Le date
Dvořák, Notturno op. 40 per orchestra d’archi
Bartok, Concerto per due pianoforti, percussioni e orchestra
Bussotti, Furioso di Amneris, Ulrica, Eboli e delle streghe, per mezzosoprano, pianoforte obbligato e piccola orchestra
Dvořák, Suite ceca op.39
Biglietteria
ABBONAMENTO ai 23 concerti
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 276,00 (+ prev.)
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 218,50 (+ prev.)
Balconata € 172,50 (+ prev.)
Ridotti (Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Associazioni Culturali; Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 207,00 (+ prev.)
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 161,00 (+ prev.)
Balconata € 126,50 (+ prev.)
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50
Ridotti (Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50
Il Cast
Direttore: Tito Ceccherini
Pianoforti: Silva Costanzo e Yoko Kimura
Percussioni: Cristiano Pirola e Bruno Frumento
Mezzosoprano: Monica Benvenuti
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
a cura di Oreste Bossini
Dvorak
Notturno op. 40
Suite ceca op.39
Il primo periodo della produzione di Dvorak ha procurato molti problemi agli studiosi, a causa della scarsa quantità d’informazioni sulla cronologia e della notevole confusione tra i manoscritti dei primi anni. Il catalogo tematico dei lavori di Dvorak è stato compilato da Jarmil Burghauser soltanto verso la fine degli anni Sessanta, mettendo un punto fermo in un intrico di attribuzioni incerte e notizie imprecise.
Dvorak aveva l’abitudine di spostare dei movimenti da un lavoro all’altro e a volte di fare confusione con il numero d’opus. Peggio di lui si comportava però il suo editore Simrock di Berlino, che aveva cominciato a pubblicare la musica di Dvorak su suggerimento di Brahms. Dal momento che i lavori del compositore boemo si vendevano bene, Simrock non si fece scrupoli a pubblicare negli anni Ottanta anche composizioni giovanili con un numero d’opus progressivo, per dare l’impressione che si trattasse di nuovi lavori. La storia del Notturno in si bemolle maggiore risente per l’appunto di queste controverse vicende editoriali, che imbarazzavano molto l’autore. In origine la musica formava il movimento lento di un Quartetto in mi minore op. 9, scritto attorno al 1870 e rimasto inedito. Dvorak decise poi di riassegnare l’op. 9 a un altro Quartetto, questa volta in fa minore, riciclando il movimento all’interno di un Quintetto per archi (con il contrabbasso) in sol maggiore op. 18. Aveva anche ripristinato il titolo originario del movimento, Andante religioso. Ma la storia non era ancora finita. All’epoca della pubblicazione del Quintetto, nel 1888, indicato come op. 77, il movimento non c’era più. Infatti era stato tolto e rimaneggiato, per trasformarlo in un lavoro autonomo per orchestra d’archi con il titolo di Notturno. Dvorak l’aveva offerto a un altro editore di Berlino, Bote & B, che lo aveva pubblicato nel dicembre 1883 come op. 40. Insomma, un vero pasticcio per una pagina di assoluta semplicità e di incanto immediato. Il carattere notturno si rivela soprattutto nel colore scuro dell’inizio, affidato al respiro profondo dei bassi. Il lento flusso del tessuto polifonico mostra tracce evidenti dell’influenza della musica di Wagner, anche se la natura del giovane maestro di Praga era molto lontana da quelle oscure vibrazioni romantiche. Dvorak era molto soddisfatto di questo breve lavoro, che aveva faticato non poco a trovare il suo assetto ideale. Lo dirigeva spesso, sia in patria che all’estero, consigliandolo ai direttori d’orchestra che desideravano interpretare la sua musica.
Malgrado porti un numero d’opus inferiore, la Suite op. 39 fu scritta una decina d’anni dopo il Notturno, nell’aprile del 1879. La prima esecuzione si tenne subito dopo, il 16 maggio, con l’orchestra del Teatro Nazionale di Praga diretta dall’amico Adolf Cech. Giusto in quel periodo cominciava la collaborazione con l’editore Simrock, che forniva una cassa di risonanza formidabile alla musica di Dvorak. Il primo fascicolo delle Danze slave per pianoforte a quattro mani, pubblicate nel dicembre 1878 come op. 46, ebbero un successo inaspettato e trasformarono l’oscuro musicista di Praga in un autore conosciuto a livello internazionale. Il successo però aveva un prezzo, per esempio quello di veder pubblicato il suo nome nella forma tedesca Anton, anziché in quella corretta di Antonin. I rapporti tra autore ed editore ebbero i loro alti e bassi, dal momento che gli interessi artistici non sempre si sposano a quelli commerciali. Fu così che la Suite venne pubblicata nel 1881 da un altro editore di Berlino, Schlesinger, con un numero inferiore a quello delle Danze slave, composte in realtà ben prima. Il cambiamento però non fu vantaggioso per la Suite, che è rimasta una sorta di Cenerentola tra i lavori per orchestra di Dvorak.
Malgrado nel frontespizio della partitura non figurasse un riferimento esplicito al carattere nazionale della Suite, tutte le danze erano una chiara espressione della musica popolare boema. Anche il Praeludium, indicato tra parentesi come Pastorale, conserva un ricordo del suono delle cornamuse, che in ceco si chiamano dudy. Ma sono soprattutto le danze vere e proprie a incarnare lo spirito nazionale della musica, anche se Dvorak non elabora un materiale popolare in senso stretto. L’unica citazione di un’autentica melodia popolare si trova nel magnifico Furiant conclusivo, che strappa lìapplauso agli spettatori con i suoi ritmi irresistibili e la sua energia esplosiva. Un altro particolare interessante è il ritrono nel finale di una melodia della precedente Romanza, che collega i due movimenti in un rapporto di carattere quasi sinfonico. Molto curiosa è inoltre la definizione di Minuetto per la danza centrale, Sousedská, una tipica danza boema lenta in 3/4. L’accento sul secondo quarto conferisce alla musica un’inflessione così slava, che non si può immaginare il riferimento all’antico minuetto altro che come modello formale.
Bartok
Concerto per due pianoforti, percussioni e orchestra
L’azienda farmaceutica Hoffmann-La Roche, fondata nel 1896 a Basilea da Fritz Hoffmann, divenne nel giro di pochi anni una fiorente impresa internazionale. Alla morte di Hoffmann, nel 1920, l’azienda finì nelle mani del figlio Emanuel, il quale però avrebbe desiderato intraprendere una carriera artistica, invece che dirigere l’azienda. Nel 1921 Emanuel sposò una scultrice di Basilea, Maja Stehlin, affascinata dalle tumultuose trasformazioni in corso nel mondo dell’arte. La coppia iniziò a comperare opere di artisti moderni e anticonformisti come Chagall, Picasso, Paul Klee, Roualt, Hans Arp, formando poco a poco una delle maggiori collezioni europee di arte contemporanea. Emanuel però rimase vittima nel 1932 di un incidente stradale, lasciando la moglie con tre figli e un cospicuo patrimonio. Ma la strada di Maja s’incrociò con quella di un giovane musicologo e direttore d’orchestra, Paul Sacher, che un paio d’anni dopo divenne suo marito. Sacher era un buon musicista, ma ebbe l’umiltà di comprendere che la sua fortuna avrebbe potuto essere utile alla musica in maniera ben più efficace. L’arte e la musica trovarono infatti grazie a questa coppia di mecenati illuminati e intraprendenti un rifugio sicuro in tempi difficilissimi, come quelli che travolsero l’Europa negli anni Trenta e Quaranta. Grazie ai cospicui dividendi della casa farmaceutica, Sacher ha potuto commissionare numerosi lavori ai maggiori rappresentanti della musica moderna. Basterebbe menzionare capolavori come la Musica per percussioni, archi e celesta di Béla Bartók(1936), Metamorphosen di Richard Strauss (1946) o il Concerto in re di Igor Stravinskij(1940), per comprendere quanto debba a Paul Sacher la musica del Novecento.
Tra questi capolavori figura anche la Sonata per 2 pianoforti e percussioni, scritta da Bartok nel 1937 per il decennale della sezione di Basilea della Società Internazionale di Musica contemporanea. L’idea di un organico così poco convenzionale rispondeva a una duplice esigenza: da una parte avere a disposizione un lavoro da concerto per se stesso e la moglie Ditta Pásztory, dall’altra esplorare in maniera esplicita le possibilità di un dialogo tra il timbro del pianoforte e il suono delle percussioni. Bartók aveva già dimostrato di avere un interesse particolare per il rapporto tra questi due strumenti, come risulta evidente dalla strumentazione dei due primi Concerti per pianoforte. Ma questa volta il carattere percussivo della scrittura pianistica è affrontato in maniera diretta, con un lavoro di stampo cameristico che coinvolgeva i due strumenti in un dialogo esclusivo. La prima esecuzione della Sonata a Basilea, il 16 gennaio 1938, ebbe un “tremendo successo”, come scrisse lo stesso autore/interprete, così come avvenne in altre capitali europee. Nel giro di un paio di mesi, tuttavia, la situazione politica precipitò. Il governo di Vienna non riuscì più a contenere le pressioni tedesche e Hitler fece il suo ingresso trionfale nella capitale, annettendo ciò che restava dell’Austria al Terzo Reich. L’Europa centrale sembrava ormai in balia dei nazisti e molti, tra i quali Bartók, temevano che l’Ungheria avrebbe fatto presto la stessa fine. La decisione di lasciare il paese maturò in quegli anni e dopo una breve tournée di concerti in Italia, il musicista s’imbarcò con la moglie per New York nell’ottobre del 1940. La prima preoccupazione di Bartók in America fu di allargare e consolidare il proprio repertorio per sé e per la moglie come duo pianistico, quindi preparò subito una versione della Sonata come Concerto per due pianoforti e percussioni, strumentando la partitura per orchestra. Per ironia della sorte, la nuova versione non ottenne i risultati sperati in termini d’ingaggi e la prima esecuzione del Concerto avvenne a Londra il 14 novembre 1942 con Louis Kentner e Ilona Kabos come solisti.
La scrittura pianistica di questo lavoro contiene una modernità stupefacente, specie grazie all’impressione ruvida e asciutta del dialogo con le molteplici sonorità delle percussioni. Il linguaggio di Bartók è zeppo di riferimenti numerologici e l’architettura ruota con raffinata intelligenza attorno a nuovi processi di simmetria formale. L’inizio per esempio mostra l’eccezionale sensibilità armonica dell’autore, che lascia espandere poco a poco le risonanze dell’intervallo fa # – do, asse portante della scrittura dell’Assai lento iniziale, fino a toccare l’intero insieme dei suoni cromatici. L’Allegro molto successivo rappresenta una forma sonata costruita in maniera perfetta, basata su tre temi ben equilibrati nel carattere e rivestiti con magnifica eleganza dall’immaginazione sonora del compositore. Il movimento centrale, Lento ma non troppo, appartiene alla famiglia delle musiche notturne, che Bartók ha arricchito in tanti lavori di esempi insuperabili. L’oscurità della notte nasconde un mondo animato da fremiti impercettibili e rumori misteriosi. Le ore notturne sono cariche d’angoscia, che si manifesta in un ripetuto richiamo ribattuto su un guizzante intervallo di terza, simile a un verso d’animale. Dopo la cupa meditazione dell’Adagio, l’attacco vibrante ed energico dell’Allegro non troppo finale genera un efficacissimo contrasto di carattere. Le festose triadi di do maggiore introducono nella partitura una sorta di gioia selvaggia. La sensazione di una chiassosa festa primitiva è accentuata dal suono secco e penetrante dello xilofono, che impone all’attenzione dell’ascoltatore un brillante tema imperniato sulle principali note del Concerto, do, fa # e si bemolle.
Sylvano Bussotti, FURIOSO DI AMNERIS, ULRICA, EBOLI E DELLE STREGHE, PER MEZZOSOPRANO, PIANOFORTE OBBLIGATO E PICCOLA ORCHESTRA
Nota dell’autore alla partitura.
“Quest’opera, in gran parte, si basa su musiche del passato. Ricomposte secondo tipi di scrittura che l’autore pratica nel presente. Vi si alternano parti o pagine misurate, spesso anche a metronomo, a pagine o parti libere, senza tempo.
Al ruolo vocale di mezzosoprano – qui abbreviato con l’appellativo Mezzo – concepito come protagonista, si attornia la piccola orchestra composta da 7 legni, 4 ottoni, 8 archi, arpa, celesta, 2 percussionisti ed un pianoforte principale (cui necessita l’assistenza di una seconda persona oltre all’interprete primo).
La protagonista deve potersi vedere sopra uno spazio vasto ed elevato, ben distinto dagli strumenti, posta in rilievo da un’adeguata illuminazione; e riveste – anche letteralmente, indossando abito ed elementi da vero e proprio costume teatrale – un ruolo drammatico fortemente caratterizzato.
Il pianoforte – scritto in massima parte con segno, disegno, pittografico, da realizzarsi generalmente all’interno della cassa armonica, per cui si deve togliere il coperchio – ha il ruolo di spalla della donna e lo sguardo dello spettatore deve ugualmente poter seguire le evoluzioni dell’interprete primo, che dovrà muoversi spesso intorno allo strumento, mentre il secondo resta seduto a svolgere il giuoco dei pedali.
A tratti anche il Violino solista riveste un ruolo concertante di rilievo da interpretarsi a memoria e in piedi.
L’impaginazione appare continuamente mutevole, nell’alternanza di scritture, incolonnamenti convenzionali, e gesti grafici a capriccio, liberi raggruppamenti di figure sonore. Organizzazione rigida o flessibile della scrittura in contrasto sistematico. E al centro dell’opera si fronteggiano deliberatamente – pag. 12 e pag. 13 – i due diversi modi d’espressione. L’orchestra veste il frac e l’abito da sera scuro.
Infine l’illuminazione. La protagonista dev’essere illuminata con effetti concentrati sul suo personaggio, anche i vari solisti o gruppi strumentali, però, necessitano luci speciali. Più facile da realizzarsi se l’interpretazione avviene sopra un palcoscenico attrezzato per il teatro, anche in sala da concerto è indispensabile un apparato luminoso speciale. Sulla partitura sono segnati, da 0 a 13, i momenti per ogni effetto.
Il Maestro che dirige, dopo meticolosissima concertazione, si può concedere, senza enfasi, misurati abbandoni nel gesto.”
Sylvano Bussotti