sull’altra. Ma quando si trova in pericolo, il nostro eroe riesce ad uccidere il lupo appendendolo ad un albero per la coda. I cacciatori, avvertiti dall’uccellino, arrivano tardi a suon di spari. Ma il fine è lieto: Pierino è vivo, il lupo morto. E perfino l’anatra torna a starnazzare, uscita viva dallo stomaco del lupo!).
Storia ingenua secondo alcuni, geniale secondo altri, resta fuori discussione la raffinatezza piena di suggestioni di questa partitura: un meraviglioso puzzle di tessere colorate. Da allora, come in tutte le fiabe che si rispettino, fa felici grandi e bambini, orchestrali e spettatori…
Autoritratto di Edgar Vallora
Edgar Vallora (forse suggestionato da Gluck, ma senza riuscirvi) si è dedicato, trasversalmente, a tutto quanto lo appassionava: dalla ristrutturazione di case curiose, alla raccolta di Mirabilia e Naturalia, dalla creazione di “bacheche della meraviglia”, a libri in copia unica. In campo musicale ha stilato i cataloghi ragionati di tutte le composizioni di Mozart, Beethoven e Brahms (editi in Italia, dalla Casa editrice Einaudi; in Francia e in Spagna). Collezionista di lavori alternativi.