68ª Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 15 novembre 2012
Ore: 10:00*
giovedì 15 novembre 2012
Ore: 21:00
sabato 17 novembre 2012
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Respighi, Gli uccelli
Reinecke, Concerto per flauto e orchestra op. 283
Haydn, Sinfonia hob. I : 100 (Militare)

Biglietteria

ABBONAMENTO ai 23 concerti

Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 276,00 (+ prev.)
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 218,50 (+ prev.)
Balconata € 172,50 (+ prev.)

Ridotti (Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Associazioni Culturali; Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 207,00 (+ prev.)
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 161,00 (+ prev.)
Balconata € 126,50 (+ prev.)


BIGLIETTI

Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50

Ridotti
(Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50

Il Cast

Direttore: Pietro Mianiti
Flauto: Mario Carbotta
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Ottorino Respighi (Bologna, 9 luglio 1879 – Roma, 18 aprile 1936)
Gli Uccelli, suite
Preludio, da Bernardo Pasquini
La colomba, da Jacques de Gallot
La gallina, da Jean Philippe Rameau
L’usignolo, da un anonimo inglese
Il cucù, da Bernardo Pasquini
Organico: 2 flauti (con ottavino), oboe, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, celesta, arpa, archi.
Ed. Ricordi, Milano, 1928.
Prima esecuzione: 6 giugno 1928, Teatro Municipale di San Paolo del Brasile, direttore l’autore.

Carl Reinecke (Altona, 23 giugno 1824 – Lipsia, 10 marzo 1910)
Concerto per flauto in re maggiore, op. 283
Allegro molto moderato
Lento e mesto
Finale – Moderato
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, percussioni, archi.
Ed. Breitkopf und Härtel, Lipsia, 1909.
Prima esecuzione con pianoforte: 15 marzo 1909, Lipsia, Maximilian Schwedler al flauto, Oswin Keller al pianoforte.
Prima esecuzione con orchestra: 4 settembre 1909, Londra, Queen’s Hall Orchestra, Albert Fransella al flauto, direttore Henry Wood.

Franz Joseph Haydn (Rohrau, 31 marzo 1732 – Vienna, 31 maggio 1809)
Sinfonia n. 100 in sol maggiore “Militare”, Hob. I:100
Adagio, Allegro
Allegretto
Minuetto. Moderato
Finale. Presto
Organico: flauto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 corni, 2 trombe, timpani, percussioni (triangolo, piatti, grancassa), archi.
Ed. André, Offenbach, 1799
Prima esecuzione 31 marzo 1794, Londra, Hanover Square Rooms, direttore l’autore
Note a cura di Andrea Dicht

Respighi, Gli Uccelli, suite
Il Respighi che mette in musica la semplice e sorridente suite Gli Uccelli è un compositore all’apice della sua carriera, acclamato ormai nel mondo intero e collocato nel più alto gradino in patria. Il linguaggio musicale di Respighi è multiforme, vi si trovano tracce di grande modernità, momenti più neoclassici, afrori  rinascimentali o tardo medievali, e molto spesso il bel barocco europeo. Respighi è oggi noto come compositore ma nella sua concezione di musicista vi è compresa anche l’attività di ricerca, sentita come dovere imprescindibile di tenere in vita le radici creative (in primis italiane) di cui si sente il vertice evolutivo. Al di là di ogni considerazione personalistica, però, è a Respighi che dobbiamo la possibilità, oggi, di suonare molta parte del repertorio di Vivaldi, Marcello ed altri autori italiani dal Quattrocento al primo Settecento. Oggi si rabbrividisce all’idea di impadronirsi con tanta disinvoltura della musica antica e piegarla ai propri intenti creativi, ma nei primi decenni del secolo scorso la percezione dell’antico era ben diversa, e forse non del tutto sbagliata.

Innanzi tutto l’operazione che Respighi attua sulla musica antica è un atto d’amore. Di certo la delicatezza con cui la filologia moderna maneggia l’antico mostra il lato violento di quest’atto, ma negli anni ’30, così permeati dalla ricerca del nuovo, dall’abbandono del lirismo melodrammatico, così informati dal mirabolante moderno, il recupero dell’antico è anche un atto di coraggio che può essere svolto solo da chi è già in grado di prevedere i limiti dell’affanno per il nuovo. In linea con le più famose Antiche arie e Danze per Liuto (tre suites, le prime due del ’23, la terza del ’31), nel 1927 Respighi apre il suo interesse verso il barocco europeo e non più solo italiano. Tuttavia la sua non è una mera strumentazione di brani per clavicembalo: Respighi crea una piccola drammaturgia, fatta di richiami interni tra i brani, di richiami esterni (vedi la sottile parodia di wagneriani “mormorii della foresta” nell’Usignolo), conferendo vita a contenuti musicali che non possono restare confinati alle esigue (nel 1927) occasioni di ascoltare un cembalo o, peggio, restare relegati in polverosi scaffali di biblioteca. La sua non è contemplazione del manoscritto, è piuttosto coscienza che la musica prende vita fintantoché viene suonata, e l’orchestra, ente massimo strumentale, ha questo dovere grazie alla facilità che ha di rendere tutto colorito e autorevole con i suoi diversi timbri.

Oltre a questi fattori, però, esiste l’indiscutibile perizia del Respighi strumentatore, di cui questa suite è una valida testimonianza sia per la ricerca degli impasti sonori che per l’economia dei mezzi che la distanzia dai più famosi suoi poemi sinfonici.

Sin dal Preludio si avverte l’intento drammatico di Respighi. Per questo brano egli si basa su musica di Bernardo Pasquini, nato nella provincia di Pistoia nel 1637 e morto a Roma nel 1710. Oggi Pasquini è un compositore ben inserito storicamente nel suo tempo, ma nel 1927 era pressoché sconosciuto nonostante un’ingente mole di composizione a lui riconducibili (e ancora oggi parzialmente da pubblicare). L’impianto toccatistico-improvvisatorio del brano dà a Respighi la possibilità di creare un Preludio alla suite, inserendo in esso incisi e brevi melodie che informeranno i brani successivi.

La Colomba si basa su un breve brano di Jacques de Gallot, un poco noto liutista francese vissuto nel XVII secolo. La musica consiste in una malinconica melodia proposta  integralmente dall’oboe, successivamente ripresa da altri solisti quali il clarinetto, il flauto ed il primo violino dell’orchestra. Il tubare delle colombe, invece, è evocato dapprima dai tremoli dei violini, poi da doppi mordenti (abbellimenti di origine appunto barocca) che si spostano nelle varie sezioni dell’orchestra, fiati ed archi. Un inaspettato glissando dell’arpa conclude la pagina suggerendo il volo della colomba.

Il terzo brano della suite, invece, è uno dei brani più amati della raccolta e resta facilmente impresso per la vividezza dei colori scelti da Respighi. Esso si basa su l’omonimo brano di Jean Philippe Rameau per cembalo, inserito nella Nouvelle Suite de Pieces de Clavecin, già nota grazie all’interessamento e alla pubblicazione curata da Camille Saint-Saëns alla fine del secolo precedente. La gallina viene immaginata sgraziata più di ogni altro uccello, con versi in fortissimo contrapposti  al sommesso piano dei suoi rumori di gola. Il brano è di un certo virtuosismo orchestrale sia per la velocità di alcuni passaggi che per la necessaria contrapposizione delle dinamiche all’interno di omogenei segmenti musicali. Uno squillo di affatto nobile chiude la pagina.

L’Usignolo è l’occasione per un ulteriore brano di carattere, pacato nella reminiscenza wagneriana del mormorio della foresta affidato agli archi, su un incessante pedale grave di contrabbassi e corno che ricorda a sua volta il suono germinale dell’Oro del Reno. Un ottavino si incarica dei richiami, quasi casuali, dell’usignolo, mentre gli strumentini si rimbalzano una melodia che parte dal flauto, arricchita dalle preziose improvvisate della celesta. Il tema dell’usignolo, ancora anonimo ai tempi di Respighi, è invece contenuto nell’ampia raccolta Der Fluyten Lust-Hof dell’olandese Jakob van Eyck, sotto il titolo di Engels Nachtegaeltje, databile intorno alla metà del Seicento.

Conclude la suite un brano dedicato al Cucù, uccello già oggetto di attenzione musicale sin dal barocco. Ne è infatti la base la Toccata sul verso del cucco del già citato Pasquini, per cembalo, alla quale però Respighi innesta la fanfara di apertura dell’opera per concludere festivamente la suite.

Composizione di duraturo successo, non fosse altro per la singolarità dell’idea creativa, Gli Uccelli vide la prima esecuzione al Teatro Municipale di San Paolo in occasione di un viaggio in Sud America che l’editore di Respighi, Ricordi, volle organizzare presso le filiali locali della sua casa editrice. Fu quella l’occasione per cui Respighi compose le Impressioni brasiliane che videro la luce presso il Teatro di Rio de Janeiro nella stessa settimana della suite, sempre sotto la direzione dell’autore. Di ritorno dal Brasile, sul bastimento, Respighi incontrò il fisico Enrico Fermi, del quale sarebbe diventato amico intimo fino alla morte. Il sodalizio nacque quando Fermi gli chiese di dare una spiegazione fisica al fatto musicale, compito che Respighi non riuscì mai a compiere in maniera scientificamente soddisfacente.

Gli Uccelli, grazie alla ideale drammaturgia che vi è sottesa, divennero poi un balletto su soggetto di Claudio Guastalla, già librettista di molte opere del Maestro. Coreografa ne fu Cia Fornaroli, allora prima ballerina del Teatro alla Scala di Milano, che lo mise in scena presso il Casinò Municipale di Sanremo il 19 febbraio 1933.

Reinecke, Concerto per flauto in re maggiore, op. 283
Essere conservatori nella composizione musicale è ancora oggi un diritto ma è stato spesso una condanna per molti musicisti. Carl Reinecke appartiene a pieno titolo a questa categoria, e la sua biografia ne è un’indelebile testimonianza, paradigmatica della sorte di molti altri compositori tradizionalisti. Se l’anagrafe, e la sua lunga esistenza, ne fanno un fratello minore di Schumann e Mendelssohn (Reinecke nasce l’anno della prima esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven), la sua morte, a ridosso della Sagra della Primavera di Stravinskij e successiva all’abbandono della tonalità da parte di Schoenberg con Erwartung, lo colloca in piena temperie modernista a cavallo di due secoli.

A dispetto della sua sostanziale assenza dalla programmazione concertistica del Novecento e odierna, Reinecke è stato un pianista, direttore d’orchestra, didatta e compositore molto acclamato e rispettato sin da giovane, ed una figura di riferimento anche per nomi dell’Olimpo romantico oggi entrati stabilmente nel canone del concertismo mondiale. Più di trecento composizioni per ogni ambito creativo (opera, musica da camera, sinfonica e vocale), allievi del calibro di Grieg, Janáček, Bruch, Weingartner, Albéniz (e Cosima Liszt, la futura moglie di Wagner), sono la prova di una forte personalità, insieme alla direzione della Gewandhaus di Lipsia (1860-1895) che lo vede primo direttore del Requiem Tedesco di Brahms. Reinecke è stimato da tutti ed il suo Concerto op. 283 è il concerto romantico per flauto per eccellenza, categoria comunque piuttosto scarna visto che il suo precedente è il Concerto di Saverio Mercadante, di quasi novant’anni prima. La critica tiene da sempre in gran conto quest’opera, ed è opinione diffusa che se Schumann o Mendelssohn avessero scritto un Concerto per flauto, esso avrebbe suonato più o meno così. Però è stato composto nel 1908, e qui è il problema. Le spiegazioni possibili da un punto di vista critico sono molte, e vengono subito alla mente compositori come Richard Strauss, che compone senza sosta nel suo stile sino alla morte (1949), o Rachmaninov (†1943) che alla fine degli anni ’30 compone in la minore senza difficoltà alcuna. Eppure la fama di Reinecke e del suo Concerto è legata ad altri fattori, da leggere nel suo solido artigianato piuttosto che in senso musicale-evolutivo. Reinecke conosce davvero a fondo gli strumenti per cui compone. Lo si vede in tutti i suoi Concerti, per arpa (1885), violoncello (1866), violino (1877), e quattro volte per il pianoforte, il suo strumento. L’evoluzione, anche quella dello stile personale, non è di primaria importanza per il compositore conservatore: Reinecke ha piena coscienza del mondo musicale che lo circonda, è ammirato da uno sperimentatore come Liszt ma sa che il dettato dei primi Romantici, radicato nel Classicismo viennese e fatto splendere da Brahms, avrà sempre molto da dire. Questa è la ragione per cui tra le sue prime composizioni ed il tardo Concerto per flauto non vi è una sostanziale differenza di linguaggio. Vi è però la maturità di un musicista che è dentro la musica fin nei suoi meccanismi più nascosti, un compositore che si occupa più delle “anime” degli strumenti che del linguaggio che devono adoperare. Nel 1908, anno di composizione del nostro Concerto, Reinecke è finalmente libero da ogni impegno. Ha lasciato la direzione della Gewandhaus nelle mani dell’esperto Arthur Nikisch, ha diretto il Conservatorio di Lipsia rendendolo un punto di riferimento per l’istruzione musicale di eccellenza in Germania, ora può lasciarsi andare e ritrova la “sua” musica. Il flauto lo affascina, in tutte le sue declinazioni, ma non vede in esso solo le possibilità funamboliche e solforose. Il flauto è strumento diabolico in quanto tutto gli è permesso: recita, combatte, canta, è spensierato ma raggiunge abissi con il suo suono nudo e impalpabile. Tutto questo e molto altro è il Concerto di Reinecke. Tanta scienza, però, non è solo dovuta all’abilità del compositore. Come nel caso di tanti altri brani per strumento solista e orchestra, anche in questo caso vediamo Reinecke lavorare alla partitura avendo al suo fianco un grande solista, Maximilian Schwedler, che nel 1881 aveva vinto il posto di secondo flauto solista alla Gewandhaus. Nominato solista emerito al suo pensionamento, Schwedler è oggi ricordato per aver contribuito alla creazione del flauto moderno, in senso meramente organologico. Durante la seconda metà dell’Ottocento i flautisti si dividevano tra i sostenitori del nuovo flauto cilindrico di Böhm e quelli che preferivano invece il suono del più antico flauto a sezione conica. Schwedler, in collaborazione con il costruttore Wilhelm Kruspe di Erfurt, perfeziona il suo modello anche nella meccanica, lo brevetta e con esso vince la medaglia d’oro all’Esposizione di Lipsia del 1897. Il suono doveva essere così bello che Brahms, più di dieci anni prima, in occasione delle prove per la “prima” della sua Quarta Sinfonia, dopo l’assolo di flauto del quarto movimento si era recato tra i leggii dei fiati per complimentarsi personalmente con Schwedler.

Il movimento di apertura del Concerto, un Allegro molto moderato, è il più sinfonico dei tre. Qui l’interazione tra solista è orchestra è massima. L’incedere è solenne come gli accordi che aprono il concerto, sui quali il flauto innesta una breve recitazione che conduce al 6/8 del movimento. A prima vista siamo in un ritmo di barcarola, ma l’assunto è ben più posato. Il flauto rientra wie träumend (unica indicazione in tedesco della partitura), e l’atmosfera diventa onirica ed il primo tema prende forma, dando adito ad un successivo secondo tema, più cantabile, sul quale il flauto dispiega una cantabilità nella sua regione di suoni più consona. Una sezione in tempo Più Animato riporta il discorso musicale sul virtuosismo e la leggerezza e conduce ad un episodio di sviluppo nel quale i diversi registri espressivi del solista si mischiano con giustapposizioni improvvise ma sempre ben calibrate. Il movimento vede la conclusione dopo un nuovo episodio virtuosistico, un tutti orchestrale definitivo ed il ritorno degli accordi iniziali, sovrastati da un trillo del solista che chiude con un piano leggero e sereno.

Il secondo movimento, Lento e mesto, è invece improntato alla cantabilità del flauto, in tutta la sua tessitura. L’ambientazione ricorda quella dell’aria del melodramma, con interpunzioni dell’orchestra a creare situazioni psicologiche in cui il solista può inanellare la sua linea melodica, piena di volute e fiorita nel senso più romantico del termine. Il recitativo dell’inizio del Concerto si affaccia anche in questa pagina, forse la migliore dell’intero brano, per riportarci alla melodia accompagnata da un ostinato dei bassi e ad una radiosa tonalità di si maggiore su cui il movimento si chiude.

Il Finale si apre invece su atmosfere cupe dei corni, che accennano un grave ritmo di Sarabanda, presto sconfessato dall’entrata del solista, piuttosto gaia e leggera. Come nel primo movimento il discorso musicale è sinfonico e la dinamica dell’orchestra con il solista è massima, ma stavolta il riferimento musicale sembra essere più la serenità di Mendelssohn che le ombre di Brahms. Interesse di Reinecke stavolta sembra essere la possibilità tecnica del flauto nell’alternanza tra ampie melodie legate, rapidi staccati al limite della velocità, e lunghe catene di note legate. La conclusione, senza sezioni di sviluppo, è positiva e libera nel suo entusiasmo, come il suo compositore.

Haydn, Sinfonia n. 100 in sol maggiore “Militare”, Hob. I:100
Dopo trenta preziosi anni al servizio degli Esterházy, anni di successi ma anche di sperimentazione continua sul terreno sinfonico (un’orchestra di virtuosi sempre a disposizione è un lusso veramente esclusivo), Haydn deve abbandonare l’incarico e diventa un compositore free-lance in cerca di ingaggio. E’ diventato ricco e comunque la famiglia Esterházy gli garantisce una pensione che equivale all’integrità del suo munifico incarico, ma è solo, a Vienna, con tanto tempo libero e senza fretta alcuna di comporre, una situazione alla quale non è abituato. Prima che possa entrare in depressione (e nelle lettere ve n’è qualche accenno), un coraggioso violinista impresario lo porta a Londra per metterlo in condizioni di continuare a creare, certo della validità dell’investimento.

La città di Londra è qualcosa di speciale, alla fine del Settecento: piena di vita, con una middle-class emancipata e ben inserita nel solco di un denaro che scorre a fiumi e che garantisce un tenore di vita aristocratico. Siamo lontani dalle turbolenze d’oltremanica, a Londra la percezione della vita è serena perché vi è spazio per il capitale, per l’impresa e voglia di accogliere la cultura, sia come interesse artistico che come distintivo di nobiltà (almeno d’animo). Londra abbraccia Haydn, già noto per i suoi lavori e anche grazie ad un imponente battage pubblicitario che ne preannuncia l’arrivo da mesi prima.  Nella capitale trova un’ottima orchestra (capeggiata dall’impresario che lo ha portato, Salomon, che è anche violinista), una residenza migliore degli appartamenti riservatigli dagli Esterházy, e anche tanto chiasso. Arriva nel giorno di Capodanno 1791 e poco dopo scrive: “Speravo di poter tornare per qualche periodo a Vienna, per avere più tranquillità per lavorare, perché il rumore che fa la gente comune per vendere le proprie cose è intollerabile […] Per avere più quiete dovrò affittare una stanza lontana dal centro”. Al di là di ciò, però, Haydn si adatta bene agli onori che gli vengono tributati anche dai reali, e si trova a suo agio tra i successi che invariabilmente seguono ogni sinfonia nuova che presenta. Per Londra compone dodici sinfonie, intervallate da un rientro in Europa. La Sinfonia n. 100 fu probabilmente iniziata durante l’intervallo tra i due viaggi in Inghilterra, a giudicare dal manoscritto. Infatti il primo movimento è stato scritto su carta di fattura italiana, quella che Haydn usava normalmente a Vienna, il manoscritto del secondo movimento è andato perduto, i restanti movimenti sono invece scritti su carta inglese.

Questa Sinfonia è diventata subito la più popolare tra le dodici londinesi, il pubblico di quella città non si stancava mai di ascoltarla, e questo probabilmente perché Haydn, così come aveva sempre dimostrato di conoscere bene i gusti del suo pubblico, ormai era giunto ad identificarsi completamente con esso. Fu uno dei pochi casi, nella storia della musica, in cui lo iato che normalmente divide compositore e società fu colmato senza traumi da ambo le parti.

Il sottotitolo che accompagna la Sinfonia è legato ad una caratteristica che si incontra nel secondo movimento: Haydn, per la prima volta, introduce in orchestra le “turcherie”, ovvero un set di percussioni (grancassa, piatti e triangolo) volto a conferire un suono inedito ed esotico all’orchestra. Non che ci sia molto di militaresco nella sinfonia, ma il pubblico londinese è raffinato, ed un suggerimento fonico è sufficiente a creare un’ambientazione. Il suono evocato, però non è nuovo, ed ogni londinese poteva ascoltarlo dalla banda di africani del Duca di York, vestiti secondo la loro moda, presso il St. James Park o ai giardini del Vauxhall, davanti al palazzo di Westminster. Commentatori moderni hanno puntualizzato che si tratta della stessa serie di strumenti che fornisce una connotazione esotica al Singspiel Il ratto dal serraglio di Mozart, composto dieci anni prima. Forse non è un caso che la sera del 31 marzo 1794, quando la Sinfonia fu presentata per la prima volta, nel programma musicale figurassero anche i famosi cantanti M.me Mara e Ludwig Fischer, impegnati in arie dal Singspiel mozartiano (e sulla voce di Fischer Mozart aveva creato il personaggio di Osmin). Di certo, comunque, il clima militare era nell’aria e l’inglese medio sapeva delle tensioni politiche con Napoleone, che sarebbero sfociate proprio in quei giorni nella dichiarazione inglese di guerra alla Francia.

La sinfonia è introdotta da un movimento lento, in tempo Adagio, che ha una mera funzione celebrativa e di richiamo dell’attenzione generale sullo svolgimento successivo. Si tratta di due crescendo orchestrali che pongono una nota seriosa a tutto il brano. Di certo il pubblico ha notato la presenza dei percussionisti sul palco, sa già che si assisterà a “turcherie”, e quindi la leggerezza ed una certa ilarità dovrebbero dominare il brano. I crescendo conducono ad un accordo di dominante che apre il sipario sull’Allegro che segue. Esso è inaugurato da una marcetta del solo flauto con i due oboi (è il primo tema), la categoria militaresca è confermata ed amplificata da tutta l’orchestra, che riprende la marcia sfoggiando una strumentazione tipica del miglior Haydn, ormai del tutto a suo agio con l’eccellenza dell’orchestra assemblata da Salomon. Una solida linea su valori lenti nella tessitura centrale (corni, trombe e viole), i secondi violini che accompagnano i primi con nervose crome, i violoncelli con altre crome saltellanti con i contrabbassi che scandiscono il battere di ogni misura all’ottava grave, ecco un esempio di orchestrazione della maturità di Haydn, la creazione di un corpo sonoro di forte impatto ma agile e pronto a condurre al leggero secondo tema dei violini, piuttosto esteso, che dominerà lo sviluppo a scapito della marcetta. Un breve richiamo al sinistro crescendo dell’introduzione porta ad una ripresa di tipo regolare, con una coda particolarmente efficace ed ampia.

Haydn deriva la maggior parte del materiale dell’Allegretto da un suo precedente lavoro, il Concerto per due lire organizzate (una specie di ghironda) e strumenti vari composto nel 1786 per Ferdinando IV, re di Napoli, il cui manoscritto è scomparso nei meandri della reggia di Caserta, residenza estiva del re. Il clima di questa musica è pastorale e pacifico, fino ad un singolare richiamo della tromba, che intona il saluto generale dell’Austria. Su un accordo inaspettato di do minore l’esercito delle percussioni si scatena, creando la scena guerresca evocata dal titolo. L’effetto è sorprendente, ed ancora di più deve esserlo stato per il pubblico di Londra, in particolare per la giustapposizione di tanto suono ad un movimento pastorale. Dallo squillo di tromba in poi H. abbandona il vecchio concerto ristrumentato e si pone in una tradizione di battaglie e tempeste tanto cara agli inglesi del Settecento: basti pensare al successo che arriderà pochi anni dopo al Concerto “Tempesta” del virtuoso pianista Daniel Steibelt, o al più misurato Concerto “Militare” di Dussek, op.40. In ogni caso l’episodio militare dell’Allegretto costituirà la cifra di riferimento della sinfonia, sufficiente a mandare in delirio il pubblico, e bissato ad ogni esecuzione.

Il lento e pomposo Minuetto ha una complicata sezione centrale, nella quale si riaffaccia quella sinistra nota che aveva contrassegnato l’introduzione alla Sinfonia. Questo gesto ancor più singolarmente si ripete nel cullante Trio, caratterizzato da un ritmo puntato tipico francese, una scelta che qualche commentatore ha voluto riferire al comune nemico di Austria ed Inghilterra.

Il finale, in tempo Presto 6/8, testimonia la progressiva espansione dei movimenti conclusivi nelle sinfonie di H. In 334 misure seguiamo lo svolgimento di una complessa architettura, che però non lascia mai cadere la tensione, con effetti teatrali che culminano in un assolo di timpano ancora più esteso che nella sinfonia “Sorpresa”, e nell’intervento finale delle variegate percussioni in un caleidoscopio di suoni che ha collocato in una sola sera una sinfonia nel repertorio che ancora oggi governa ogni stagione di concerti.