67a Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 27 ottobre 2011
Ore: 21:00
sabato 29 ottobre 2011
Ore: 17:00

Johannes Brahms, Concerto per violino e orchestra  op. 77
Johannes Brahms, Sinfonia n. 1 op. 68

Biglietteria

67a Stagione

Abbonamenti
Interi: da € 252,00 a € 157,50
Ridotti: da € 189,00 a € 115,50

Biglietti
Interi: da € 19,00 a € 10,00
Ridotti: da € 15,00 a € 8,50

Il Cast

Direttore: Corrado Rovaris
Violino:  Valeriy Sokolov
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Guida all’ascolto di Edgar Vallora
Grande estate quella del 1878: in pochi mesi nasce infatti il Concerto per violino, primo ed unico nella letteratura brahmsiana, considerato un capolavoro nel repertorio solistico di questo strumento. Si ha notizia infatti che alla fine d’agosto – era la seconda estate che Brahms trascorreva nel villaggio di Porschach, in Carinzia – i quattro movimenti del Concerto erano ormai completati (l’Op.77 presentava infatti quattro movimenti, compreso uno Scherzo successivamente abolito). (Due parole a proposito del pittoresco villaggio in Carinzia, e della sua atmosfera “rigenerante”. “Montagne bianche di neve, – scrive Johannes all’amico Billroth – il lago azzurro, gli alberi ricoperti di un tenero verde…. Nessuno  potrebbe darmi torto a  non voler più andare da questo posto”).

Sul piano musicale va detto innanzitutto che l’Op.77 è stata letta – da sempre – come “il sigillo apposto all’amicizia con  il violinista Joachim”: un’amicizia che, seppure turbata da qualche screzio, durerà tutta la loro vita. Brahms era talvolta poco sicuro della tecnica violinistica (strumento amato ma non così familiare) per cui fece costante riferimento a questo illustre amico-consigliere. Lo scambio di lettere e manoscritti fra i due artisti movimentò l’intero periodo di Porschach. Poi, alla fine dell’estate, il compositore ritenne indispensabile un consulto di persona; così i due amici si trovano a Portschach nella speranza di risolvere certi passaggi tecnici ancora problematici (passi non adatti al violino, posizioni scomode, colpi d’arco non naturali).  E così, fino alla prima esecuzione (anzi, fino al giorno della pubblicazione), i due artisti continuarono a scambiarsi pareri e confidenze. (Da notare che Brahms tenne in ben poco conto i suggerimenti del violinista e si mostrò decisamente riluttante a “toccare”  la parte del solista).

Nonostante le consulenze tecniche e l’appoggio di Joachim, nei primi anni di vita il Concerto fu giudicato “ineseguibile”. Oltre alle difficoltà tecniche (soprattutto “quel perdurante impaccio di specie pianistica nel trattare il violino”…) esistevano altre insidie, più subdole ancora: difficoltà a livello di comprensione, di comunicazione, di interpretazione (di cui l’opera di Brahms soffrì in molti paesi, particolarmente in Francia). Solamente nel Novecento l’Op.77 si è imposta come una delle opere più popolari di Brahms e più significative del repertorio violinistico: a pari livello dei Concerti di Beethoven, di Mendelssohn e di Caikovskij.

Le sofferenze del Concerto sembrano incomprensibili al giorno d’oggi: soprattutto quando si riflette sull’effettiva conquista di questo capolavoro, una poesia facile e distesa, espressa sempre attraverso linee morbide, pure e melodiche. Questo lato amabile, affabile, “femminile” nel senso più nobile del termine, lo si può leggere in tutti i tre tempi in cui il Concerto è strutturato.

L’Allegro iniziale, impostato in forma-sonata, rappresenta un movimento imponente e complesso, di grande respiro sinfonico: tre i temi sviluppati dal solista, tre i grandi assoli del solista. L’Adagio, strutturato in forma tripartita, possiede una “carica estatica” che ha incantato tutti i commentatori:  un limbo insondato di luce zenitale nel quale il violino compie mirabolanti evoluzio-ni  senza turbare questo quadro senza ombre. Impostato sul modello beethoveniano è invece il Finale, brano inequivocabilmente sinfonico: un travolgente gioco “alla pari”, tra solista e orchestra, che mostra un lato caratteristico di Brahms, quello di cultore di musiche popolari. Il tema, nel suo slancio trascinante, è presentato dal violino: tema vivace, brillante, dal piglio eroico e rude insieme, con un sapore tzigano che sarebbe stato apprezzato da Haydn. La Coda concitata, resa ebbra da un’ultima modifica nel ritmo, concorre al trascinante successo dell’opera.

Il Concerto fu presentato il 1° gennaio 1879 al Gewandhaus di Lipsia, nell’interpretazione dello stesso Joachim, sotto la direzione di Brahms. La novità della concezione brahmsiana, che superava un’impronta prettamente virtuosistica a favore di un’integrazione (più matura e più difficile) tra solista e orchestra, evidentemente lasciò sconcertati pubblico e critica.

Abbiamo notizia invece di una leggendaria esecuzione: quella del maggio 1880, ancora con Joachim come solista. Occorre sapere che a Bonn era stato costituito un comitato per la realizzazione di un monumento alla memoria di Schumann. I festeggiamenti erano iniziati il 30 aprile alla stazione di Bonn quando il comitato, guidato da Brahms, aveva dato il benvenuto a Clara Schumann e ai suoi bambini; mentre il 2 maggio giunsero tutti i vecchi amici di Schumann. Sfilano le delegazioni, si depongono fiori sulla tomba. Discorsi, cori; poi, per la sera, i manifesti di  un “Grande Concerto”. In apertura Brahms dirige la “Renana” del compositore commemorato, Joachim presenta le musiche di scena del “Manfred”; infine – pezzo forte della serata – Brahms e Joachim si uniscono simbolicamente nel  Concerto Op.77. Trionfo assoluto: applausi che sembrano non terminare, fiori che sommergono il palco. Anche perché – a detta di tutti i musicisti presenti – quella restò una delle migliori interpretazioni nella vita di Joachim.

Alcuni giochi di parole di critici e interpreti. Recensore contemporaneo: “Sinfonia con violino obbligato”. Von Bulow: “ Concerto contro il violino”. Hubermann: “Concerto fra violino e orchestra, in cui alla fine vince l’orchestra”.

Nel 1876 un nuovo capolavoro viene ad arricchire la storia della musica: dopo vent’anni di attese, di riflessioni, paure e inibizioni, Brahms considera “licenziata” la sua Prima Sinfonia (ovvero la “Decima”, nella retorica definizione di Hans von Bulow, con evidente allusione alle nove Sinfonie di Beethoven). Ecco comparire la Sinfonia che Schumann aveva preannunziato nel profetico articolo del 1853; l’opera che tutti – amici e detrattori – attendevano da anni e che molti già conoscevano attraverso le infinite audizioni avvenute nel corso della gestazione.

Per tanti tanti motivi si avverte che è un’opera “massiccia”: concentrazione del pensiero di anni, lavoro intenso e spesso ingrato, straordinaria abbondanza di materiale tematico, complessità di scrittura, scelta di un organico particolarmente sostenuto. Tutti, sostenitori e detrattori, si inchinano comunque dinanzi all’”eccezionale spessore” di tale partitura.

Ecco le date finali della Sinfonia. Nel giugno del 1876, dopo un soggiorno a Berlino in compagnia dell’amata Clara, Brahms sceglie come residenza estiva un luogo solitario e tranquillo, Sassnitz, in un’isola deserta del mare del Nord. Fu qui che l’autore ritrovò lo stesso cielo, la terra, il suo mare; nonché quel dialetto tedesco che era stata la rude parlata del padre; fu qui che affrontò la stesura definitiva di gran parte della Sinfonia.

Doveroso un cenno sul legame Beethoven-Brahms, legame che avuto origine dall’incauta espressione di von Bulow e che per decenni ha generato equivoci nel giudizio obiettivo della Sinfonia. Il raffronto “fatale” con Beethoven, l’intenzione – più o meno consapevole – di creare un pendant della Nona imposero all’autore un particolare attenzione all’elemento tematico e alla forma, che Brahms cercò di orientare nel senso di musica “pura”. Dal confronto con questo difficile modello ebbero origine molte scelte brahmsiane: come l’intensificazione del lavoro tematico o l’adozione di tecniche strutturali  inedite. In effetti la Sinfonia riprende per certi versi quel processo di “lievitazione interna” già conosciuto nel linguaggio beethoveniano: processo che muove dalla tensione del primo movimento, che passa attraverso intermezzi più neutrali, per spingersi infine verso la catartica liberazione del Finale. Quello che appare intrinsecamente diverso è il “linguaggio” di Brahms, ricco di inedite modulazioni e calato in una dimensione complessiva nuova, più lirica che drammatica. Insofferente per natura ad ogni accento magniloquente, attento a una minuziosa elaborazione tematica che pare riagganciarsi alla polifonia barocca, Brahms concentra la sua attenzione sul sovrapporsi di vari elementi tematici e dei loro  legami interni.

Quattro i movimenti. Se il primo tempo vive in un miracoloso equilibrio di tecnica e di ispirazione a pari livello, l’Andante – quella pausa di riflessione più interiorizzata – è un movimento da più parti giudicato “debole”.  Conserva comunque il disteso, serafico  andamento lirico proprio degli intermezzi brahmsiani. Quieto e garbato buonumore lo si trova anche nel terzo movimento, “Un poco Allegretto in forma di Scherzo”. A quel punto irrompe il monumentale Finale, culmine della Sinfonia, diviso in tre sezioni. Prima un Adagio, un’introduzione solenne, cupa, ieratica; quindi un Andante, anch’esso grandioso ed enigmatico, e infine l’Allegro vero e proprio. Sovrabbondanza, complessità, ampiezza di respiro fuori dal comune sono i tratti caratteristici di questa celebratissima pagina.

Due commenti sulla Prima. Uno di un recensore contemporaneo: “ Vi ritroviamo, nostro malgrado, quelle ombre che si accompagnano alle facili luci: la mancanza di fantasia, l’assenza di fascino e di sensibilità, un ascetismo tetro che arriva all’insipidezza. Il suo linguaggio non ha perduto niente della rigorosa concisione, dell’elevatezza che contraddistingue Brahms; ma non ha neppure guadagnato un soldo  in facilità, chiarezza e intelligibilità”.

Uno di un critico del nostro secolo. Quattrocchi: “Nonostante i legami col passato, la Prima non è opera di sterile epigonismo, e costituisce anzi un risultato del tutto inedito e proiettato verso il nostro secolo. Innovatrice è, innanzitutto, la tecnica di scrittura, che, applicando a una struttura in quattro tempi i principi  di germinazione tematica già presenti nella Variazioni, dà luogo a una rete di sotterranee interrelazioni tematiche di straordinaria coerenza interna”.

Notizie sull’esecuzione. La “prudenza” nella presentazione pubblica fu pari alla cautela con cui il compositore si era avvicinato alla Sinfonia. Nel novembre 1876 l’orchestra granducale di Karlsruhe offre la prima esecuzione; era stato lo stesso Brahms, timoroso, a desiderare che la partitura fosse presentata in una città ben disposta e intelligente. L’esperimento conforta l’autore: tre giorni dopo, il 7 novembre, Brahms esordisce con la Sinfonia a Mannheim e pochi giorni dopo a Monaco, poi Vienna.

Ma la vera “prima”, quella emblematica, avvenne invece a Lipsia nel gennaio del 1877 e costituì uno dei primi successi riportati da Brahms in questa città. Parecchi amici si ritrovarono a Vienna: oltre a Clara Schumann, anche i due Joachim, i coniugi Grimm, gli Engelmann, i Simrock. Dopo il concerto gli amici si strinsero attorno a Brahms per un trionfale banchetto all’albergo “Hauffe”. Brahms visibilmente commosso.

Autoritratto di Edgar Vallora
Edgar Vallora (forse suggestionato da Gluck, ma senza riuscirvi) si è dedicato, trasversalmente, a tutto quanto lo appassionava: dalla ristrutturazione di case curiose, alla raccolta di Mirabilia e Naturalia, dalla creazione di “bacheche della meraviglia”, a libri in copia unica. In campo musicale ha stilato i cataloghi ragionati di tutte le composizioni di Mozart, Beethoven e Brahms (editi in Italia, dalla Casa editrice Einaudi; in Francia e in Spagna). Collezionista di lavori alternativi.