Le date
Gioachino Rossini, L’occasione fa il ladro, ouverture
Giuseppe Verdi, Capriccio per fagotto e orchestra
Gioachino Rossini, Concerto per fagotto e orchestra
Wolfgang Amadeus Mozart, Sinfonia k 425 (Linz)
Biglietteria
Prove Aperte
Biglietti: Euro 10,00/8,00 + prevendita
67a Stagione
Abbonamenti
Interi: da € 252,00 a € 157,50
Ridotti: da € 189,00 a € 115,50
Biglietti
Interi: da € 19,00 a € 10,00
Ridotti: da € 15,00 a € 8,50
Il Cast
Direttore: Maurizio Zanini
Fagotto: Patrik De Ritiis
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
A cura di Sergio Casesi
E’ sempre ricco di interesse l’ascolto di pagine strumentali dei grandi operisti italiani. Se è vero che la vena della musica non vocale nel nostro primo romanticismo è stata interrata a favore dell’Opera, i compositori hanno comunque lasciato esempi di valore della loro arte. Oltre alle famose Sinfonie d’Opera e ai vari intermezzi, seguendo i pochi esempi di Concerto solistico, o di brani di virtuosismo strumentale lasciatici da Verdi, Rossini, Bellini o Ponchielli, possiamo costruire una cornice a quella tela sconfinata che è il melodramma italiano. Se le composizioni per strumenti appaiono quasi sempre come brani d’occasione, a volte come studi o bozzetti per musiche dedicate alla scena, non possiamo resistere al fascino intenso di una ispirazione, forse minore, ma comunque capace di illustrare in pochi minuti un’intera stagione culturale e civile del nostro paese.
Nei vari Movimenti, Variazioni e Cantabili per oboe, violino, corno o clarinetto degli operisti, abbiamo flash di un’epoca musicale che fu specchio di una società in evoluzione, società che consolidava i propri valori costruendosi nuovi miti, nuovi templi e elaborando nuove istanze per il futuro. Anche questo fu il nostro Risorgimento.
Lo stile di queste musiche non ha nulla a che fare con la grande tradizione strumentale tedesca. Al di qua delle Alpi è tutto cuore e stupore, nell’esempio di Paganini. Un Paganini italiano, da sipario aperto e gallerie colme di gente appassionata, non certo il Paganini del Carnaval di Schumann o quello visto in modo trascendentale e spiritualista da Listz.
D’altronde l’Italia è il paese del Barocco, dell’inutile elevato per essere adoperato in maniera indispensabile, dell’idea travolta da un’elaborazione intellettuale tale che sveli da un lato l’evanescenza del vivere e dall’altro lo stupefacente e meraviglioso passaggio del presente, del contingente. Proprio le ricchissime partiture barocche in senso stretto, Vivaldi su tutti, sono il pozzo dei sogni di tutti i virtuosismi strumentali del bel paese, anche se nascosti per lo più nei melodrammi più travolgenti. Tali virtuosismi riemergeranno poi nelle orchestrazioni spettacolari di Puccini e poi di Zandonai fino a Respighi, compositore che finalmente affrancherà la composizione dal canto ponendo le basi per quel nuovo sentimento strumentale italiano che nascerà dopo la seconda guerra, con il genio di Maderna e di Berio.
Il Barocco vitale, l’estetica della bravura, della velocità, della supremazia dell’effetto, sia emozionale che puramente tecnico, disegnò per secoli in Italia sprazzi di bellezza, ora nascosta ora plateale e incombente nella sua forza, squarci e guizzi di veloce e suadente tremor di incanto, dando alla nostra scuola strumentale quella fama europea che ancora oggi stenta a scemare.
L’Occasione fa il ladro di Rossini è un’Opera che ebbe all’epoca uno straordinario successo. Dopo il debutto veneziano del 1812 venne replicata in tutta Europa, per poi, alla morte del compositore pesarese, venir dimenticata. Commedia degli equivoci – una valigia scambiata causerà notevoli problemi ai vari personaggi alloggiati in una locanda a causa di un temporale – si apre con una Sinfonia dolce nella sua introduzione classica e ben educata sfociante in una scompigliata nuvolaglia di turcherie, in un vortice fintamente rabbioso, e per niente preoccupato, inscenato dai violini e dai fiati accesi come torce in una “notte oscura e tempestosa”, come recita la prima didascalia del libretto. Ma è un’opera buffa, una “Burletta per musica” e non potrà che chiudersi con il Tutti che recita:
D’un sì placido contento sia partecipe ogni core, e costante il Dio d’amore renda il nostro giubilar;
e se a caso l’occasione l’uom fa ladro diventar, c’è talvolta una ragione, che lo può legitimar.
Il Capriccio per Fagotto e Grande Orchestra di Giuseppe Verdi, scritto probabilmente nel 1838, è stato ritrovato solo una decina di anni fa da don Amos Aimi dell’archivio storico della Diocesi di Fidenza. Si tratta di un brano ispirato, anche se giovanile, da una delicata e leggera vena poetica: ci sembra Verdi qui immaginare un Basso Comico alle prese con una magica impossibilità di esprimersi a parole, costretto ad urlare a bocca chiusa, esagerando ogni suono ed ogni gesto, cercando di attirare l’attenzione per chiedere aiuto o, chissà, un po’ di conforto.
Diverso è il caso del Concerto per Fagotto di Rossini. Qui il fagotto Principale, come recita il manoscritto conservato presso il Fondo Musicale dell’Opera Pia “G. Greggiati” di Ostiglia nei pressi di Mantova, viene usato in maniera più completa. Il modello classico è più presente, i tre movimenti si susseguono con armonia, svelando un discorso sempre leggero e vivace ma più articolato. Varie espressioni, vari affetti e difficoltà strumentali si susseguono illustrando il sorriso geniale, scaltro ed esperto del grande compositore buffo.
Sinfonia K425 Linz
Una delle nostre più grandi fortune e gioie di uomini è l’avere avuto Mozart fra noi nel corso del Settecento. Forse se fosse comparso un tale genio della musica nell’antichità, o durante il Medio Evo, oggi nessuno crederebbe alla sua portentosa capacità creativa. Forse si direbbe, come per Omero, che si tratta di un personaggio mitico. O forse, e sarebbe peggio, sarebbe stato venerato come un santo o come un mago, o uno stregone.
Fatto sta che il secolo dei lumi, e la storia che ne è venuta, ha salvato l’uomo in tutte le sue qualità. Sappiamo che fu vero, autentico, reale in ogni frangente della sua vita breve, dall’incredibile talento musicale alla vita privata, dalle amicizie ai luoghi dove il suo lavoro è stato apprezzato e pagato.
La Sinfonia Linz è ancora una volta manifestazione del genio mozartiano. Così scrive da Linz il compositore il 30 ottobre 1783: “Martedì 4 novembre darò un gran concerto in teatro e, non avendo portato con me nessuna Sinfonia, ne sto scrivendo una a gran velocità…” Mozart, in viaggio da Salisburgo a Vienna, si ferma a Linz ospite del conte Thun, suo grande ammiratore, che organizza per lui un concerto, Accademia all’epoca, da tenersi quattro giorni dopo.
Così nasce una delle più struggenti bellezze musicali di ogni tempo. In quattro giorni solamente.
Tutto in questa composizione sembra semplice, perfetto, intoccabile. Si può ascoltare l’apprezzamento di Mozart per le sinfonie di Haydn senza che il compositore rinunci mai alla propria grande originalità. La Linz mostra un legame ideale fra Mozart e Haydn, il senso di un classicismo vivo, forte, agitato ma sempre sereno, profondo e ricchissimo; del resto non mancano in questa composizione slanci al futuro, sguardi oltre, ottenuti ampliando il lessico dell’epoca, pressando sulle parti più fragili dello stile classico per ottenere passaggi più espressivi, diversi, carichi di un nuovo significato ancora più affascinante per l’intimità che esprimono con il sentire umano.
La Sinfonia si apre con un Adagio che dalle prime note solenni e maestose porta prestissimo ad altri paesaggi interiori: maestosa è l’espressione dell’anima magnanima, dell’anima capace della più grande introspezione. Così, con il cuore spalancato sull’umanità, si arriva al primo Allegro, capolavoro assoluto e cardine dell’intera composizione. Il Tema iniziale, solare, dall’incipit quasi sacro, verrà subito riproposto in un grandioso Tutti, a conferma della nuova concezione sinfonica concretizzatasi già con la Sinfonia Haffner. L’esposizione e lo sviluppo poi alterneranno malinconica distanza apollinea ad una grande forza virile, passando sempre da transizioni che declinano l’espressione in un prisma infinito di affetti, raggiungendo un equilibrio straordinario tra i contrasti timbrici, ritmici e melodici. Il primo tempo della Linz è un grandioso intreccio di linee diverse, sovrapposte fino a giungere a grandi ed emozionanti momenti polisemici. Il primo movimento, che terminerà con un trionfo dell’anima gioiosa, è un grande affresco celebrante la contemporaneità degli eventi, l’equilibrio che ne viene e la gioia che ci pervade nella coscienza di esso.
L’Andante, introspettivamente, fa nascere da un etereo tema cantabile un vero e proprio dramma. Ricco di pathos, sospeso nel silenzio di alcuni momenti tragici e oscuri, con puri cambiamenti di colore viene risolto verso un clima di serenità divina, ideale ed intoccabile. Qui Mozart, solo cambiando il punto di osservazione, muta spesso il segno della musica, dalla paura tragica alla calma sovrumana: Schubert non sembra lontano, il Romanticismo è davvero alle porte. Questo secondo movimento è scritto nella potenza del puro canto, innato, primordiale in ogni uomo. Evocativo e poetico, sfiora l’oscurità rimanendo sempre limpido, chiaramente amabile, come l’animo di chi, appena prima di scorgere l’abisso, chiude gli occhi e di lato si volta.
Il Minuetto, ed è davvero difficile iscrivere in questa piccola forma qualcosa di glorioso e monumentale, si avvale di un Trio dove fagotto e oboe sembreranno corteggiarsi docilmente, come uccelli su un ramo, o come un uomo e una donna troppo timidi per dirsi tutto, troppo timidi per dichiararsi, come invece converrebbe in una intesa amorosa.
A concludere l’opera il Finale, grande festa del cuore per il giubilo dell’intelligenza. Il motivo generante, poco più di arpeggio di Do maggiore, viene sviluppato con la dolcissima ironia del genio mozartiano e con il caloroso abbraccio della danza che dai veloci passaggi degli archi freme e si sprigiona sull’intera orchestra. Note veloci, ribattuti, imitazioni, Tutti orchestrali all’unisono e piani improvvisi… non c’è limite alla fantasia di chi conosce, e vive, nella libertà della creazione.