Le date
Serie Curiosity
Sollima, The Black Owl, concerto per chitarra e orchestra
Villa Lobos, Concerto per chitarra w 501
De Falla, Concerto per clavicembalo, flauto, oboe, clarinetto, violino e violoncello
De Falla, El amor brujo, suite
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50
Ridotti (Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50
Il Cast
Direttore: Sergio Alapont
Chitarra: Emanuele Segre
Clavicembalo: Richard Barker
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
Giovanni Sollima (1962)
The Black Owl, per chitarra e orchestra d’archi
Durata: circa 20′
Heitor Villa Lobos (1887 – 1959)
Concerto per chitarra e piccola orchestra
Durata: circa 20′
Allegro Preciso / Andantino e andante / Allegretto non troppo
Manuel de Falla (1876 – 1946)
Concerto per clavicembalo, flauto, oboe, clarinetto, violino e violoncello
Durata: circa 12′
Allegro / Lento (giubiloso ed energico) / Vivace (flessibile, scherzando)
Richard Barker, clavicembalo
Angela Citterio, flauto
Francesco Quaranta, oboe
Marco Giani, clarinetto
Fatlinda Thaci, violino
Simone Scotto, violoncello
Manuel de Falla
El amor Brujo, suite
Durata: circa 23′
Introduccion y Escena / En la Cueva (La Noche)
Chez les Gitanes (La Veillée) / El Aparecido – Danza del Terror
El Circulo Mágico (Romance del Pescador) / A Media Noche, Los Sortilegios
Danza Ritual del Fuego / Escena / Pantomima
Final: Las Campanas del Amanecer
A cura di Paolo Castagnone
Sollima – The Black Owl, per chitarra e archi
Prima Edizione: Casa Musicale Sonzogno, 2007.
Villa Lobos – Concerto per chitarra e piccola orchestra
Opus/numero di catalogo: W501 (originale) W502(versione ridotta per chitarra e pianoforte)
Anno di composizione: 1951
Prima esecuzione: W501: Houston: Houston Symphony Orchestra 6 febbraio 1956 – Chitarra Andres Segovia, direttore Heitor Villa-Lobos
Anno della prima pubblicazione: Max Eschig: Paris 1971 (W501)
Dedica: Andres Segovia
De Falla – Concerto per clavicembalo, flauto, oboe, clarinetto, violino e violoncello
Prima Edizione: Max Eschig, Paris, 1928.
Prima esecuzione: Barcellona, Novembre 1926; Direttore Manuel de Falla, clavicembalo Wanda Landowska.
De Falla – El amor Brujo, suite
Anno/data di composizione: 1914-15 (versione originale).
Revisione: 1916-20
Giovanni Sollima, The Black Owl, per chitarra e orchestra
Con “The Black Owl”, un brano composto nel 2010 su richiesta del chitarrista Emanuele Segre, Giovanni Sollima ha affrontato per la prima volta la forma del concerto per chitarra e orchestra, un genere assai raro fino al tardo Romanticismo, ma divenuto spesso un cimento per i compositori del Novecento che hanno saputo affrontare le difficoltà poste dalla ricerca di equilibrio fonico fra uno strumento dalla sonorità tenue e un organico di ampie proporzioni. Del resto, il musicista siciliano è portato a cogliere le sfide che gli provengono dai più svariati ambiti artistici in virtù di un’evidente apertura culturale: egli stesso si dichiara affetto da una “curiosità patologica” fin da ragazzino, quando riempiva la casa di strumenti d’ogni genere e trovava insensate certe beghe consumate tra i compositori di musica classica contemporanea.
Nato a Palermo nel 1962 in una famiglia di musicisti, Sollima è un artista contraddistinto da un notevole eclettismo, che lo ha portato ad approfondire lo studio del violoncello nella sua dimensione classica, ma lo ha anche sollecitato a esplorare vari filoni della musica contemporanea, dal repertorio colto al jazz, passando attraverso l’immenso bagaglio della popular music. A tale proposito è bene citare la sua incursione in altri ambiti espressivi, quali la danza – collaborando, tra gli altri, con Carolyn Carlson – il teatro e il cinema, accanto a registi del calibro di Peter Greenaway, John Turturro e Marco Tullio Giordana. Un momento significativo della sua formazione va ricondotto all’incontro con Philip Glass, uno dei massimi esponenti del Minimalismo, un movimento artistico con cui Sollima ricorda di aver avuto un’inconsapevole affinità già nell’infanzia: «è un linguaggio basato su una cellula che gira su se tessa fino a neutralizzarsi. E, in realtà, io facevo questa musica fin da bambino, attratto dalla sua ritualità». Nella stesura di The Black Owl il compositore afferma di non aver fatto riferimento ad alcun modello particolare, nemmeno alla musica spagnola, che è stata l’ambito della massima valorizzazione del repertorio chitarristico: «Altre mie composizioni sono decisamente “iberiche”, come ad esempio L.B. Files (dove “L.B.” sta per “Luigi Boccherini”), ma in questo pezzo non mi sono consapevolmente ispirato a quel mondo, che pure conosco molto bene. Peraltro – prosegue Sollima – l’elemento etnico è uno degli ingredienti fondamentali nel mio DNA compositivo e quindi non posso escludere che si possa ravvisare qualche contaminazione più o meno inconscia anche in questo lavoro. La mia cifra innata si impernia su un centro a X, un crocevia, e non è un caso che io sia nato e viva in una città ponte tra Oriente e Occidente come Palermo. Spesso raccolgo le mie idee per le strade: frugo, ascolto, raccolgo, “butto” alla rinfusa nel computer e infine seleziono, talvolta “processando” con tecniche simili a quelle dei DJ. Solo alla fine costruisco e assemblo in piccoli affreschi o files che in rari casi “suonano” e diventano pezzi». Il Concerto per chitarra e orchestra d’archi, la cui prima esecuzione è avvenuta presso il Teatro Politeama Greco di Lecce il 6 giugno 2010, ha una struttura tripartita. Il lavoro è aperto da una lunga cadenza del protagonista, in cui la sottile linea melodica viene arricchita da un denso arpeggio nella parte solistica, che emerge dal diafano accompagnamento orchestrale. La successiva sezione introduce un’idea motivica dal sapore vagamente arabeggiante, la cui irruenza mette in evidenza gran parte delle possibilità virtuosistiche dello strumento a sei corde, mentre il terzo e ultimo pannello sviluppa un ampio arco espressivo, dando vita ad un Adagio caratterizzato dal lirismo di una scrittura chitarristica assai idiomatica. Sono ancora le parole di Sollima a guidarci nella comprensione del titolo del brano: «Nel suo complesso si tratta di un unico movimento, nel quale un tema inizialmente nascosto si svela molto lentamente, un po’ come se si intravedesse un uccello notturno muoversi di notte, nel buio di un bosco, e via via la sua silhouette nera apparisse sempre più nitida contro la luce della luna che filtra fra i rami».
Heitor Villa–Lobos, Concerto per chitarra e orchestra
La nascita del Concerto di Heitor Villa–Lobos è indissolubilmente legata all’opera di riscoperta della chitarra dovuta alla tenace e pionieristica azione culturale di Andrés Segovia [1893 – 1987]. Oltre a creare un repertorio concertistico grazie al recupero della musica antica, spesso abilmente trascritta, il musicista spagnolo consigliò ai liutai quelle modifiche costruttive che consentirono allo strumento di conquistare un timbro più corposo e un maggiore volume sonoro. Secondo lo studioso e didatta Ruggero Chiesa «l’autorità di Segovia fuschiacciante, poiché egli non conobbe rivali in condizioni di competere con la bravura. Nessuno prima di lui era riuscito ad affermare la completa credibilità di uno strumento conosciuto per il suo uso in prevalenza popolare e considerato senza storia nell’ambito della musica colta. Gli ultimi fasti risalivano addirittura ai primi decenni dell’Ottocento, mentre in seguito la chitarra aveva abbandonato quasi del tutto le velleità solistiche, accontentandosi di far da sostegno alla voce». Per far rinascere la letteratura chitarristica non bastava però possedere la natura dell’interprete di rango, ma occorreva la dimostrazione che lo strumento a sei corde sapesse affrontare anche il repertorio contemporaneo ed è in quest’ottica che egli si rivolse ad alcuni dei più rappresentativi musicisti del proprio tempo, invitandoli a creare nuove opere. Tra i numerosi artisti ispirati dalla sua figura spicca il compositore Heitor Villa– Lobos, al quale fu richiesta una raccolta di Studi. In verità, il concertista spagnolo inizialmente gli commissionò un unico spartito, ma l’artista brasiliano si presentò nel 1929 a Parigi con ben 12 brani. La valutazione iniziale fu perònegativa, in quanto Segovia prediligeva le qualità melodiche e contrappuntistiche del proprio strumento, mentre l’artista sudamericano aveva lavorato sull’espansione dinamica e timbrica, ottenuta grazie alla contrapposizione fra i suoni acuti e quelli gravi, alla sperimentazione armonica e ritmica e, soprattutto, all’invenzione di nuovi modelli di scrittura ed esecuzione. Significativamente il dedicatario inserì nei propri programmi da concerto soltanto tre numeri della raccolta e la pubblicazione editoriale avvenne, tardivamente, nel 1950. In questa prospettiva non sorprende che altrettanto complessa sia stata la genesi del Concerto, nato nel 1951 sempre su commissione di Segovia. In un primo tempo il maestro brasiliano approntò la partitura di una Fantasia Concertante per chitarra e piccola orchestra, ma ancora una volta l’insigne esecutore non apprezzò il lavoro nella sua integrità, poiché era privo di una assolo del solista. Grazie alla paziente diplomazia di Mindinha, la compagna di Villa–Lobos, il musicista spagnolo venne convinto ad approntare egli stesso una Cadenza da interpolare fra il secondo e il terzo movimento. La prima versione della Fantasia, senza altre modifiche, si trasformò così nel Concerto e in questa forma si tenne la prima esecuzione assoluta il 6 febbraio 1956 con l’Orchestra Sinfonica di Houston sotto la direzione dell’autore. Nuovi attriti, causati dal rifiuto diusare l’amplificazione per la chitarra e dal conseguente sbilanciamento fonico fra l’orchestra e lo strumento protagonista, portarono a una definitiva esclusione dai programmi concertistici segoviani. Ciononostante l’opera è entrata nel repertorio di tutti i più importanti interpreti del secondo Novecento, attratti senza dubbio dal geniale sfruttamento delle moderne possibilità idiomatiche della scrittura chitarristica. Dopo un inizio preludiante e ricco di pathos, il primo movimento si apre in un ampio episodio melodico, che mette in luce il lirismo dello strumento solista e rievoca, senza citarli, canti popolari del nord–est del Brasile. Il successivo Andantino presenta una breve introduzione del flauto e del clarinetto, mentre la chitarra si fa portavoce di una suadente melodia in tempo ternario che riattinge al folklore sudamericano. La coda conduce alla Cadenza, una lunga e virtuosistica pagina in cui viene rielaborato il materiale tematico del concerto; nell’Allegretto non troppo ritorna invece in primo piano il dialogo serrato fra il protagonista e l’orchestra, vivacizzato dalle continue oscillazioni metriche e da una varietà di elementi motivici e di incisi ritmici che si accumulano fino al caleidoscopico ed energico finale. L’innovativa concezione musicale e strumentale manifestata dalla partitura è riconducibile alla biografia di un artista che, nato a Rio de Janeiro da un brasiliano di origine spagnola e da un’indigena, ricevette dal padre soltanto i primi rudimenti musicali. Dopo la prematura morte del genitore egli si mantenne come violoncellista e chitarrista, entrando a far parte dei complessini ambulanti che improvvisavano sui temi alla moda nello stile del “Chôros”, un genere popolare caratterizzato da virtuosismo improvvisativo, insolite modulazioni armoniche e continue sincopi ritmiche. Egli stesso affermò che apprese in quegli anni «una logica compositiva antiaccademica, sviluppando un’idea del contrappunto certamente non riconducibile ad alcuna scuola classica». E la singolare concezione della scrittura strumentale può essere vista proprio come il risultato di un percorso formativo che accosta con grande libertà la tecnica chitarristica appresa dai musicisti di strada agli stilemi tardo romantici, il folklore degli indios al rigore polifonico dell’amatissimo Bach.
Manuel De Falla
Concerto per clavicembalo e cinque strumenti
El amor brujo, suite
All’inizio della Grande guerra Manuel De Falla rientra dalla Francia alla volta di Madrid, dove la ballerina gitana Pastora Imperio lo invita a scrivere qualchenumero musicale per un suo spettacolo di varietà. Il compositore è subito entusiasta all’idea e nel corso di lunghi colloqui con la madre della danzatrice, da cui apprende la trama, comincia a dar corpo a uno dei suoi capolavori: El amor brujo. La storia narrata, fantasiosa e magica, si svolge in un villaggio andaluso: Carmelo è innamorato di Candelas e il loro idillio sarebbe perfetto e lo spettro del precedente fidanzato della bella zingara non turbasse, con lesue improvvise apparizioni, ogni tentativo del nuovo pretendente di esternare
i propri sentimenti. Nasce così l’idea di ricorrere a una astuzia: ben consapevole della predilezione per le donne giovani e graziose che il defunto mostrò in vita, Carmelo prende accordi con l’amica Lucia, la quale – grazie alle armi della seduzione – riesce a distrarre il fantasma, cosicché i due amanti, scambiandosi un bacio, possono porre fine al sortilegio.Nella sua forma primitiva di gitaneria animata da balli, canti ed episodi parlati accompagnati da uno strumentario ridotto, il lavoro debuttò a Madrid nell’aprile del 1915, ma non riscosse un grande successo. Venne però ripropostol’anno successivo nella versione per orchestra sinfonica e da quel momento ebbe inizio il suo cammino trionfale in tutto il mondo, sia come spettacolo tzigano, sia nella forma di Suite concertistica. L’elemento che più colpisce di quest’opera è lo straordinario colore andaluso, ottenuto grazie a una scritturaestremamente raffinata: fin dal primo ascolto la partitura emana un profumo di chitarre, nacchere e tamburelli, insomma di tutto l’apparato strumentale del folklore spagnolo. Tuttavia, l’analisi dell’organico smentisce questa sensazione e in questa prospettiva sono illuminanti le parole di Fedele D’Amico: «Nell’Amor brujo Falla non riproduce letteralmente quasi nulla del mondo musicale gitano, ma ne sintetizza gli elementi su un altro piano, condensandoli. Stilizzazione assoluta, dunque. Eppure buona parte di questa, come di tant’altra musica di Falla, è rifluita nei caffé e nelle cuevas, sulle chitarre dei gitani in carne e ossa, insomma è ridiventata folklore. Questo è il miracolo di Falla, probabilmente unico nel nostro secolo: che la semplicità, la grazia più insospettabile siano l’esito dell’elaborazione più riflessa. Ma probabilmente la chiave del miracolo non tanto è estetica quanto morale: non tanto risiede nel genio del musicista quanto nell’umiltà, nella dedizione innamorata, nell’invitto candore dell’uomo». La particolare tecnica dell’orchestrazione cui la partitura fa ricorso si precisa già a partire dall’Introduzione e Scena, che apre il lavoro con una nitidezzaottenuta grazie ai timbri strumentali chiari e luminosi. L’irruenza inconfondibilmente spagnola dell’inizio contrasta con il primo episodio, intitolato Dai gitani – La notte, una pagina resa misteriosa dal tremolo degli archi e dagli squarci di violente dissonanze; la dolce malinconia della melodia affidata all’oboe cerca a fatica di dissipare le inquietudini e conduce alla Canzone delle pene d’amore, un brano caratterizzato da un’idea motivica ricca di melismi riconducibili al tipico stile andaluso del cante hondo, un linguaggio che si manifesta anche nella libertà ritmica e nell’evocazione, da parte degli archi e del pianoforte, di un accompagnamento chitarristico. I brani che compongono la Suite – 13 nella versione estesa e 5 in quella per piccola orchestra – proseguono poi in un susseguirsi di balli, sortilegi, canti di gioia e lamenti, talmente ricco di suggestioni da scoraggiare una descrizione minuta di ogni sezione; è tuttavia necessariodar conto della pagina più celebre di tutta la partitura, la Danza rituale del fuoco. Il mistero del rito di purificazione con il quale si cercano di scacciaregli spiriti maligni viene ricreato dal lunghissimo trillo di archi e clarinetti, che sembra voler rendere palpabile il guizzare delle fiamme. La melodia principale è annunciata dall’oboe e riapparirà ripetutamente, dilatandosi in un tripudio di ensualità timbrica; a questa idea motivica viene accostato un secondo tema più energico e dal loro inseguirsi in una struttura circolare si genera quella sensazione ipnotica che è la perfetta trasposizione musicale del cerimoniale magico narrato nella vicenda. Il Crescendo finale sfocia in un accordo ripetuto con insistenza ossessiva ben ventun volte, creando un effetto percussivo quasi tribale. Il simbolo del successivo periodo creativo di Manuel De Falla – quello legato all’amicizia con il poeta Federico García Lorca, che ispirerà la composizione dello splendido El retablo de Maese Pedro – è il suono cristallino del clavicembalo. L’antico strumento a tastiera è anche il protagonista di una composizionestrumentale elaborata fra il 1923 e il ‘26, il Concerto per clavicembalo, flauto, oboe, clarinetto, violino e violoncello. In questi anni la tendenza all’isolamento e al misticismo del musicista spagnolo si fa sempre più evidente e si manifesta compiutamente in una partitura che, secondo Massimo Mila, «rappresenta la punta più avanzata raggiunta dalla sua arte nel senso dell’ascetismo e della deliberata rinuncia a ogni lusinga mondana. Il clavicembalo, che già aveva larga parte nella piccola orchestra del Retablo, qui assume rilievo di solista, ma non ha nulla della convenzionale grazia settecentesca, bensì impone una sonorità aspra, in una concezione musicale che, più che al Settecento, mira al Medioevo e alla sua ascesi religiosa». L’occasione per la nascita del lavoro fu una commissione da parte di Wanda Landowska, la musicista che aprì la fase di riscoperta del clavicembalo in epoca moderna e che aveva sollecitato i suoi contemporanei a scrivere nuova musica per il suo strumento. La famosa concertista portò al debutto la partitura, ma a causa di problemi contingenti legati alla mancanza di prove e alla stesura un poco frettolosa delle parti, rifiutò le successive esecuzioni, che in seguito videro invece protagonista l’autore stesso nel ruolo di solista. Del resto una “prima” travagliata era prevedibile per un lavoro assolutamente innovativo e radicale, in cui l’artista spagnolo aveva dichiarato di non sentire «alcun vincolo nel conformarsi alla forma classica del concerto per un unico strumento con l’accompagnamento orchestrale». La partitura, pur nella sua asciutta concisione, si può considerare una riflessione sulla storia della musica spagnola, universalizzata nell’ottica di una visione neoclassica. Il vigoroso movimento di apertura è costruito su frammenti di un brano popolare casigliano citato in un villancico del compositore cinquecentesco Juan Vásquez – “De los álamos, vengo, Madre” – sebbene in primo piano emergano dapprima le spigolosità delle armonie dissonanti e delle giustapposizioni di tonalità contrapposte. Il tempo Lento è invece un’eccellente dimostrazione della capacità di costruire una sonorità sontuosa con un’assoluta economia di mezzi; il risultato è una pagina “giubilante ed energica” in cui l’ascoltatore è trasportato dagli ampi arpeggi del solista nelle sonorità delle grandiose processioni religiose spagnole. È significativo in tal senso che Falla attinga il materiale tematico dal Tantum ergo del sommo compositore rinascimentale Tomás Luis de Victoria e scriva alla fine del movimento la frase “In Festo Corporis Christi”. Il dinamismo dell’Allegro finale è realizzato grazie all’alternanza di metri semplici e composti (3/4 e 6/8), mentre l’ampio impiego di fioriture costituisce l’omaggio più esplicito al virtuosismo strumentale di Domenico Scarlatti. Di una delle prime esecuzioni del lavoro abbiamo la testimonianza di Igor Stravinskij, presente al debutto londinese del Concerto e del Retablo nel giugno del ‘27: «Ebbi la fortuna di assistere a un bellissimo programma dedicato all’opera di Manuel de Falla. Dirigeva lui stesso, con una precisione e con una nitidezza degne di tutti gli elogi, il suo notevole El retablo de Maese Pedro. Ascoltai anche, con vero piacere, il Concerto per clavicembalo, che eseguì personalmente. Per conto mio, queste due opere segnano un progresso incontestabile nello sviluppo del suo grande talento, che si è liberato.