68ª Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 31 gennaio 2013
Ore: 10:00*
giovedì 31 gennaio 2013
Ore: 21:00
sabato 02 febbraio 2013
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Serie Curiosity
Glazunov, Concerto per sassofono e orchestra d’archi op. 109
Nyman, Where the Bee dances, Concerto per sassofono contralto e orchestra
Stravinskij, Pulcinella, suite

Biglietteria

BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50

Ridotti
(Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50

Il Cast

Direttore e sax: Federico Mondelci
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Programma a cura di Oreste Bossini

Concerto per sassofono contralto e orchestra in mi bemolle maggiore op. 109
Glazunov era una delle eminenti personalità della musica sovietica negli anni Venti. Direttore del Conservatorio di San Pietroburgo dal 1905, Glazunov era rimasto al suo posto anche dopo la Rivoluzione d’Ottobre, malgrado professasse tendenze conservatrici in materia estetica. L’appoggio dell’influente Commissario bolscevico per la Cultura Anatolij Lunacarskij garantiva al musicista una certa indipendenza e anche la possibilità di aiutare in maniera concreta molti giovani talenti del suo Conservatorio, come Sostakovic e il violinista Nathan Milstein. Ma verso la fine degli anni Venti il clima politico e culturale stava cambiando in maniera radicale. Glazunov si rese conto che ben presto non avrebbe più goduto della stessa libertà sia come compositore, sia come Direttore del Conservatorio. Nel 1928 approfittò di un viaggio a Vienna in occasione delle celebrazioni per il centenario di Schubert e non fece più ritorno in Russia. La fuga fu soft, per così dire, senza una vera e propria rottura con le autorità di Mosca. Glazunov rassegnò le dimissioni dal Conservatorio solo nel 1930 e ufficialmente si trovava all’estero in viaggio. Nel frattempo aveva trasferito la residenza a Parigi, dove aveva rispolverato un vecchio amore per gli strumenti a fiato. In particolare si era infiammato per il suono dello strumento inventato da Adolphe Sax quasi un secolo prima, ma introdotto in orchestra in quegli anni dagli autori modernisti come Ravel e Hindemith. In una cartolina all’amico Max Steinberg scriveva il 21 marzo 1932: «Ho idea di scrivere un quartetto per sassofoni. Questi strumenti si sentono in maniera distinta; in orchestra essi coprono di regola gli strumenti a fiato con il loro suono. Ci sono grandi solisti di sassofono nella banda della Guardia Nazionale». Il lavoro fu portato a termine e Glazunov ne fu molto soddisfatto. Qualche tempo dopo, nel 1934, l’autore cominciò a lavorare a un Concerto per sassofono “sotto l’influenza degli attacchi, più che delle richieste, del sassofonista danese Sigurd Rascher”. In realtà Raschèr era un musicista tedesco, passato abbastanza per caso al sassofono ma deciso a trasformare lo strumento in un solista pienamente accettato dal mondo classico. Cominciò infatti a rivolgersi a numerosi compositori perché scrivessero per lui nuovi lavori per sassofono e orchestra. Glazunov stese in poche settimane la partitura del Concerto per sassofono contralto, che si sviluppa in un unico torso. La struttura del lavoro nasconde e sintetizza tuttavia la forma tradizionale della sonata, con un’esposizione, un breve sviluppo e una ripresa del materiale iniziale prima della conclusione in stile fugato. Il percorso formale è accompagnato da un’analoga architettura armonica, che disegna un cerchio aperto e chiuso dalla tonalità di mi bemolle maggiore.

Il lavoro fu eseguito per la prima volta da Raschèr il 25 novembre 1934 a Nyköping, in Svezia. Non è noto se Glazunov, scomparso nel 1936, abbia mai avuto la possibilità di ascoltare la propria musica.

Where the Bee Dances per sassofono soprano e orchestra
Come nel caso del Concerto di Glazunov, anche il lavoro di Nyman nasce dal rapporto con un sassofonista, John Harle, per molti anni una delle figure principali della Michael Nyman Band. Harle non è stato soltanto per molti anni un compagno di avventure musicali di Nyman, ma anche uno dei solisti più interessati a sviluppare le possibilità tecniche dello strumento. Nel 1980, per esempio, Harle ha lavorato intensamente con Luciano Berio per mettere a punto la scrittura della Sequenza IX per sassofono contralto. Il carattere sperimentale del sassofono di Harle rimane forse un po’ più in ombra nel lavoro di Nyman, scritto come il Concerto di Glazunov in un unico movimento. Il titolo scelto dall’autore, “Dove l’ape danza”, ha un duplice riferimento, come spiega lo stesso compositore: «da una parte si riferisce alle danze circolari di orientamento che le api operaie eseguono per comunicare la posizione delle fonti di cibo, dall’altra al [sonetto di Shakespeare] Where the bee sucks, da me musicato per il film di Peter Greenaway Prospero’s Book e citato sporadicamente nel concerto».

Da un punto di vista più strettamente musicale, il Concerto si basa su una formula armonica di quattro accordi, ripetuta in maniera incessante, com’è tipico della minimal music (vale la pena di ricordare che questa fortunata espressione è stata coniata proprio da Nyman in veste di critico musicale). Il carattere ipnotico dello stile di Nyman si sposa certamente bene con l’ossessiva circolarità del movimento delle api, ma l’inizio del lavoro rimanda invece all’altra fonte indicata dall’autore, il sonetto di Shakespeare musicato per il film di Greenaway. In quello stesso anno, 1983, Nyman aveva composto la colonna sonora per un film di Michael Eaton, Frozen Music, in cui compare una sequenza di accordi di carattere pentatonico che rappresenta forse l’inizio della catena di richiami musicali che sfocia nel Concerto per sassofono soprano.

Pulcinella, composto a Morges tra il settembre 1919 e l’aprile successivo, fu rappresentato per la prima volta il 15 maggio 1920 al Théâtre de l’Opéra di Parigi dai Ballets Russes di Diaghilev con le coreografie di Léonide Massine, interprete anche del ruolo principale, e le scene e i costumi di Pablo Picasso. Il soggetto del balletto, tratto da un manoscritto della commedia dell’arte napoletana del primo Settecento, recita: «Tutte le fanciulle del quartiere amano Pulcinella, mentre i giovanotti, rosi dalla gelosia, meditano di ucciderlo. Non appena si presenta l’occasione di mettere in atto il loro proposito, essi si travestono da Pulcinella con l’intenzione di impressionare le loro belle. Ma Pulcinella, astutamente, ha scambiato se stesso con un compare, che finge di soccombere sotto i colpi dei rivali. Il vero Pulcinella, nei panni di un mago, viene a “resuscitare” la sua controfigura. Proprio quando i giovanotti pensano di essersi finalmente sbarazzati di lui, il vero Pulcinella riappare e organizza le nozze per tutti. Lui stesso sposa Pimpinella, con la benedizione del suo sostituto (Furbo), che a sua volta s’immedesima nella figura del mago».

La maschera napoletana non era una novità per il pubblico francese. Pulcinella compariva anche nella Boîte à joujoux di Debussy, scritta nel 1913 e rappresentata postuma, nel 1919, al Théâtre de Vaudeville di Parigi. Nel suo ballet pour enfants, Debussy portava nel mondo dei pupazzi di legno la trama del Pelléas et Mélisande, il cui triangolo amoroso è trasfigurato nel rapporto tra Pulcinella, la bambola e il soldato. L’idea di Diaghilev non aveva comunque nulla a che fare con Debussy, ma era nata dal successo di un precedente spettacolo dei Ballets russes, Le donne di buon umore, su musica di Domenico Scarlatti orchestrata da Vincenzo Tommasini. Napoli rappresentava lo scenario ideale per la nuova impresa creativa di Diaghilev. Stravinskij ricordava nelle Chroniques de ma vie: «La prospettiva di lavorare con Picasso, che doveva occuparsi delle scene e dei costumi e la cui arte mi era infinitamente cara e vicina, il ricordo delle nostre passeggiate e delle nostre molteplici impressioni di Napoli, l’autentico piacere che avevo provato di fronte alla coreografia di Massine per Le donne di buon umore, tutto ciò concorse a vincere la mia esitazione di fronte al delicato compito di insufflare nuova vita a dei frammenti sparsi e di costruire un insieme con dei brani staccati di un musicista per il quale avevo sempre provato una propensione e un’emozione particolari».

Il musicista in questione era Giovan Battista Pergolesi, che Diaghilev aveva suggerito come fonte della musica, consegnando a Stravinskij dei manoscritti scovati, a detta dell’impresario, in vari Conservatori italiani. A partire dal 1949 gli studiosi hanno cominciato a vagliare l’autenticità delle musiche attribuite a Pergolesi, scoprendo che in realtà egli è l’autore solo di 10 dei 21 brani musicali usati nel Pulcinella. Di questi, nessuno è un frammento in senso proprio, ma tutti derivano da lavori vocali e strumentali: Il Flaminio, Lo Frate ‘nnamorato, la cantata Luce degli occhi miei e la Sinfonia per violoncello e continuo. I rimanenti “frammenti” appartengono ad altri musicisti settecenteschi: Domenico Gallo, Carlo Monza  e il conte Unico Wilhelm van Wassenaer. A loro, va aggiunto Alessandro Parisotti, che pubblicò nel 1885 un volume di Arie antiche, da cui è tratto «Se tu m’ami», un falso tardo-ottocentesco probabilmente dello stesso Parisotti.[1]

Nulla di tutto questo era noto né a Stravinskij, né a Diaghilev. L’ipotesi più attendibile è che l’impresario abbia acquistato in Italia vari manoscritti attribuiti a Pergolesi, senza farsi troppe domande.

Alla luce della complessa vicenda delle fonti, risulta forse più facile interpretare l’atteggiamento di Stravinskij nei confronti della musica del Settecento e lo scandalo sollevato dal lavoro. Il titolo originale del balletto era Pulcinella; ballet avec chant en un acte d’après Giambattista Pergolesi. Un’idea più precisa del neoclassicismo di Stravinskij emerge da una lettera inviata nel 1935 al Presidente della Societé des Auteurs et Compositeurs Dramatiques, in cui gli interessi materiali lo inducono a chiarire la portata dell’operazione: «Il balletto è una composizione originale che trasforma completamente gli elementi mutuati da Pergolesi. Pulcinella non è un’armonizzazione o un’orchestrazione, i cui termini designano il significato usuale di “arrangiamento” – ma una vera composizione in senso proprio, dal momento che il materiale mutuato è stato elaborato in maniera originale». [2]

In apparenza questa affermazione suona in contrasto con quanto Stravinskij sosteneva nel 1962 in Expositions and Developments: «Ho cominciato con il comporre sui manoscritti stessi di Pergolesi, come se stessi correggendo un mio vecchio lavoro. Ho iniziato senza preconcetti o attitudini estetiche, e non avrei potuto fare alcuna previsione sul risultato. Sapevo che non avrei potuto produrre un “falso” di Pergolesi dal momento che i miei comportamenti ritmici sono così differenti; nel caso migliore, avrei potuto imitarlo con il mio proprio accento. Che il risultato fosse fino a un certo punto una satira era forse inevitabile – chi avrebbe potuto trattare quel materiale nel 1919 senza che fosse una satira? – ma anche questa osservazione è col senno di poi; non mi ero prefisso di comporre una satira e, naturalmente, Diaghilev non aveva mai preso in considerazione la possibilità di un fatto del genere. Un’orchestrazione stilizzata era quel che voleva Diaghilev, e niente più, e la mia musica lo sconcertò a tal punto, che se ne andò in giro per un bel po’ di tempo con l’aria del Diciottesimo Secolo Offeso. Nei fatti, comunque, la cosa notevole di Pulcinella non è quanto, ma quanto poco è stato aggiunto o cambiato…».

Non è la sola contraddizione di Stravinskij, o per meglio dire delle  varie persone che hanno collaborato alla stesura dei suoi testi. Nell’autobiografia del 1936, scritta in collaborazione con Walter Nouvel, l’autore diceva di essere stato «sempre incantato dalla musica napoletana di Pergolesi, così profondamente popolare eppure così esotica nel suo carattere spagnolo». Nel 1959, invece, l’incanto era sparito, secondo quanto riportato da Robert Craft in Conversations with Igor Stravinsky: «Pergolesi? Pulcinella è l’unico lavoro “suo” che mi piaccia».

Il punto essenziale di questa e altre contraddizioni sparse negli scritti, riguarda non tanto la musica di Pergolesi, quanto la coscienza del distacco con il passato, di cui Pulcinella rappresenta la prima vera manifestazione artistica. L’aspetto nuovo, da un punto di vista musicale, consiste nell’aver creato un’opera elaborando un materiale del Settecento con le tecniche compositive del Novecento. Questo metteva in discussione, evidentemente, il principio d’identità tra forma e contenuto, che fino a quel momento aveva garantito la continuità della tradizione musicale occidentale. Non per niente la maschera, il travestimento, lo scambio dei ruoli sono il tema centrale di Pulcinella.

I musicisti modernisti italiani volevano tornare al Settecento per liberare il nostro Paese dall’influenza della musica tedesca, Schönberg viceversa intendeva sviluppare le forme dell’Ottocento per garantire alla musica tedesca un altro secolo di predominio. Stravinskij, invece, strappato definitivamente dalle sue radici russe, istituì con il passato un confronto del tutto individuale, senza alcuna preoccupazione comunitaria. Pulcinella consente di scoprire il lato più caratteristico del genio di Stravinskij, ossia la diabolica abilità di fagocitare nel suo linguaggio musicale ogni sorta di materiale, libero da ogni vincolo di tradizione o di continuità storica.

Oreste Bossini

[1] Per un’esatta ricostruzione delle fonti autentiche del Pulcinella si veda Barry S. Brook, Stravinsky’s Pulcinella: The «Pergolesi» Sources in Musiques Signes Images – Liber amicorum François Lesure, Ginevra 1988.

[2] La lettera è frutto delle ricerche della musicologa Marilyn Jean Meeker, come riferito in Brook, Stravinsky’s Pulcinella, op. cit.