68ª Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 16 maggio 2013
Ore: 10:00*
giovedì 16 maggio 2013
Ore: 21:00
sabato 18 maggio 2013
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Weber, Il franco cacciatore, ouverture
Lalo, Concerto per violoncello e orchestra
Schumann, Sinfonia n. 1 op. 38

Biglietteria

 

BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50

Ridotti
(Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50

Il Cast

Direttore: Giordano Bellincampi
Violoncello: Umberto Clerici
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Carl Maria von Weber [Eutin, Holstein, 1786 – Londra, 1826]
Der Freischütz (Il franco cacciatore), Ouverture

Édouard Lalo (Lille, 1823 – Parigi, 1892)
Concerto per violoncello e orchestra in re minore
Prélude, Lento – Allegro maestoso
Intermezzo: Andantino con moto – Allegro presto
Introduction, Andante – Allegro vivace

Robert Schumann (Zwickau, Sassonia, 1810 – Endenich, Bonn, 1856)
Sinfonia n. 1 in si bemolle maggiore op.38  Frühlingssymphonie” [Sinfonia della primavera]
Andante un poco maestoso – Allegro molto vivace
Larghetto
Scherzo: Molto vivace
Allegro animato e grazioso
«Il franco cacciatore fu accolto con entusiasmo eccezionale! Furono bissati l’Ouverture e il Volkslied: tutto andò magnificamente e fu cantato con grande passione». [Carl Maria von Weber]
Weber iniziò ad appassionarsi al teatro ancor bambino partecipando alle tournée di quella che amava scherzosamente definire la “Von Weberschen Gesellschaft”, una compagnia di giro costituita dal padre e dalla sua numerosa famiglia. Poiché il genitore voleva farne un fanciullo prodigio, Carl Maria intraprese ben presto anche gli studi musicali, sebbene – sia per pratiche contingenze di vita, sia per la salute alquanto cagionevole – essi non si svolsero regolarmente. Ciò non impedì al giovane artista di dar voce in modo compiuto a un’inquietudine tipicamente romantica, resa manifesta dalla impressionante poliedricità della sua attività: egli fu compositore, direttore d’orchestra, grande virtuoso del pianoforte, ma anche scrittore e critico musicale. E proprio nei suoi articoli l’aggettivo che ritorna più frequentemente è “drammatico”, in quanto egli volle creare un melodramma in cui ogni elemento fosse piegato al risultato dell’insieme: un’opera in cui «tutte le parti e i contributi delle arti gemelle che vi sono impiegate si fondono l’una nell’altra fino a sparire e formano un nuovo universo».

In tale ottica nasce Der Freischütz, un singspiel ispirato al mito di Faust in cui si narra la storia del cacciatore Max, il quale vende la propria anima al diabolico Samiel per avere delle pallottole magiche con cui vincere un torneo di tiratori e, di conseguenza, la mano della dolce Agathe. Tuttavia, giunta sull’abisso della tragedia, la trama volge al lieto fine: il protagonista è redento e liberato dalle nefaste conseguenze del proprio patto grazie alla purezza di sentimenti dell’amata. L’opera, rappresentata con esito trionfale il 18 luglio 1821 a Berlino, costituisce un momento cruciale del percorso artistico del musicista e della polemica ottocentesca fra il melodramma di matrice italiana e l’opera tedesca, ponendo la premessa della rivoluzione artistica che si compirà con Richard Wagner.  Nel Franco cacciatore si definisce infatti l’archetipo di un teatro musicale svincolato dalla tradizione belcantistica, con una trama che è riconducibile alla predilezione per il soprannaturale delle letterature nordiche e con un rinnovamento del linguaggio melodico ispirato al folklore popolare. E l’Ouverture è un’eccellente sintesi del lavoro, grazie alla citazione di due momenti topici dell’opera simboleggianti la lotta fra il Bene e il Male: il contrasto dialettico fra gli elementi motivici, l’impostazione formale e anche l’irruenza torrenziale del Finale sono riconducibili a stilemi beethoveniani, in particolar modo dell’Egmont, mentre il raffinato impiego del colore strumentale costituisce un passo decisivo verso la creazione degli stretti rapporti fra timbro e situazione drammatica che caratterizzeranno il Romanticismo musicale.

Dopo poche battute introduttive, i magici intrecci melodici dei quattro corni danno vita a una piccola fanfara di cacciatori, evocatrice della purezza intangibile della Natura. E’ un gesto sonoro di rara efficacia, che prepara le cupe armonie associate alla presenza demoniaca di Samiel e gli accenti dolorosi del violoncello, vivida personificazione della disperazione di Max. Il successivo Molto vivace si aggira guardingo fra l’incertezza ritmica degli archi e i brevi incisi dei legni; ben presto però la concitazione ritmica inizia a palpitare e dopo un ansioso crescendo scoppia, improvviso, l’inquietante tema della “Gola del lupo”, un modello di descrizione romantica dell’orrore soprannaturale. L’episodio ha quindi un ampio sviluppo e, dopo un fortissimo, si annuncia il pacato disegno del clarinetto, preannuncio al delicato lirismo della melodia di Agathe. L’intreccio delle idee motiviche principali porta a un apice di veemenza, ma la forza dell’amore ha il sopravvento e uno slancio irrefrenabile conclude la pagina in un clima di gioia esultante.

L’Ouverture del Freischütz si delinea dunque quale l’emblema dell’opera: l’insinuarsi delle tentazioni diaboliche nel cuore fragile ma fondamentalmente puro di un giovane (Introduzione), fa esplodere nella sezione centrale la lotta luciferina fra la luce e le tenebre, celebrando nella Coda la vittoria del Bene.

«Benché imbevuto di Classicismo, benché ammiratore fervente di Schubert, Schumann, Berlioz e più tardi Wagner, Lalo ci sembra soprattutto un artista dalla sensibilità meridionale e la sua musica assume, spontaneamente, la forma di una danza ideale» [Paul Dukas, “La revue musicale”, Parigi, 1923]

Figlio di un veterano delle guerre napoleoniche Lalo si avvicinò al mondo dei suoni fin da bambino. Il piccolo Édouard prese subito familiarità con il violino e il violoncello, ma i rigidi principi militari del padre, vedendo nella musica un semplice completamento della buona educazione, si opposero al desiderio di proseguire gli studi in senso professionale e il giovane, a soli sedici anni, se ne dovette andare di casa per poter completare la propria formazione presso il Conservatorio di Parigi. Nella capitale francese avviò la propria attività di insegnante e violinista, suonando anche ripetutamente per Berlioz, ma la svolta nel suo percorso artistico fu la creazione della Société nazionale de musique, di cui fu uno dei fondatori insieme a figure di primo piano quali Camille Saint-Saëns, Gabriel Fauré e Cesar Franck. «Prima del 1870», affermò significativamente Saint-Saëns, «un compositore francese così folle da arrischiarsi sul terreno della musica strumentale non aveva altro mezzo per far eseguire le proprie opere che organizzare di persona un concerto e di invitare i suoi amici e la critica». In effetti, le cattedre del Conservatorio erano occupate quasi esclusivamente da operisti e il melodramma era la sola forma musicale riconosciuta in Francia, mentre la tradizione strumentale era esclusivo retaggio del mondo germanico; ma lo shock della guerra franco-prussiana, culminata nella disfatta di Sedan del 1871, suscitò una forte reazione emotiva e culturale. Il motto della Société fu emblematicamente Ars gallica e l’associazione si assunse il compito di diffondere il repertorio nazionale contemporaneo, in primis quello sinfonico.

In tale prospettiva Édouard Lalo può essere considerato uno dei maggiori artefici della rinascita strumentale d’oltralpe e benché la sua fama sia legata anche al tardivo e sofferto successo dell’opera Le roi d’Ys, l’eccellente assimilazione del linguaggio del primo Romanticismo tedesco favorì la creazione di alcuni capolavori della musica orchestrale di fine Ottocento, a partire dal Concerto per violoncello e orchestra in re minore. Il lavoro, eseguito per la prima volta a Parigi il 9 dicembre 1877, si segnala per la felice valorizzazione dell’idioma violoncellistico, uno strumento che del resto il musicista conosceva fin dall’infanzia e predilesse proprio per la duttilità melodica e per la suadente sonorità.

La partitura si apre con una frase di grande passionalità, cui segue una lunga e mobilissima sezione solistica; il seguente Allegro maestoso è caratterizzato da un tema di cui si ricorderà Dvorak nella Sinfonia “Dal nuovo mondo” e si pone su un tono drammatico che si riallaccia al vigoroso dinamismo del sinfonismo schumanniano. Non esiste una vera e propria seconda idea motivica: dopo l’esposizione, la melodia principale si scioglie in un acceso lirismo, mentre l’orchestra dirada il suo ricco tessuto timbrico. L’ampio sviluppo, introdotto da reminiscenze dell’Allegro e del Lento iniziale, concede spazio agli elementi cantabili, sostenuti da una strumentazione trasparente e impreziositi dal morbido intreccio di ritmi binari e ternari. Un lungo passo virtuosistico del violoncello porta alla ripresa, che si trasforma ben presto in una lunga perorazione in cui il precipitoso movimento del solista gioca il ruolo di indiscusso protagonista.

L’assoluta originalità dell’Intermezzo dimostra la grande dimestichezza del compositore con le piccole forme e la sua notevole sensibilità coloristica. I due brevi episodi che, in una duplice ripetizione, costruiscono la pagina, alternano metri contrastanti e oscillano fra le tonalità di sol minore e sol maggiore; l’uno, dolce e cantabile, ha l’andamento di un Andantino, mentre l’altro è un Allegro dal tema sincopato, svolazzante su un arabesco di pizzicati che sembrano simulare una chitarra, mentre sono inaspettatamente affidati ai legni.

Il Finale si apre con un eloquio festoso, vivacizzato dagli improvvisi sobbalzi ritmici del solista: la scrittura virtuosistica non conosce cedimenti e il movimento sfocia nell’impetuosa Cadenza, suggellata da una suggestiva fanfara di caccia affidata ai corni. La gioviale vitalità della pagina è ben sintetizzata dalle parole che il critico musicale Vuillermoz pronunciò nel centenario della nascita del compositore: «Lalo ci ha insegnato quanto c’è di miracoloso nel tatto e nel buon gusto; ci ha fatto apprezzare il sapore inimitabile dell’eleganza e della raffinatezza nel pensiero e nella forma. L’autore del Roi d’Ys fu, sommamente, un artista francese: discreto, delicato, raffinato e di ottima compagnia».

«Ho la tentazione di distruggere il mio pianoforte: è diventato troppo angusto per contenere le mie idee. Ho davvero ben poca esperienza in fatto di musica orchestrale, ma non dispero di acquisirne». [R. Schumann]

All’inizio degli anni Quaranta, ormai conclusa l’esperienza compositiva degli imponenti cicli pianistici e liederistici, Robert Schumann si accosta all’impegno più arduo della sua carriera: la scalata al genere sinfonico. Nel 1832 il giovane musicista si era già cimentato nella creazione di una partitura orchestrale, ricalcata scolasticamente sui modelli beethoveniani, ma si era limitato a scrivere i primi due movimenti e a schizzarne un terzo, comprendendo di non aver ancora ben assimilato la lezione del Classicismo viennese.

Un decennio dopo, nel momento in cui sta vivendo gli entusiasmi matrimoniali con l’amata Clara e va assaporando l’ebbrezza della piena maturità d’uomo e d’artista, il musicista tedesco si sente pronto per affrontare nuovamente la prova. I tempi di lavorazione sono rapidissimi e la Sinfonia  è abbozzata al pianoforte in soli quattro febbrili giorni di lavoro, fra il 23 e il 26 gennaio 1841, mentre l’orchestrazione richiede poco più di tre settimane.

Non fu soltanto lo stato di felicità di quel periodo a favorire il sorgere spontaneo delle idee musicali. Al momento di realizzare l’opera, infatti, Schumann aveva scelto come motivo ispiratore un testo letterario di Adolf Böttger dedicato alla primavera, derivandone suggestioni poetiche per tutti e quattro i movimenti, che avevano originariamente altrettanti titoli descrittivi: “Risveglio della primavera” per l’Allegro iniziale, “La sera” per il movimento lento, “Gli allegri compagni di gioco” per lo Scherzo e “La pienezza” e “Addio alla primavera” per il Finale. In seguito l’artista renano decise di rimuovere le didascalie, forse per mantenersi più vicino alla tradizione dei suoi predecessori o ancor più per una forma di rispetto nei confronti del sommo Beethoven che, com’è noto, non amava la musica esplicitamente programmatica. L’op.38 continuò comunque a essere chiamata “Frühlinssymphonie” e la freschezza bucolica delle tante idee melodiche ci ricorda l’esistenza di un filo rosso che al momento della sua nascita era ben presente nell’immaginazione dell’artista.

Come la Settimadell’amatissimo Schubert anche la schumaniana Sinfonia in si bemolle maggiore si apre con un breve “a solo” dei corni e delle trombe: è un nobile appello a cui risponde l’intera orchestra nell’Allegro molto vivace e porta al pieno sviluppo il primigenio richiamo alla Natura ricorrente nell’opera. La concitazione ritmica di questo tema è bilanciata dalla grazia melodica della seconda idea motivica, esposta dai legni e ripresa in forma dialogica dagli altri strumenti. Sul finire, il primo spunto prevale e dà luogo a una stretta conclusiva da cui si sprigiona un senso di rigogliosa allegrezza, che è giustamente ritenuto il simbolo del tono primaverile che pervade la partitura.

Il successivo Larghetto ha la filigrana melodica di un Lied, di cui riprende anche la forma ternaria, arricchita da un raffinato gioco strumentale che è concluso dall’ingresso dei tromboni, declamanti un nuovo tema: è il preannuncio del movimento successivo, un brano pieno di fantasia, giocoso e scorrevole. Sarebbe difficile rintracciare in questa pagina la drammatica concezione degli analoghi Scherzi beethoveniani, tuttavia il linguaggio orchestrale ha qui più che altrove la sua assoluta ragione d’essere e con la sua varietà di accenti, dovuta anche alla inusuale presenza di due Trii, è un degno anello di congiunzione tra il secondo e l’ultimo tempo. L’Allegro animato finale è costruito su due temi gioiosi e vitali: la prima idea motivica ha una grazia che sembra voler evocare la leggiadria della danza, mentre la seconda si fa più squisitamente cantabile e, in un gioco di rimandi caro al proprio autore, è emblematicamente una citazione della famosa raccolta pianistica “Kreisleriana”. Fra queste due idee melodiche si inserisce anche una figurazione ritmica tratta dal tema iniziale della Sinfonia, manifestando quella particolare predilezione per la forma ciclica che è una delle tante geniali intuizioni di Robert Schumann