67a Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 24 novembre 2011
Ore: 10:00*
giovedì 24 novembre 2011
Ore: 21:00
sabato 26 novembre 2011
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Robert Schumann, Concerto per pianoforte e orchestra op. 54
Felix Mendelssohn Bartholdy, Sinfonia n. 1 op. 11

Biglietteria

Prove Aperte

Biglietti: Euro 10,00/8,00 + prevendita

67a Stagione

Abbonamenti
Interi: da € 252,00 a € 157,50
Ridotti: da € 189,00 a € 115,50

Biglietti
Interi: da € 19,00 a € 10,00
Ridotti: da € 15,00 a € 8,50

 

Il Cast

Direttore: Matthieu Mantanus
Pianoforte: Serena Costa
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Guida all’ascolto di Paolo Castagnone
«Tutta la musica puramente virtuosistica passa presto di moda» [Robert Schumann]

Il Concerto in la minore accompagna a lungo la vita creativa di Robert Schumann. I primi spunti risalgono agli anni giovanili: tra il 1829 e il 1833 aveva abbozzato tre concerti per pianoforte e orchestra e allo stesso periodo appartengono anche l’incompiuta «Introduzione e variazioni su un tema di Paganini» e il «Concert sans orchestre» op. 14, pubblicato nel ’53, in una edizione riveduta, con il titolo di Sonata n. 3. Tanto numerosi tentativi e studi preparatori si spiegano alla luce della perentoria volontà di evitare i clichè di tutta quella letteratura concertistica ricolma di “effetti sorprendenti”, tipici dell’odiato  virtuosismo fine a se stesso.

In una lettera inviata alla fidanzata Clara il 24 gennaio 1839, il musicista espresse incertezze e ripensamenti nei riguardi del proprio lavoro: «Quanto al concerto, si tratta di una via di mezzo tra sinfonia, concerto e grande sonata. Mi rendo conto che non posso scrivere un pezzo di bravura e debbo piuttosto volgere le mie riflessioni in un’altra direzione». Egli aveva quindi esattamente giudicato la propria composizione: Concerto nella struttura, Sinfonia per la compattezza dell’eloquio e Grande Sonata per la presenza del pianoforte come centro d’attrazione. Tutte queste idee maturarono verso il 1841, anno in cui si definì la prima sezione del lavoro, che venne intitolata Konzert-Phantasie. Dopo numerosi rifiuti da parte degli editori, l’artista tedesco si rese conto che era difficile proporla, proprio perché troppo innovativa rispetto agli schemi abituali. Pertanto, nel giugno del 1845 vi aggiunse il secondo e terzo movimento e in questa stesura definitiva il Concerto arrivò alla sua prima esecuzione nel dicembre dello stesso anno, con l’amatissima Clara al pianoforte e Ferdinand Hiller – poi dedicatario del brano – alla direzione.

I travagli creativi e i lunghi tempi di composizione non si avvertono in una pagina che mantiene una perfetta omogeneità di ispirazione e adotta uno stile improvvisativo. Mancano invece del tutto i principi oppositivi che costituivano il centro d’interesse del concertismo beethoveniano: il rapporto dialettico fra solista e orchestra e, a un livello più profondo, il contrasto tematico. Il fulcro del Concerto in la minore è costituito dal pianoforte, ma non si può dire che gli altri strumenti si limitino a un ruolo di accompagnamento come avveniva nei coevi pezzi virtuosistici. Il solista sembra emanare un’onda di energia musicale che investe l’orchestra: ne nasce un discorso estremamente unitario ed equilibrato, che si arricchisce di continue varianti timbriche. E’ il ricchissimo colorismo del suo linguaggio pianistico che si dilata e trova qui una delle sue rappresentazioni più complesse, proiettando su una forma di grande proporzioni quella tipica tendenza schumanniana a far germinare nuove idee da un’unica cellula melodica.

Lo stesso atteggiamento discorsivo è rintracciabile anche nell’impostazione tematica. Apparentemente Schumann si adegua alle caratteristiche della «forma-sonata» così come l’ha sviluppata il Classicismo viennese, con la presentazione dei due temi, lo sviluppo e la ripresa conclusiva. A un’analisi più attenta si scopre però che manca l’elemento essenziale: la spinta propulsiva determinata dal contrasto motivico. La dialettica del sinfonismo classico viene svuotata di significato ed è l’unità del tono lirico a tenere insieme una partitura in realtà monotematica. Il nucleo poetico da cui scaturisce il complesso  intreccio compositivo è il tema dell’amore, evocato dalla citazione dell’aria “Dai giorni primaverili della vita” che Florestano canta nel secondo atto del Fidelio di Beethoven. Un altro elemento confluito nell’invenzione tematica è tratto dalla schumanniana Novelletta op.21 n.8 che, a sua volta, era ispirata al notturno op.6 n.2 di Clara. In una visione di rimandi e citazioni tipica del Romanticismo nordico, l’intero Concerto si può considerare una celebrazione degli ideali di fedeltà coniugale, in omaggio al matrimonio fra Clara e Robert avvenuto il 12 settembre 1840.

La pagina si apre con uno scatto deciso del pianoforte; alla quarta battuta la sezione dei fiati annuncia il tema: una bellissima invenzione melodica ripresa subito dal protagonista. Subito dopo il solista e l’orchestra intonano un’altra lunga frase che ha quasi il sapore di una terza idea, ma che in sostanza è il completamento e l’amplificazione del motivo centrale. Sorprendentemente Schumann, in sostituzione del secondo elemento tematico, ripresenta il nucleo fondamentale trasportato al relativo maggiore, trascolorando la struggente nostalgia iniziale in un’atmosfera animata e fremente.

Esaurita questa prorompente immagine inizia lo Sviluppo, che prende avvio da una trasformazione del tema principale in un episodio delicatamente sognante. Il guizzo ritmico che aveva aperto la partitura serve da raccordo con il successivo episodio, trascinante e carico di passione. La stessa “Cadenza” solistica che chiude la Ripresa rispecchia l’intento anti-virtuosistico dello spartito e arricchisce il materiale musicale con dense armonie, presaghe del futuro stile brahmsiano. L’entrata dell’orchestra dà inizio a una breve “coda”, brillante e briosa fanfara che conduce direttamente all’Intermezzo, un brano dal sapore cameristico e delicato, memore del linguaggio liederistico. Una serie di frasi in dialogo fra il pianoforte e l’orchestra portano all’episodio centrale: un’intensa perorazione del violoncello, che poi cede il passo agli altri strumenti. La ripresa sfocia in una citazione del tema d’apertura del Concerto, sottolineato da sorprendenti accordi del pianoforte che conducono senza soluzione di continuità al Finale. Questo Allegro vivace è una pagina molto brillante e vitale, anch’essa vagamente imparentata – con un chiaro intento ciclico –  al precedente materiale tematico. Qui il solista si lancia in un pianismo molto impegnativo e manifesta insieme all’orchestra una geniale mobilità ritmica, che esprime fresca e allegra baldanza.

«Questo benessere, questa pace, questa grazia spirituale ovunque…» [Robert Schumann a proposito di Mendelssohn]

Talento precocissimo, paragonabile solo a quello di Mozart, il piccolo Felix visse in un ambiente che favorì la sua formazione culturale. I Mendelssohn erano una delle famiglie più in vista di Berlino e la loro residenza veniva frequentata da tutte le personalità più illustri del mondo dell’arte e della letteratura. Nel giardino che circonda la casa, tutti i fine settimana, si fa musica: «una domenica con loro mi sembra il capitolo di un racconto di fate», scrive il poeta Karl Klingemann. Proprio per allietare questi incontri il giovanissimo artista compone, fra il ‘21 e il ’23, ben dodici Sinfonie per archi. Anche la partitura dell’op.11 nasce in ambito familiare, come omaggio di un musicista appena quindicenne per il compleanno dell’amatissima sorella Fanny; tuttavia viene subito percepita come un punto di svolta nel suo percorso sinfonico. L’autografo la indica ancora come “n.13” a prosecuzione della serie precedente, ma nell’edizione a stampa del 1828, uscita con la supervisione dell’autore, è presentata come “Sinfonia n.1”. Mendelssohn nutrì sempre un «terribile rispetto dei caratteri a stampa», sicché il fatto che abbia promosso la pubblicazione ed esecuzione dell’opera deve metterci in guardia dal considerarla un lavoro giovanile e nulla più.

In effetti, pur negli espliciti riferimenti ad Haydn, Mozart, Beethoven e Weber, l’op. 11 mostra i tratti compositivi tipici del suo stile maturo: l’unione ciclica del materiale motivico e la sua derivazione da un nucleo comune, la sostituzione dell’elaborazione tematica con un contrappunto rigoroso, la definizione strutturale degli elementi secondari come intermezzi lirici e la peculiare concezione dell’orchestrazione, per cui il singolo strumento non è più portatore del materiale melodico ma rappresenta semplicemente un colore sonoro.

La Sinfonia si apre con un gesto deciso dell’intera orchestra e un primo tema vigoroso ed esuberante, affidato ai violini in unisono. Questo Allegro molto è fedele alla struttura sonatistica delle sinfonie di Haydn, mentre il contrasto espressivo e formale necessario è fornito da una seconda idea musicale estremamente cantabile e da alcuni pregevoli motivi collaterali, uno dei quali sembra direttamente tratto dalla “Praga” di Mozart. Il successivo Andante è basato su un’unica melodia, esposta in apertura dagli archi: è un tema di struttura regolare, dal carattere grazioso e pastorale. Nel complesso l’atmosfera rimane su toni sereni e questo ci permette di gustare ancora più finemente la qualità cristallina dell’eloquio melodico di Mendelssohn, un gusto per la linea semplice, mai scontata o ripetitiva.

Il Menuetto ci riporta al clima degli Scherzi beethoveniani, il cui modello ispirerà al musicista amburghese alcune delle più belle pagine della maturità. L’andamento rapido e l’incertezza metrica ben studiata, ricordano da vicino la Quinta di Beethoven e la Sinfonia n.40 di Mozart. Il Trio, caratterizzato dal timbro acquoreo dei fiati e dal pizzicato degli archi, presenta sonorità di rara leggerezza. Ciononostante l’autore non dovette essere totalmente soddisfatto di questo movimento e, a partire dall’esecuzione londinese avvenuta il 25 maggio 1829, lo sostituì spesso con lo Scherzo dell’Ottetto per archi op.20, fornito di una nuova ed elegantissima veste orchestrale.

La Sinfonia è conclusa da un Allegro con fuoco, che sul piano formale è un calco fedele di una grande Fuga, poiché è costituito da un contrappunto formidabile, di grande trasparenza e privo di forzature, sul modello dell’ultimo movimento della Sinfonia op. 95 di Haydn. La trionfale e ottimistica coda è sicuramente un omaggio all’Egmont beethoveniano e al Franco cacciatore di Carl Maria von Weber; tuttavia la raffinata qualità della scrittura non lascia dubbi sulla sicurezza compositiva e la finezza di tocco del giovane Mendelssohn.