68ª Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
sabato 06 aprile 2013
Ore: 10:00*
sabato 06 aprile 2013
Ore: 17:00
giovedì 11 aprile 2013
Ore: 21:00
*I Pomeriggi in anteprima

Serie Curiosity
Mozart, Les petits riens k 299b, musica dal balletto
Šostakovič, Concerto per pianoforte, tromba e orchestra d’archi n. 1 op.35
Prokof’ev, Sinfonia n. 1 op. 25 Classica
Mozart, Sinfonia n. 35 k 385 (Haffner)

Biglietteria

BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50

Ridotti
(Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50

Il Cast

Direttore: Daniele Rustioni
Pianoforte: Alexander Romanowskj
Tromba: Sergio Casesi
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

 di Paolo Castagnone

Wolfgang Amadeus Mozart [Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791]
Les petits riens K.299b

Dimitrij Dmitrievič Šostakovič [San Pietroburgo, 1906 – Mosca, 1975]
Concerto n. 1 in do minore per pianoforte, tromba e orchestra, op. 35
Allegretto
Lento
Moderato
Allegro con brio

 Sergej Sergeevič Prokof’ev [Sontsovka, 1891 – Mosca, 1953]
Sinfonia n. 1 in re maggiore, op. 25 – “Sinfonia classica”
 Allegro
Intermezzo
Gavotta. Non troppo allegro
Finale. Molto vivace

Wolfgang Amadeus Mozart [Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791]
Sinfonia re maggiore K. 385 “Haffner”
Allegro con spirito
Andante
Minuetto
Presto

«Posso dare lezioni per cortesia, specie se incontro una persona geniale, che ha il gusto e il desiderio di apprendere; ma essere obbligato ad andare in ore stabilite in un’altra casa, questo no, non sono capace neppure per denaro… Non devo e non posso seppellire così il talento di compositore che Dio mi ha dato». [W. A. Mozart]

Quando Mozart, accompagnato dalla madre, intraprende nel 1777 il suo terzo e ultimo viaggio alla volta di Parigi spera di poter manifestare il proprio talento per il teatro; tuttavia l’entusiasmo con cui era stato accolto come enfant prodiges quindici anni prima si è ora trasformato in indifferenza. La città è assorbita dalla contesa fra coloro che, devoti a Gluck, credono in una musica al servizio del dramma e i vecchi appassionati del melodismo dell’opera italiana, che hanno trovato in Piccinni il loro campione. Forse ci si attende che egli dia manforte ai piccinisti, ma il musicista si tiene a debita distanza dalla querelle e quel poco che gli viene promesso – i progetti per un Alexandre et Roxanne e un Demofoonte da Metastasio – svanisce nel nulla. Lo stesso barone Grimm, al quale il padre Leopold aveva raccomandato il figlio per introdurlo nell’ambiente artistico, si convince che Wolfgang è «troppo candido, poco attivo, troppo indifeso» per imporsi nella capitale francese e l’unico modo che rimane ad Amadeus per mantenersi è dare lezioni private: un genere di lavoro per il quale non si sente minimamente predisposto.

Fra le poche commissioni pubbliche andate in porto vi è il balletto Les petits riens K.299b, un lavoro ottenuto grazie all’amicizia con il mâitre de ballet dell’Académie royale de musique, Jean George Noverre, in funzione di intermezzo alla rappresentazione de Le finte gemelle di Piccinni. L’azione coreografica – tredici brillanti danze introdotte da un’Ouverture – va in scena l’11 giugno 1778 sotto il segno dell’anonimato, giacché il nome di Mozart non compare nemmeno sulla locandina. L’ottima accoglienza è favorita dalla capacità del musicista di adattarsi al gusto rococò allora imperante, sebbene la personalità dell’artista sia riconoscibile da certi dettagli presaghi di futuro, come nel caso della danza n.9, la Gavotte gracieuse, anticipatrice dell’aria di Tamino nel Flauto magico. Lo stesso Noverre si prodiga per l’avvicinamento del compositore al partito dei gluckisti e per la committenza di un secondo balletto, che però viene solo abbozzato. L’esperienza parigina, già avara di risultati concreti, si conclude nella più profonda tristezza: il 3 luglio muore la madre, colei che aveva saputo trasmettergli quella ricchezza di fantasia e quella giocosità che avevano mitigato la rigida intransigenza del marito.

Le idee libertarie e illuministe respirate in quel soggiorno parigino contribuiscono però a maturare in lui la scelta dell’indipendenza e lo porteranno, qualche anno più tardi, all’abbandono di Salisburgo e al definitivo trasferimento a Vienna. Proprio nella capitale asburgica il musicista sta raccogliendo i primi grandi successi della sua attività di libero professionista allorché, nel 1782, viene richiamato da una lettera paterna alle incombenze dell’angusta vita di corte della sua città natale. Sebbene sia pressato da numerosi impegni, Wolfgang ritiene inopportuno scontentare Leopold proprio nel momento in cui attende il suo consenso alle nozze con Konstanze; perciò accetta di comporre una serenata per festeggiare il conferimento del titolo nobiliare a Sigmund Haffner, omonimo figlio del borgomastro di Salisburgo, per il quale – sei anni prima – aveva composto la Serenata K.250.

Mozart sbriga la pratica con tale foga che in poco tempo si dimentica quasi completamente tutto ciò che ha scritto e quando, un anno più tardi, gli viene restituita la partitura sembra non riconoscerla. Alla rilettura ne è comunque soddisfatto e decide di inserirla nel programma del concerto che sta organizzando per il 23 marzo 1783; in tale occasione preferisce però rivedere il lavoro in forma di Sinfonia e pertanto arricchisce l’organico con flauti e clarinetti ed elimina la Marcia e uno dei due Minuetti. In questa nuova veste l’opera è catalogata come Sinfonia in re maggiore K.385 ed è oggi considerata la prima delle grandi prove sinfoniche della maturità.

Il primo tempo è imperniato su un unico tema caratterizzato dai salti di doppia ottava e dalla notevole incisività ritmica, che lo rendono più che mai adatto alla elaborazione contrappuntistica. Il carattere fortemente drammatico di questa idea motivica non sfuggì ad Haydn che, pochi anni dopo, lo citò nell’introduzione delle Ultime sette parole di cristo sulla Croce, la sua opera orchestrale più meditativa. Seguendo la lezione interpretativa di Massimo Mila, i motivi secondari che di volta in volta compaiono nel corso dello sviluppo amplificano un affanno che si manifesta in accenti dolorosi e, a volte, eroici. E’ però opportuno sottolineare che altri studiosi preferiscono esaltare il carattere affermativo e festoso di un tema che in fin dei conti era nato per ragioni celebrative: la scelta è dunque lasciata, qui più che altrove, alla sensibilità degli interpreti.

Il successivo Andante è un movimento che in superficie scorre semplice e sereno, ma che in filigrana disegna volute di suadente intimità, con flessioni malinconiche riconducibili all’eleganza galante di fine Settecento. Decisamente haydniano è invece il Minuetto, vagamente contadinesco nella ruvidezza degli accordi che concludono la prima frase, mentre il Trio si segnala per la sua melodia insinuante e carezzevole. Il Presto conclusivo, in forma di rondò-sonata, è da eseguire, secondo la volontà di Mozart, «il più presto possibile»: la musica scorre senza sosta, con molti spunti tematici, ora cantabili, ora puramente ritmici, che fanno ala al tema principale e sembrano preludere all’incessante movimento dei violini nell’Ouverture de Le nozze di Figaro.

«Doni di creatore evidenti e impressionanti: molta immaginazione e invenzione». [dal giudizio di ammissione di Dimitrij Šostakovič al corso superiore di Composizione presso il Conservatorio di Leningrado]

Šostakovič ebbe un talento musicale precocissimo, rivelandosi non ancora ventenne come compositore e pianista, sebbene la carriera concertistica – iniziata splendidamente con il secondo posto al Premio Chopin di Varsavia del 1925 – fu presto abbandonata in favore dell’attività compositiva. Anche in questo campo l’inizio fu bruciante: la Prima Sinfonia, scritta a 19 anni, entrò ben presto nel repertorio di direttori famosi come Toscanini e Stokowski. E’ un’opera estrosa, che colpisce per il suo eclettismo: gli influssi più diversi e contrastanti – da Čajkovskij a Prokovief, da Rimskij-Korsakov a Stravinskij – sono assimilati con assoluta genialità.

Frutto di una maestria eccezionale, questo lavoro è il primo di una serie di opere di successo che spesso riattinsero anche alle sue notevoli capacità pianistiche, come nel caso del Primo concerto per pianoforte del 1933. «In queste composizioni giovanili – ha scritto il musicologo Hans Stuckenschmidt – Šostakovič si schiera dalla parte dell’avanguardia internazionale. La sua conoscenza del mestiere, la sua mano leggera, il suo spirito agile gli permettevano di effettuare con la facilità di un gioco qualunque esperimento tecnico ed espressivo. Nell’innata tendenza al grottesco e al buffonesco trova la nota personale, che solo più tardi verrà corretta nel senso del monumentale».

Sono tutte caratteristiche che si possono rintracciare nell’op.35, una partitura dai tratti fortemente originali fin dall’organico: la prima dicitura era infatti Concerto per pianoforte con accompagnamento di orchestra d’archi e tromba. I quattro movimenti che costituiscono il lavoro oscillano fra un lirismo che sembra voler esasperare i gesti del Romanticismo in una sorta di scanzonata rapsodia lisztiana  e il sarcasmo dissacratorio delle Avanguardie. La tromba concertante manifesta entrambi i caratteri, ora citando nel movimento lento un passo di un proprio Walzer, ma conferendogli un’espressione ancor più nostalgica, ora amplificando il tono caricaturale, così come avviene nel conclusivo Allegro con brio, che sfocia in un vorticoso e clownesco galop. Nella partitura sono citati i temi più disparati ed eterogenei, partendo da Haydn e Beethoven (Sonata op.57 “Appassionata”) per giungere a un canto popolare molto in voga a quel tempo. Un’ultima reminiscenza costruisce l’a solo della tromba nel quarto tempo, dove il compositore riutilizza un’idea tratta dalle musiche composte per l’opera di Dressel Il povero Colombo. L’eterogeneità stilistica è notevole, ma riesce a esprimersi compiutamente anche grazie all’ampiezza di una forma che pare voler trasfondere nel linguaggio musicale le conquiste che in quegli anni si stavano compiendo nelle ari figurative con la tecnica del collage.

I mesi in cui compose l’op.35 furono particolarmente sereni per Šostakovič: il 13 maggio 1932 poté sposare la biologa Nina Varzar, la donna di cui era da tempo innamorato. Divenuto un marito premuroso e un cittadino modello, il compositore sembrò voler riversare tutto il proprio entusiasmo nella partitura e «il vigore e la gioia di vivere» che il musicista dichiarò alla stampa sono perfettamente in linea con la fase esistenziale che stava vivendo: «Voglio difendere il diritto di ridere all’interno della cosiddetta musica seria; quando gli ascoltatori ridono a un concerto con le mie musiche non sono turbato ma, al contrario, me ne compiaccio!».

L’infanzia di Sergei Prokofiev è trascorsa in un villaggio rurale ucraino del bacino del Donez, lontano dagli stimoli culturali di una grande città, ma quotidianamente a contatto con la musica. La madre è infatti una buona pianista e passa lunghe ore alla tastiera; il compositore stesso ricorderà di essere stato spesso svegliato da un’impetuosa Sonata di Beethoven o di essersi addormentato al suono carezzevole di un Notturno di Chopin. Sempre alle cure materne va ricondotto l’apprendistato musicale: numerose ore di ascolto e commento del repertorio classico, che viene così assimilato nel più spontaneo dei modi. E’ una spontaneità che si rifletterà nella sua ricchezza inventiva e nell’ottimistica volontà di realizzare i propri sogni senza compromessi.

E’ altrettanto significativo che il suo apprendistato negli anni dell’adolescenza presso il Conservatorio di Pietroburgo manifesti una certa insofferenza nei confronti dei docenti più tradizionalisti, mentre è proficua la frequentazione della classe di direzione d’orchestra tenuta da Nikolai Tcherepnin, l’insegnante più aperto agli influssi della musica contemporanea. Nel 1908 Prokofiev inizia anche a partecipare alle “Serate di musica contemporanea” e conosce i lavori di Debussy, Reger, Rachmaninov, Skrjabin e le prime composizioni di Schönberg e Stravinskij. La ricchezza della propria formazione è descritta in un passo della sua Autobiografia: «La prima linea su cui si è sviluppato il mio lavoro fu quella classica e si può far risalire alla fanciullezza. La seconda linea, il filone moderno, comincia dall’incontro con Taneev [un compositore e didatta russo, N.D.R], quando egli rimproverò la “crudezza” delle mie armonie. La terza è la toccatistica o motoria, suggerita dalla profonda impressione che destò in me la Toccata di Schumann. La quarta è quella lirica: dapprima essa appare come un sentimento pensoso e meditativo, per lo più associato con melodie lunghe. Gradirei limitarmi a queste quattro linee e considerare la quinta, la “grottesca”, come una semplice deviazione».

Un tale poliedricità di atteggiamenti si manifesta nella tendenza del musicista russo a lavorare parallelamente su più opere, come se un unico lavoro non riuscisse a contenere una creatività tanto multiforme. Il 1917 – l’anno dell’abdicazione dello Zar e della rivoluzione bolscevica – non sfugge alla regola, con la nascita in simultanea delle Sonate per pianoforte terza e quarta, delle Visions fugitives, del Primo Concerto per violino e della Sinfonia “Classica”. Sono ancora le parole dell’Autobiografia a raccontare la genesi della partitura: «Passai l’estate nella solitudine più completa, in campagna; di proposito avevo lasciato in città il pianoforte, per cercare di comporre senza il sostegno dello strumento. Sino a quell’epoca avevo sempre composto al pianoforte, ma avevo notato che il materiale tematico trovato facendone a meno era migliore. Di qui nacque la tentazione di scrivere un’intera sinfonia senza ricorrere a tale ausilio, nella convinzione che l’orchestra potesse “suonare” più naturale. Di qui anche l’originalità di un progetto sinfonico nello stile di Haydn; avevo così approfondito la tecnica haydniana con Tcherepnin da potermi avventurare nel difficile viaggio senza il pianoforte. Viaggio che intrapresi nella convinzione che se Haydn fosse vissuto ai nostri giorni egli avrebbe conservato parte del suo vecchio stile, pur accettando al tempo stesso qualcosa di nuovo».

Dal racconto dell’autore risulta evidente che la Sinfonia op.25 non è una parodia dello stile settecentesco, bensì uno sguardo del tutto moderno sui principi stilistici del Classicismo, quali la trasparenza del tessuto orchestrale, la saldezza formale, l’equilibrio fra gli opposti. La giustapposizione degli antichi modi viennesi con gli stilemi melodici, ritmici e armonici tipici del XX secolo, danno vita anche a momenti umoristici, che non sarebbero certo spiaciuti a Franz Joseph Haydn, l’autore della Sinfonia “La sorpresa”. Tali caratteri risultano evidenti fin dall’apertura del primo movimento, un Allegro in forma-sonata di contagiosa vitalità, aperto da un primo tema costruito sull’accordo di tonica e contrapposto a una seconda idea che sembra voler giocare sugli intervalli di ottava in contrappunto con il buffo accompagnamento dei fagotti. Molti sono gli elementi che tradiscono la modernità, a partire dal bizzarro schema armonico, che scarta imprevedibilmente al do maggiore durante l’esposizione. Anche lo sviluppo non è immune da atteggiamenti ironici o grotteschi, tanto che un critico ha potuto affermare che «l’elegante e giocoso secondo tema si trasforma nei massicci passi di un gigante».

Il successivo Larghetto, in tempo ternario e nella tonalità di la maggiore, disegna un’elegante forma tripartita in stile di Minuetto ed è caratterizzato da un tema che si libra nei registri più acuti dei violini su un accompagnamento morbido e misurato. Lo sguardo novecentesco si fa notare nel successivo episodio, contraddistinto dallo staccato spigoloso di archi e fagotti: lo stile dell’esposizione, spiccatamente il ritmo e il colore armonico, anticipano singolarmente l’atmosfera di uno dei massimi capolavori del musicista russo, il balletto Romeo e Giulietta.

Il terzo movimento è una frizzante Gavotta che sembra ispirarsi al rococò francese: è una danza assai ritmica, resa più sferzante dalle libere sovrapposizioni di triadi maggiori e dall’imprevedibilità della cadenze. Il relativo Trio fa riferimento a un’altra forma barocca, la Musette, contaminata con una sensibilità melodica tipicamente russa. Il Finale, in forma di rondò-sonata, sembra riprendere con ancor maggiore vivacità le idee che aprivano la Sinfonia: il primo motivo è costruito su arpeggi, frammenti di scale, piccoli incisi ostinatamente reiterati. Il secondo tema è invece riconoscibile per la frase sinuosa e arguta esposta dai legni, ma è l’indimenticabile melodia di sapore popolare esposta dal flauto a rendere questa chiusura uno dei momenti più noti dell’intera produzione di Prokofiev: «le classiche immagini della musica del diciottesimo secolo vengono qui a riflettersi quasi attraverso il prisma del canto russo». [I. Nestyev].