Le date
Serie Red Planet – Serie Curiosity
Schubert, Sinfonia n. 5 D 485
Wieniawski, Concerto n. 2 op. 22 per violino e orchestra
Schubert, Sinfonia n. 7 D 759 (Incompiuta)
Biglietteria
ABBONAMENTO ai 23 concerti
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 276,00 (+ prev.)
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 218,50 (+ prev.)
Balconata € 172,50 (+ prev.)
Ridotti (Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Associazioni Culturali; Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 207,00 (+ prev.)
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 161,00 (+ prev.)
Balconata € 126,50 (+ prev.)
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50
Ridotti (Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50
Il Cast
Direttore: Christopher Warren Green
Violino: Noah Bendix Balgley
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
Guida all’ascolto a cura di Sergio Casesi
Schubert, Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore
Organico: flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi Composizione: Vienna, settembre – 3 ottobre 1816 Prima esecuzione: Vienna, 17 ottobre 1841 Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1885
Al cospetto delle Sinfonie di Schubert non si resta puri ascoltatori. Non si può non ammettere, dopo aver attraversato almeno le pagine migliori del compositore viennese, di provare un senso di sgomento positivo, di inquietudine quieta, di magnanimità venata da ombre dubbi, da paure e fulgide visioni. E quando si scende nella partitura, quando ci si interroga sul senso e sulla forma del materiale sinfonico di Schubert, questo mare mosso da attraversare in solitaria non fa che crescere e acuire il nostro affascinato timore. Schubert sinfonista ci appare diverso dal compositore di Lieder e dall’autore dei quartetti. Nei libri dei canti per voce e pianoforte scopriamo, oltre ad una fantasia illimitata, una capacità interpretativa del testo profondissima unita ad una potente precisione espressiva e stilistica, una concisione della scrittura così intensa da apparire trasparente ma abissale, leggera e trascendente. Anche lo Schubert autore di musica da camera è diverso dal sinfonista. Le opere magnifiche per quartetto d’archi o il Trio op. 100 dimostrano come il senso della forma e il suo tempo tendano ad un equilibrio straordinario. Schubert nei Quartetti riesce a pensare diversamente il tempo che passa attraverso la musica. Anche in presenza di baratri, di desolazioni dell’anima o di sussulti di gioia, nei quartetti si va oltre, oltre il problema del tema e dello sviluppo, oltre il senso della variazione. Schubert prepara il suo secolo e quello che verrà dopo allargando lo spazio che la musica si annette. Cambi di luce, di atmosfera, di punti di osservazione, tutto viene concesso in un ragionamento musicale che comincerà a esprimersi con Schubert in maniera nuova. Possiamo comprendere meglio pensando ai versi e alla prosa. Se la musica del periodo classico è sempre scritta in versi, al contrario di Bach ad esempio, con Schubert il verso musicale comincia a cambiare, a contaminarsi, a cercare il suono della prosa. Saranno i Quartetti del novecento a esprimersi in prosa poetica, ma dall’immensa opera di Schubert nessuno ha potuto prescindere. Si direbbe quindi che le Sinfonie siano, per l’impatto sull’arte della composizione, la parte relativamente meno pregiata del catalogo di Schubert, ma non è così. Nella Sinfonia il compositore viennese ama sciogliersi nei timbri orchestrali, ama goderne con minor ansia e con più semplicità che in altre forme. Lo sguardo di Schubert verso un’orchestra sinfonica sembra sempre quello stupito di un fanciullo al primo ascolto. I clarinetti fantastici… i corni calorosi… i violoncelli e i contrabbassi abissali… la luce dei violini, la luce dell’oboe… Schubert non rinuncerà mai a godere dei timbri orchestrali, e lo farà allargando, allentando la tensione della composizione, dando spazio al suono di vivere, di crescere, di essere apprezzato. Schubert, come noto affascinato fino all’ossessione da Beethoven, cerca insomma spesso di riprodurre quel senso di magnifica estasi che si prova nella Pastorale. Anche quando, altrettanto spesso, cerca di ritrovare in sé quella voce beethoveniana di forza spinta fin oltre il proprio limite. Nelle Sinfonie, Schubert dal suono parte, comincia il suo cammino. Non da un’idea melodica o ritmica, nelle sinfonie Schubert prima pensa al suono che dovrà avere l’orchestra. Un suono che sarà solo il suo, dolcissimo e potente come la sua ispirazione. Così se ascoltiamo le Sinfonie una dopo l’altra ci accorgiamo di una evoluzione costante, di una corsa verso un suono ancora inaudito. Che tenti di esser sovrumano. La ripetizione dei temi, la variazione, le proporzioni via via più grandi e l’ambizione progettuale delle Sinfonie lievitano e crescono verso la conquista ideale di una sapienza sinfonica che porti il colore dell’orchestra ad essere di per se stesso portatore di significati ineludibili. Per noi che ascoltiamo qualsiasi genere di musica di qualsiasi epoca può sembrare scontata la ricerca espressiva attraverso il timbro, ma per l’epoca questo non era affatto scontato. Eppure, anche in questa cattedrale di suoni e colori, lo Schubert dei Lieder non scompare. Il Wanderer, il viaggiatore, il camminatore del mondo non si nasconde. Il viandante, colui che guarda le cose da straniero, da migrante, potremmo forzatamente dire oggi, estraneo al mondo degli uomini perché parte della natura, forse schiavo di un segreto o di un animo troppo sensibile e ferito, non si cela. Il viandante autore sinfonico, conoscitore e mai possessore della saggezza e della miseria del mondo, compila partiture ricche di una malinconia senza parole capaci però di spingere l’animo di chiunque a intraprendere un cammino, il proprio, in segreto, fino ai ghiacci del proprio inverno privato. Il poetico in Schubert è sempre intimo, come intima è la tenerezza con cui Schubert invita a muovere il primo passo.
Schubert chiede notizie della verità. Chiede se la volontà beethoveniana possiede una verità o se è illusione. Se tutto è destinato a morire, a sfinire, come appare all’uomo nella sua esperienza, senza davvero essere conosciuto, riconosciuto, svelato, o se invece alla fine del viaggio sapremo, comprenderemo il senso. Nelle sinfonie di Schubert siamo sospesi in un volo pindarico fra la luce e le tenebre più nere. Ciò che sappiamo non è abbastanza, ciò che riusciremo a scoprire non ci salverà. E il dramma che ogni sinfonia metterà in scena saràproprio questo, la non accettazione di questo limite tutto umano. Completata il 3 ottobre 1816, la Quinta Sinfonia rivela da subito un tratto mozartiano, si ascolta l’esigenza di semplicità attraverso una felice ed esuberanteinventiva tematica. La prima esecuzione fu tenuta da un’orchestra formata per lo più da dilettanti. Gli strumentisti vennero ospitati presso l’abitazione di Otto Hatwig, esecutore del Burgtheater e direttore d’orchestra. Il fratello di Schubert sedeva al primo violino mentre il compositore occupava il posto di prima viola. Composizione ancora giovanile ma non infantile per spirito e indole, oltre a rivelare il modello classico che la contiene, esprime la delizia e la dolcezza di un poeta ancora ragazzo. «O Mozart, immortale Mozart» – Si legge nel diario di Schubert alla data 13 giugno 1816 – «quante, o quanto infinite, benevole impronte di una vita migliore, più luminosa, hai stampato nella nostra anima!». Il primo tempo sembra davvero voler descrivere l’animo pervaso da quella luce. Eppure Schubert, anche se giovane ancora, sente molto bene come ad una luce corrisponda un’ombra, come ogni cosa illuminata nasconda una parte buia. Così della luce iniziale, nel corso dell’Andante con Moto e poi del Minuetto e dell’Allegro Vivace conclusivo, qualcosa verrà inesorabilmente perso. Con il sorriso, con un’inquietudine celata da parole serene e calme, il pugno di Schubert sembra perdere lentamente la sabbia che con forza teneva stretta in sé. In questi anni Schubert suonava spesso con l’orchestra che ha dato la prima esecuzione della Quinta, l’unica esecuzione con Schubert vivente. Quest ensemble, da piccolo gruppo da camera divenne sempre più numeroso fino ad arrivare ad essere un’orchestra d’archi capace di esibirsi in pubblico con regolarità. Schubert in quegli anni ha quindi non solo studiato a fondo le opere dei classici, ma le ha suonate in pubblico potendo accostare in rari casi le sue composizioni a quelle dei Maestri. Schubert ascoltò in vita pochissime sue composizioni, ma crediamo che in quel 1816, mentre l’Europa consolidava la restaurazione, mentre gli imperi e i potenti vincitori rinascevano più forti e autoritari, in una piccola sala privata di Vienna, un giovane musicista visse una gioia incredibile e rara, e per lui più preziosa di qualsiasi impero o corona. E quei potenti poi sono caduti, e i loro imperi distrutti, e milioni di uomini sono passati. E tutto invano, solo per il volgare sentimento del potere. Mentre la Quinta Sinfonia di Schubert è oggi viva e portatrice di gioia, essendo un brano fra i più eseguiti e amati in tutto il mondo. La gioia di Schubert non fu vana.
Wieniawski, Concerto n. 2 in re minore, op. 22 per violino e orchestra
Organico: violino solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi Anno di composizione: 1870
Wieniawski, grande virtuoso e fondatore della scuola violinistica polacca, si esibiva in tutta Europa celebrando le sue capacità sia sul repertorio classico e romantico, che sfoggiando le sue virtuosistiche composizioni, brani che il violinista amava cucirsi addosso per stupire la platea. Ma non è in Wieniawski uno stupore di sola velocità e tecnica ad essere inseguito. In un linguaggio sentimentale e voluttuosamente appassionato, spesso paradossale e disperante, vengono iscritti salti, arpeggi, note acutissime, pizzicati e quant’altro: il compositore violinista sembra volerci assicurare che ha anche un cuore. Che lui non è solo le sue dita. E noi gli crediamo. E lo ascoltiamo oggi con un po’ di tenerezza, come si ascolta forse un adolescente innamorato che confida il primo amore. Un amore che fa correre e sperare, saltare e patire, per poi bruciare ed esaurirsi in pochissimo tempo.
Schubert, Sinfonia n. 8 in si minore “Incompiuta”
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi Composizione: Vienna, 15 marzo – 30 ottobre 1822 Prima esecuzione: Vienna, 17 dicembre 1865 Edizione: Spina, Vienna, 1867
L’autografo dell’Incompiuta è datato 30 ottobre 1822. Fu dal compositore consegnato all’amico Anselm Hüttenbrenner forse come dono da recapitare all’Unione Musicale Stiriana che aveva da poco nominato Schubert membro onorario. Non sappiamo molto altro, se non che Hüttenbrenner la tenne nascosta per quattro decenni e solo il 17 dicembre 1865 Johann Herbeck ne diresse a Vienna la prima esecuzione e che esistono appunti di uno Scherzo, che forse tradisce la convinzione di chi crede Schubert autore di una Sinfonia in due movimenti. Sappiamo però che all’ascolto del capolavoro del compositore viennese non possiamo che commuoverci per la forza immane di una capacità visionaria e poetica e di una intelligenza musicale sconfinate. La desolazione del nulla, la tenerezza con cui si parla all’Assenza, alla Morte, alla Malinconia sono aspetti della partitura unici ed eterni. Ogni elemento qui diventa simbolo, ogni tema, ogni tratto motivico, ritmico o armonico viene sublimato in un ordine superiore capace di creare un universo di significati poetici sempre in relazione fra loro. Lo scontro fra gli elementi e insieme l’armonia che pervade ogni parte della composizione ne fanno una delle sinfonie più importanti della storia della musica. La memoria, la consapevolezza dell’abisso, il tema del sogno, della corsa inutile verso il compiersi del destino fanno dell’Incompiuta uno dei più forti commenti sull’umano. «Chi potrà fare qualcosa di più, dopo Beethoven?», si chiedeva Schubert. Cosa c’è oltre quella visione del mondo? Cosa resta in noi e di noi dopo l’esplosione beethoveniana? Forse possiamo vedere Schubert riflettere romanticamente sotto la luce lunare del primo movimento. Nell’oscurità che ci pervade forse la luna può dirci la parola di partenza, la parola con cui ricominciare a sentire, a capire. Il primo movimento è una meditazione intensa capace di arrivare ad una gioia sofferta dell’oltre e di un’estasi dell’intelligenza che l’uomo raramente può intravedere. L’Andante con moto che segue sembra sorvolare gli stessi paesaggi ma il colore della musica è cambiato. La luce che illumina i corpi e le cose non è più quella del Si minore introduttivo. Il secondo movimento, in Mi maggiore, vive di una luce più calda, solare. Aperto dal suono del corno e del fagotto si scioglierà poi in un dialogo fra oboe e clarinetto così che fra modulazioni e palpiti sfocerà in una grande solennità immateriale, qui assumerà quel connotato cosmico che determinerà l’ascolto della sinfonia dopo la sua conclusione, nei vortici del nostro animo, nelle segrete della nostra memoria. In genere le parole dicono troppo poco alla volta per illustrare la complessità emotiva di una musica così alta. Accade invece che si aprano le porte e spezzino le catene quando le parole si fanno musica, quando tentano il salto verso l’indeterminato, quando accolgono come inevitabile il mistero e smettono di combatterlo. Ciò che l’Incompiuta indaga con le sue luci e i suoi silenzi è il mistero che spesso i poeti hanno cercato di dirci:
Ma fedele
il mio cuore segreto
rimane alla notte,
e a suo figlio,
l’amore che crea.
Puoi tu mostrarmi un cuore fedele in eterno?
Ha il tuo sole occhi amici che mi ravvisino?
e le tue stelle afferrano la mia mano supplichevole?
Novalis
Le tue mani migranti.
Non hanno cercato
di afferrare la neve
verso cui crescevano i monti?
Non sono discese
nel cuorpalpitato silenzio dell’abisso?
Le tue mani, le viandanti.
Le tue mani migranti.
Paul Celan