Le date
Serie Red Planet
Rachmaninov, Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 op. 30
Grieg, Peer Gynt, suite n. 1 op. 46
Grieg, Peer Gynt, suite n. 2 op. 55
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50
Ridotti (Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50
Il Cast
Direttore: Giordano Bellincampi
Pianoforte: Roberto Cominati
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
A cura di Mariateresa Dellaborra
Sergej Vasil’evič Rachmaninov, Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 op. 30
Sergej Vasil’evič Rachmaninov (1873-1943) rivelò un talento precoce per la musica e a soli 19 anni, già diplomato al conservatorio di Mosca, debuttò come concertista, compiendo, due anni dopo, nel 1893, la prima tournée attraverso la Russia. Ebbe ruolo anche come direttore al Teatro Bol’šoj nel quale fece eseguire opere proprie. Virtuoso itinerante in Europa e quindi negli Stati Uniti tra il 1906 e il 1911, allo scoppio della rivoluzione russa riparò in Scandinavia e tra il 1918 e il 1930 soggiornò nuovamente negli Stati Uniti. Ritornato in Europa passò tutte le estati dal 1931 al 1939 vicino al lago di Lucerna, tenendo concerti in ogni parte del mondo eccettuata la Russia. Morì a Beverly Hills poche settimane dopo aver preso la cittadinanza americana.
Il terzo concerto per pianoforte e orchestra op. 30, dedicato al celebre virtuoso polacco Josef Hofmann, venne debuttato da Rachmaninov stesso durante la prima tournée americana. Coadiuvato dalla New York Philarmonic, sotto la direzione dapprima di Walter Damrosch e quindi di Gustav Mahler, il compositore-interprete ebbe modo di farsi apprezzare sia per le doti esecutive sia per quelle inventive che trasparivano dall’affascinante struttura formale. Dai critici americani il concerto fu definito «musica sana e logica, benché non si possa proclamare grande né memorabile», ma il pubblico rimase folgorato dalle lunghe melodie, dal bel fraseggio e dalla compattezza inventiva dei tre movimenti, pur contraddistinto ognuno da varietà d’atmosfera.
Otto anni separano il secondo dal terzo concerto composto nell’estate 1909 nella casa di campagna di Ivanovka, dove il musicista amava rifugiarsi per riacquistare vigore e vitalità creativa oltre che fisica. Sebbene le somiglianze con il secondo concerto siano evidenti, il terzo presenta una scrittura pianistica e orchestrale più articolata e una struttura formale molto più interessante. Il tema di apertura del primo movimento (Allegro ma non tanto), esposto interamente dal pianoforte, è fondamentale perché da esso scaturiscono alcuni dei motivi che daranno vita all’intera composizione. Il suo andamento è molto elegante e la sua ispirazione, come scrisse il compositore stesso al musicologo Joseph Yasser nel 1935, non era scaturita da reminiscenze sonore liturgiche, ma era nata spontaneamente; all’esecutore non spettava altro che «cantare quella melodia sulla tastiera così come l’avrebbe cantata un cantore» accompagnato dall’orchestra nel modo più adeguato. Il tema, arabescato variamente, produce un sentimento nostalgico, ma privo della cupa drammaticità che aveva caratterizzato il primo tema del secondo concerto. Il motivo tematico successivo, preannunciato attraverso un’articolata transizione, ha un carattere molto diverso dal primo e soprattutto diviene cangiante nel momento in cui passa dallo stato ritmico e incisivo alla sua forma cantabile ed espressiva. La sezione di sviluppo propone alcuni passaggi di scrittura pianistica tra i più brillanti e rappresenta senza dubbio il nucleo focale del movimento. Suo punto d’approdo è la cadenza, suddivisa in due sezioni ben distinte e separate da un breve passaggio in cui lo strumento solista è accompagnato dai legni. Rachmaninov compose due versioni della prima parte della cadenza. Per un certo periodo della sua attività predilesse quella più lunga poi, forse costretto da motivi contingenti, si risolse per la più breve. Entrambe si sviluppano dal primo tema e offrono al solista materia perfetta per un’esibizione virtuosistica. Elementi desunti dal secondo tema, invece, costituiscono la seconda parte della cadenza che scaturisce dall’interludio dialogico tra pianoforte e orchestra e che, dissolvendosi, conduce alla conclusione. Qui si riascoltano solo brevi richiami al primo e al secondo tema e non una vera e propria ricapitolazione. Anche il secondo tempo, Intermezzo indicato come Adagio, si apre con la citazione del materiale tematico del primo movimento. Come il pianoforte, anche l’orchestra si lascerà coinvolgere nella declamazione ripetuta di questo frammento al quale seguirà una sezione dichiaratamente virtuosistica in cui il solista, sostenuto da clarinetto e fagotto, avrà modo di sfoggiare ornamenti e passaggi di varia tipologia. Il finale (Alla breve) appare come la diretta prosecuzione dell’Intermezzo perché fondato nuovamente sulla figura ritmica iniziale che diverrà l’idea prevalente del movimento. Dapprima si presenta in una veste fortemente ritmica attraverso gli accordi sincopati del pianoforte e in un secondo momento appare in una versione più lirica. La tecnica è la stessa del primo movimento del quale mantiene l’impulso, rafforzandolo. La stessa figurazione ritmica iniziale funge da collegamento per una sezione – Scherzando – nella quale il pianoforte sviluppa per esteso vari spunti melodici e ritmici dell’inizio del movimento, quasi fosse un intermezzo. Si susseguono agilità, cadenze, riprese di temi già esposti, in un crescendo di volume e di animazione che coincide anche con un’ascesa da parte del solista verso la tessitura acuta. La parte di ripresa ripercorre più o meno fedelmente l’esposizione e la conclusione è preceduta da un movimento di Galop collegato alla riapparizione del secondo tema col quale enfaticamente si conclude il concerto. Alcune parti del movimento finale del pezzo vengono spesso omesse durante le esecuzioni in conformità ai tagli che il compositore stesso aveva effettuato nella propria incisione discografica.
Edvard Hagerup Grieg, Peer Gynt, I suite op. 46 e II suite op. 55
Nato in una famiglia di origine scozzese in cui si coltivava la musica con entusiasmo, il piccolo Edvard prese le prime lezioni di pianoforte dalla madre, eccellente pianista, e mostrò subito uno spiccato interesse per le opere dei classici. A nove anni si cimentò con i primi tentativi di composizione e a quindici entrò in conservatorio a Lipsia dove studiò per quattro anni e conseguì con successo il titolo di studio.
Nel 1863, ottenuto uno stipendio governativo, proseguì gli studi a Copenaghen con Gade, leader riconosciuto della scuola romantica scandinava, legato a Mendelsshon e a Schumann. A Grieg interessava soprattutto approfondire l’aspetto della musica nordica, favorendone la diffusione e lo sviluppo, e proprio per questo fondò di lì a poco l’associazione musicale “Euterpe”. Il desiderio di creare una giovane scuola norvegese lo portò anche a fondare un’Accademia musicale, una volta divenuto direttore d’orchestra della Società Filarmonica, ed entrò in contatto con le più importanti personalità della cultura locale dal drammaturgo Ibsen al poeta Bjørnson al compositore Kierulf. Tra il 1869 e il 1870 soggiornò in Italia, soprattutto a Roma, dove frequentò Franz Liszt, all’epoca animatore della vita musicale della capitale e ricevette da lui lodi incondizionate soprattutto per il concerto per pianoforte (concluso da qualche anno) e la prima sonata per violino. Ritornato in patria, continuò a prodigarsi per la promozione della musica locale e si impegnò (soprattutto tra 1870 e 1873) nella composizione spesso su testi poetici di Bjørnson, sempre più ammirato per la sua attività tanto da essere eletto membro dell’Accademia reale svedese. La produzione proseguì intensa, talora alternata a lunghe tournées concertistiche in giro per l’Europa, sino al 1907, anno della morte. Se in patria il suo talento venne riconosciuto attraverso prestigiosi riconoscimenti, all’estero non mancarono celebrazioni ufficiali con attestazioni onorifiche di rilievo (dottorato honoris causa a Cambridge e a Oxford; affiliazione all’Akademie der Künste di Berlino) oltre che amicizie e collaborazioni con altri importanti musicisti (Cajkovski, Dvorak, Delius, Sinding) o intellettuali e letterati. In patria, in particolare fu molto legato a Henrik Ibsen che, proprio all’inizio del 1874, aveva deciso di adattare al teatro il Peer Gynt, completato nel 1867. Egli scrisse pertanto al caro e stimato amico Edvard Grieg per richiederne la collaborazione. Nella lettera dichiarò apertamente che considerava la musica come elemento essenziale e sostanziale per la creazione e includeva molti suggerimenti e impressioni utili e dettagliati per conseguire tale effetto. Alcune di queste idee furono riprese, altre rifiutate o modificate sia da Grieg sia da Josephson, direttore del teatro di Christiania (Oslo) che aveva accettato di allestire l’opera in quella stagione. Grieg iniziò dunque a lavorare, ma soltanto nel 1875 la partitura fu completata. La prima esecuzione avvenne nel febbraio 1876 in una rappresentazione giudicata in modo entusiastico e ammirato anche grazie all’apporto significativo della sua musica che era riuscita ad esaltare il dramma. In seguito al successo ottenuto dall’esecuzione a Oslo, Grieg decise sia di riprendere in mano la partitura completa, iniziandone un’opera di revisione sostanziale che tuttavia non fu portata a termine, sia di comporre due suites strumentali autonome che invece sono rimaste tra le sue opere più popolari. La prima suite op. 46, scritta nel 1888, si compone di quattro brevi pezzi di estrema semplicità melodica, graziosi quadretti caratteristici nell’evocazione di naturalistiche atmosfere ispirate ai paesaggi nordici. Il mattino (Allegretto pastorale) rappresenta il levare del sole su una foresta che poco a poco si risveglia dal quieto sonno notturno. Secondo le prescrizioni dell’autore, dovrebbe essere eseguito come se si trattasse di musica pura. Morte di Aase, è il secondo momento, nettamente contrastante. Quanto serena è l’atmosfera del primo pezzo, altrettanto triste (l’indicazione precisa è Andante doloroso) è questa. Aase, madre di Peer Gynt, che nella commedia muore serenamente tra le braccia del figlio alla fine del terzo atto, è qui accompagnata da una vera e propria marcia funebre dalla contenuta solennità eseguita dalla sola famiglia degli archi in sordina.
Il terzo momento si intitola Danza di Anitra. Il personaggio, che nel dramma era figlia di un beduino arabo, viene rappresentato mentre danza e canta per Peer. La sua danza è una Mazurka di tempo rapido affidata nuovamente ai soli archi con sordina e al triangolo. L’autore ne prescrive un’esecuzione molto leggera e delicata in linea con la giovinezza e la bellezza della protagonista. L’ultimo quadro è intitolato Nel castello del re della montagna ed è un pezzo ricco di umorismo e di vivido senso del grottesco. Il ritmo è marcato e incessante e nella parte centrale l’orchestra, che è al completo, viene portata a un vasto ed efficace crescendo che sta a rappresentare l’ostilità degli spiriti della montagna per Peer, che ha osato rapire la figlia del loro capo. Grieg sottolinea l’importanza di iniziare il brano in modo molto delicato e leggero creando progressivamente un crescendo d’intensità e di agogica.
La seconda suite scritta nel 1891 con il numero d’opus 55, molto meno nota della precedente, descrive altre avventure di Peer Gynt. La prima, Allegro furioso si intitola Pianto di Ingrid. La fanciulla è rapita da Peer e poi abbandonata sulla montagna. Nel brano, secondo le intenzioni dell’autore, devono emergere i diversi caratteri dei personaggi: la disperazione di Ingrid e l’elemento diabolico rappresentato da Gynt. La seconda è una Danza araba in Allegretto vivace che mostra Peer in Arabia e rappresenta il corrispondente della Danza di Anitra della prima suite. La strumentazione mirata, l’uso sapiente del ritmo e la richiesta costante della sonorità in pianissimo devono rendere lo spirito «alla turca». Segue poi il Ritorno di Peer Gynt (uragano serale sulla costa) che si presenta come una pagina intenzionalmente programmatica, dai colori vivi e dagli effetti strumentali assai riusciti che descrivono il naufragio della nave su cui Peer ritorna in patria. L’ultimo pezzo, La canzone del Solvieg, è uno dei più celebri brani del catalogo del compositore. Si presenta come un breve canto intimo e vibrante, una delle ispirazioni melodiche più felici di Grieg. «Qui Gynt trova finalmente la pace affannosamente cercata e la suite si chiude dolcemente con questa atmosfera di pace riconquistata, nel canto appassionato della donna rimasta fedele a Peer per tutta la vita.» (Manzoni) La sua esecuzione deve rigorosamente conservare, nelle volontà dell’autore, l’autentico stile folcloristico.
In queste due raccolte Grieg rivela dunque la sua dote “drammatica” e descrive le varie situazioni con equilibrio espressivo, ma sempre con puntualità e felice vena inventiva. Meritatamente egli occupa, tra i compositori nazionali del secondo Ottocento, una posizione di rilievo e gode di fama stabile. Ma le sue creazioni non coincidono soltanto con un carattere norvegese o scandinavo puro, quanto piuttosto con una dimensione più ampia che abbraccia l’intero nord Europa. Esse danno pertanto corpo all’anima elegiaca e pensosa non di un solo popolo, ma di tanti e la rappresentano non in modo diretto, bensì evocandola attraverso richiami, accenni. Per questa allusività, «mantenuta intatta e fragrante» (Gurvin), la musica di Grieg assume una dimensione domestica («il lato esterno, evocativo e sentimentale della sua musica, la stacca da quell’intimismo che è qualità tipicamente romantica e tedesca per conferirle solo un tono domestico.» Gurvin). La tipologia dell’educazione e degli studi affrontati, del resto, veniva fortemente sottolineata dal compositore stesso che amava affermare: «ho studiato a Lispia e musicalmente sono del tutto tedesco». Per questo aveva proseguito con facilità la tradizione prettamente schumanniana del pezzo caratteristico dove il titolo rivelava sempre un’esperienza intima. E Grieg possedeva il non comune talento di esprimere in modo personale ed efficace, con momenti di rara suggestione e delicata poesia, i vari stati d’animo. Aveva cioè quella che è stata definita «precisione del sentimento visuale» (Stoecklin) ottenuta grazie a fresche melodie, ritmi incalzanti e rustici, elementari armonie, talora venate di inflessioni modali e persino politonali. Il canto popolare, assimilato a piene mani e in modo convinto, rende spontanea ed apprezzata ancora oggi la sua produzione.