68ª Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 14 marzo 2013
Ore: 10:00*
giovedì 14 marzo 2013
Ore: 21:00
sabato 16 marzo 2013
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Serie Curiosity
Gounod, Petite Symphonie
Cara, Sinfonia dell’aria per viola, contrabbasso e strumenti a fiato (commissione Fondazione  I Pomeriggi Musicali)
Strauss, Suite op. 4

Biglietteria

ABBONAMENTO ai 23 concerti

Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 276,00 (+ prev.)
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 218,50 (+ prev.)
Balconata € 172,50 (+ prev.)

Ridotti (Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Associazioni Culturali; Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 207,00 (+ prev.)
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 161,00 (+ prev.)
Balconata € 126,50 (+ prev.)


BIGLIETTI

Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50

Ridotti
(Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50

Il Cast

Direttore: Francesco Lanzillotta
Viola: Enrico Carraro
Contrabbasso: Paolo Speziale
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Gli strumenti a fiato, presenti da sempre fra gli uomini, hanno avuto una storia diversa, e parallela, dei fratelli più nobili, gli archi. Un connotato popolare ha sempre contraddistinto gli “strumentini” e gli ottoni. Ancora oggi il carattere chiarissimo dei timbri che i moderni strumenti a fiato danno non lasciano dubbi. Dal settecento i fiati portano in orchestra il loro contributo idiomatico, ora valorizzato ora evitato in base ai gusti di ogni epoca, e le peculiarità ereditate dal loro passato e del loro destino. L’oboe ad esempio, discendente da strumenti antichissimi ad ancia doppia usati dai pastori, nelle composizioni di Mozart o Beethoven dona sempre un colore bucolico, anche sfiorato, anche solo appena accennato o usato in maniera diversa a fini espressivi, ma una certa atmosfera, una luce particolare non può che levarsi dall’oboe. Una luce che diventa poi portatrice di significati sempre più grandi, fino a toccare sommità espressive angeliche e divine. Così per i corni e gli squilli da caccia, tramutati nel corso della storia della musica in canti d’eroi immani e immortali. Per il flauto la dimensione mitica, la dimensione panica, terribile e dolcissima, è chiara ad ogni nota. Proprio questa potenza del timbro è stata al centro della grande evoluzione tecnologica di tutti gli strumenti a fiato nella modernità e questo ha permesso di ampliare la gamma espressiva dei legni e degli ottoni e la loro gamma cromatica. Basti pensare a quanto è stato scritto dai grandi contemporanei, e più in generale dai moderni, proprio per questi nuovi strumenti a fiato sia quando usati in modo solistico sia nella compagine orchestrale. Ma la tradizione popolare non si è mai sopita, i fiati restano ancora oggi gli strumenti celebrativi per eccellenza. Facili da suonare marciando, facili da trasportare, i gruppi di fiati hanno sempre accompagnato feste sacre e profane e cerimonie di ogni tipo, nelle strade come nelle chiese. A differenza della musica colta, che ha saputo nel corso del tempo trasformare il linguaggio dei fiati, la tradizione popolare ha sentito il bisogno, dall’ottocento in poi, di abbinare gli strumenti a fiato alla voce umana, nell’idea di una sostanziale similitudine o parità espressiva. Trasferendo modi tipici del canto agli strumenti, si è cominciato a trascrivere le pagine celebri dei melodrammi fino a rendere questo il repertorio effettivo delle bande italiane. Nel mondo tedesco non mancano le formazioni di fiati o le grandi bande, ma sono legate più a musiche tradizionali che non al repertorio classico trascritto. Questa tradizione del resto è ancora viva nel nostro sud Italia, e non è stato possibile ai compositori ignorare la portata culturale di questa diffusione. Le bande ne hanno fatta di strada, marciando. Nel corso dell’ottocento i gruppi di fiati sono stati in Italia i più importanti vettori di diffusione musicale, le musiche di Verdi e Rossini arrivarono fin nei centri più piccoli grazie ai suonatori di strumenti a fiato, inconsapevoli portatori di quei significati profondi che lentamente e faticosamente, ben prima della televisione, unirono gli italiani. Lo si deve anche ai suonatori di strumenti a fiato se l’opera lirica è uno dei collanti culturali della nazione italiana. Nelle bande che ancora oggi popolano il sud dell’Italia, macinando chilometri su chilometri inseguendo processioni e beatificazioni, possiamo vedere in atto il processo con cui un dato culturale colto diventata popolare, diventa di tutti, fecondando fin le più piccole comunità, unendole scrivendo una mitologia musicale comune, così da tornare fra i compositori di musica d’arte come forza propulsiva e innovativa. Oggi, anche grazie alla grande emigrazione italiana degli inizi del novecento, una tipica tradizione bandistica italiana, unita a nuove possibilità e ad altre culture, si è riversata in America e poi in tutto il mondo. Oggi le compagini migliori sono a New York e a Tokio e si chiamano orchestre di fiati, il loro carattere sinfonico le fa paragonare alle grandi orchestre tradizionali e suonano principalmente composizioni scritte appositamente per queste grandi formazioni.

Charles Gounod
Petit Symhonie
Quasi. Per voler dire che il più è certo, eppure qualcosa manca. Quasi, e per Charles Gounod non è opinione difettiva, fu un solido e talentuoso compositore che ancora oggi descrive l’ottocento musicale francese, ma quasi, per dire di una fragilità, di un pudore della persona a mostrarsi, come di una scomodità nel ruolo ricoperto, una ritrosia al mondano in favore di una introspezione forse a volte troppo delicata e profonda. Quasi nella musica di Gounod serve a spiegare il rapporto quasi ossessivo con l’opera di Bach, e allo stesso tempo la contemplazione ortodossa dei classici come del teatro rossiniano. Quasi, per dire del fascino che le opere di Chopin poterono sul compositore, e quasi per la fortissima devozione religiosa che portò Gounod vicino, ma non troppo, al sacerdozio. Eppure siamo certi che Gounod non fu mai un mediocre, mai cedette alla banalità e sempre troviamo intelligenza e ispirazione, specie nelle composizioni per il Teatro, o quasi, poiché ci appare forte il sentimento di inappartenenza ad un mondo fatto di futilità ed espedienti com’è il mondo del teatro musicale. Le Opere più famose di Gounod non sono veramente scritte da un compositore con la polvere della scena nel sangue, come Verdi ad esempio, ma composte da qualcuno di grande talento prestato al sipario. Sembra sempre che Gounod scriva per colmare un suo silenzio interiore, come se scrivesse per farsi compagnia e non per un pubblico che però ha amato e ama il suo Faust ad esempio. Nella Petite Symphonie, composizione per un gruppo ristretto di strumenti a fiato, si apprezzano tutte le qualità del francese. E’ davvero un petit portrait: dolcezza dell’invenzione, sapienza costruttiva e una chiara vocazione per gli impasti calorosi contrapposti poi ai timbri puri dei singoli strumenti. Spiccano in questa composizione il secondo tempo, quasi belliniano per slancio lirico, e lo Scherzo che segue, ironico quasi amaro, quasi felice, quasi triste.

Alberto Cara
Sinfonia dell’Aria
La “Sinfonia dell’aria” di Alberto Cara, per Viola e Contrabbasso solisti, fiati e percussioni, opera commissionata dai Pomeriggi Musicali, è composizione affascinante e suadente, ricca e intelligentemente comunicativa. La prima caratteristica evidente di questa composizione, come degli altri brani del compositore di Tivoli, è la visione letteraria della scrittura musicale. Scrivere musica come se si scrivesse prosa, una prosa poetica, tesa a raccontare il confine tra il reale e l’irreale, il confine tra il mondo interiore e il mondo esterno, percorso da venti, scosso da turbini, inspiegabile. Una prosa ritmica tesa nel tempo, ora densa ora rarefatta, segnata da una volontà poetica forte, ispirata dai segni del visibile di un mondo che declina e si solleva, nel vento. Genovese d’adozione, Alberto Cara rivela quanto sia indubbio il lavorio del paesaggio ligure sulla sua ispirazione e di come esso inondi il pentagramma della Sinfonia dell’Aria. Proprio quel paesaggio descritto e amato da Sbarbaro e Montale, ricco di fratture, di segni indecifrabili, di evocazioni metafisiche, luogo del martirio della tempesta e della liberazione del sole, di incontro fra terra, cielo e mare. Paesaggio finito ed infinito, sconfinato e scabro. Per Alberto Cara il vento, divino, incorrotto mito, scorre sulle vite e fra i volti ancora stupiti degli uomini come in una rivelazione. Piccoli eventi sbiaditi nell’insignificante prendono un significato altro, un cappello che vola, un foglio di giornale che si alza animato, come i grandi affreschi di nuvolaglie sul mare, o a picco sulle montagne e frantumate poi dal sole, tutto acquista un nuovo e indeterminato significato di cui si intravede solo l’ineluttabilità. La Sinfonia dell’Aria dice di un mistero, nella voce del compositore oltre alla meraviglia per i piccoli segni e per i grandi cicloni, insieme all’eco della voce di Orizia, la fanciulla rapita da Borea, oltre il tremore dell’”aria di vetro” cantata da Montale si ascolta il verso di Sbarbaro che ritorna all’umano: “Occhi nuovi, attoniti – che guardano come una stampa colorata il mondo; occhi colore d’aria, anticipi di cielo sulla terra – il dolore v’è l’ombra d’una rondine, un’acquata di primavera, il pianto…” . La Sinfonia dell’Aria è composizione che scruta il cielo, è il canto di un aruspice senza più fede ma colmo di nostalgia, Alberto Cara osserva del cielo l’umanissimo cangiare, come dell’animo, e le volte delle nubi in cui tutto è lecito vedere, e i fulmini e il tuono, e il teatro senza sipario delle maree, e le onde spezzate dagli scogli, e il canto dei gabbiani. Così si spande nell’aria questa nuova musica, fatta di echi interiori e parole sperdute dal vento, come polvere. Se tecnicamente la musica di Alberto Cara è legata alle tradizioni contemporanee extraeuropee, cioè si nutre di un sostanziale rifiuto dell’avanguardia tipicamente continentale, sembra necessario iscrivere la Sinfonia dell’Aria più fra le opere letterarie dei liguri che in un catalogo di composizioni musicali, o forse fra le parole di un immaginario carteggio perduto in una folata di una “mal chiusa porta” fra il compositore e i poeti di Genova, siano essi autori di versi o di canzoni o anche solo di azioni tanto quotidiane quanto poetiche, inconsapevoli, notate per caso, in un giorno di vento. Dopo una Introduzione appaiono delle Nuvole in viaggio, “ora lente, gravide ed indolenti, ora veloci e imbizzarrite”, secondo la descrizione dell’autore. Segue Borèa, è il tempo del ricordo, della memoria, dove il mito riappare per fecondare il pensiero riflessivo e far riemergere antiche emozioni sopite, come quando il vento, spolverato un campo, porta alla luce il ricordo di una civiltà lontana e perduta. A conclusione Turbine.. non finisce tutto troppo in fretta? Non è la nostra vita un respiro, poca aria emessa debolmente eppure più veloce di una tempesta? E non sarà quel turbine che vediamo all’orizzonte la somma dei respiri che abbiamo già dato?

Richard Strauss
Suite op. 4
La Suite in si bemolle maggiore op. 4 per 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 4 corni, 2 fagotti, controfagotto è opera giovanile, che servì a Strauss per ottenere una fama decisa e giusta, ma anche un posto come assistente del grande direttore Hans von Bulow. Furono proprio i musicisti dell’orchestra di Monaco che suonarono la prima esecuzione della Suite nel 1884. Composizione ambiziosa, di un giovane che sembra sapere del suo valore, non viene tradita però dall’inesperienza. Il genio era così abbondante che non ci furono sbandamenti di alcun genere. Certo notiamo la differenza con le grandi opere della maturità ma l’op.4 non si ascolta come un’opera minore, siamo certi che molti compositori dell’epoca, maturi e conosciuti, avrebbero fatto carte false per un po’ di questa ispirazione potente e decisa. Caratterizzata da una volontà sinfonica, gli strumenti a fiato appaiono completamente emancipati definitivamente da ogni connotato storico. La Suite op.4 è già una composizione moderna, anche se legatissima ai grandi modelli classico-romantici a cui il giovane Strauss voleva tendere, e forse eguagliare.