Le date
Concerto in collaborazione con Fondazione Gioventù Musicale d’Italia
Mozart, Sinfonia n. 26 K 184
Strauss, Concerto per violino e orchestra op. 8
Haydn, Sinfonia Hob. I : 95
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50
Ridotti (Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50
Il Cast
Direttore: Roberto Paternostro
Violino: Christina Brabetz
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
Mozart, Sinfonia n. 26 K 184
Strauss, Concerto per violino e orchestra op. 8
Haydn, Sinfonia Hob. I : 95
Il senso del classico
a cura di Sergio Casesi
Stabiliti per sempre da Orazio nella Epistola ai Pisoni, i canoni di ciò che consideriamo classico sono l’elemento fondamentale del nostro metro di giudizio su tutto ciò che riguarda il Bello. Seguendo la traccia degli esametri di Orazio, o anche rifiutandoli completamente, si stabilisce che un rapporto in occidente ci debba necessariamente essere con quel complesso di regole. Tratte dall’esperienza del fare poetico, Orazio chiamò Labor Limae il lavoro di limatura paziente e profondo necessario all’opera poetica, stabilì che Ingegno ed Arte devono agire insieme. Così il rifiuto del particolare ad effetto fine a se stesso, la ricerca dell’Armonia, della coerenza, la chiarezza formale e la semplicità diventeranno un viaggio verso una perfezione ideale che si comprende da subito inarrivabile. Il poeta di questo è consapevole tanto da suggerire di scrivere avendo ben presente i propri limiti. Ma sbaglieremmo se pensassimo a queste indicazioni in maniera solamente formale, anzi possiamo dire che di formale in senso moderno non c’è nulla. L’equilibrio ricercato deve essere la dimostrazione di un profondo convincimento etico. L’equilibrio della composizione deve essere la prova verso se stessi di una conquistata sapienza. In sostanza Orazio pone al centro non l’opera in sé, ma il metodo con cui essa viene composta. Metodo che non può non essere uno stile di vita, un sistema filosofico, un modo di sentire l’umano e il mondo. Orazio nell’Ars Poetica fa un lavoro di sintesi, come vedremo faranno tutti i grandi artisti che cercheranno o sentiranno dentro se stessi l’ideale classico: il mondo ellenico, nell’Epistola ai Pisoni, viene raccolto in fulgidi esametri rivelatori che avranno un peso enorme nella letteratura occidentale, e quindi nell’arte figurativa e infine nella musica.
In musica, dal ’500 ai nostri giorni, seguendo il corso della storia, si sono alternate fasi di avvicinamento e interiorizzazione del senso del classico ad altrettanti necessari rifiuti e reazioni. Palestrina, Monteverdi, Bach, come non pensare a loro come a compositori classici? Certo non si intenderà mai classico come appartenente al repertorio, ma piuttosto come a compositori che hanno rifiutato la banalità e mai si sono prestati a giochi sentimentali. Ma la musica doveva in un certo senso fare il suo corso e raggiungere un’universalità linguistica per potersi dichiarare classica, e questo avverrà solo dopo la morte di Bach e grazie alle sue opere, in special modo grazie alle sue fughe. Quando finalmente tutte le esperienze europee entrarono in contatto fra loro si determinò una sintesi e una semplificazione del linguaggio che permise, per primo ad Haydn, di esprimersi in un modo nuovo comprensibile in tutta Europa. Solo allora la musica ebbe la possibilità di rivolgersi a tutti. Ai teatri di corte e alle chiese si affiancarono teatri privati, società di concerti e schiere di dilettanti. In questo contesto di affermazione borghese la musica fu pronta per decodificare in sé per sempre le indicazioni del classicismo letterario e artistico. Solo in questo periodo quindi la musica strumentale trovò l’emancipazione necessaria dallo stile vocale, divenendo così capace da sola di rendere il discorso musicale molto più articolato e logico. Logico perché finalmente la musica strumentale pura potè dire e ragionare di concetti musicali che vennero argomentati e valutati, criticati e discussi fino al loro esaurimento. Con la nuova grammatica classica nacque quindi la Forma-Sonata. Con Forma-Sonata si intende la forma del primo tempo di ogni composizione, sia essa un Concerto o una Sinfonia piuttosto che un Quartetto. La Forma-Sonata indica il nuovo modo di intendere la musica strumentale e allo stesso tempo ci dice il nuovo sistema di valori che si affermavano nella società. Ascoltando le sinfonie di Haydn e Mozart, con tutte le differenze possibili fra i due, notiamo evolvere quel sistema dialettico che in Beethoven poi troverà il massimo sviluppo. La Forma Sonata è composta da Temi, solitamente due, che sono veri e propri personaggi. Hanno una psicologia propria, uno sguardo definito, chiaro, fatale. Non c’è più il “Motivo”, quella piccola serie di note da cui far scaturire l’intero brano, il Tema è teatrale, riempie lo spazio con la sua presenza, in maniera definita e incontrovertibile. Il tema è egocentrico, non ammette nel suo momento altro che se stesso, soltanto dopo la sua uscita di scena è permesso passare ad altro. I Temi esposti hanno caratteristiche contrastanti, maschile e femminile ad esempio, dolcezza e aggressività, desolazione e gioia, ma ciò che conta, ed è la più profonda delle caratteristiche, non è solo la qualità dei Temi in sé, che nei tre grandi è sempre e comunque straordinaria, ma la relazione che scaturisce da essi. Spesso Beethoven ridurrà all’osso la linea melodica, o asciugherà il materiale davvero con violenza, ma ciò che darà qualità superiore alla composizione sarà la relazione fra i Temi, il nesso possibile piuttosto che la vicinanza e la differenza, o le antitesi evidenti e quelle più nascoste. Con la Forma Sonata si potrà intravedere in musica la rappresentazione precisa di ciò che accade nell’animo umano. La Forma Sonata è essa stessa la forma dell’animo umano. Forma tragica, contraddittoria, finita e infinita, chiara ma volta all’esercizio dell’oscurità, semplice per dire l’impossibile. Con il classicismo la musica trova il modo di calarsi nell’uomo in tutto il suo essere. Nulla è più assoluto, come fino a Bach si sarebbe voluto, ma tutto diventa relativo, corruttibile, tutto è descritto dalla relazione che si compone. Non ci si rivolge più a Dio ma all’uomo. Se Bach si mostra nella relazione con la divinità, i classici si mostrano travolti dalla dimensione umana, a cui anche il divino dovrà riportarsi. Ma il cuore della Forma Sonata non è ancora svelato. Dopo l’esposizione dei temi infatti c’è una parte, destinata nel tempo ad ingrandirsi a dismisura, chiamata Sviluppo. Lo Sviluppo è il luogo del dialogo, della lotta, del conflitto e della sua risoluzione in nuovi conflitti o in armonie concordi. Nello sviluppo il compositore smonta i due temi cercando di far risaltare di volta in volta le qualità che desidera approfondire, i colori da separare, cambiando prospettiva e quindi caricando o svuotando di significato la materia che di volta in volta viene lavorata. Ecco di nuovo il Labor Limae oraziano. I due personaggi tematici, messi in collisione rendendone palesi i contrasti interni, mostreranno i lati più nascosti e profondi, e diranno una cosa fondamentale e cioè che se da un lato la relazione fra i due viene indagata, e da questa indagine vengono tratte delle conclusioni definitive, dall’altro lato si denuncia quanto l’Esposizione da sola dica molto meno di quello che in realtà rimane inespresso. Il Tema dà indicazioni precise rispetto al carattere, al temperamento, allo stato d’animo in cui quel personaggio versa in quel dato momento, ma il non detto resta la parte più consistente, e poetica, della composizione. Il silenzio attorno ad un tema è sterminato, e la ricchezza che vi si nasconde è infinita. E’ per questo motivo che nello Sviluppo non è solo ciò che è chiaro ad essere sviluppato, sarà soprattutto la ricerca di quel segreto inaccessibile che i temi nascondo in sé che condurrà il compositore verso l’esposizione conclusiva. Sarà per questo incessante e affascinante vagare nello sconosciuto che proprio lo Sviluppo diventerà l’aerea di interesse maggiore, sempre più vasta, nel corso del Romanticismo. Se in Mozart e in Haydn, diversamente uno dall’altro, lo Sviluppo è ancora in un certo senso subordinato all’Esposizione, nel corso del loro secolo e poi nell’ottocento esso prenderà sempre più peso e tempo, e basti pensare all’evoluzione avviata dalle ultime sinfonie di Mozart alle composizioni di Beethoven. Proprio nel compositore di Bonn avremo il limite estremo del classicismo, l’ultima isola oraziana. All’arrivo dei romantici la forma classica stabilita dai viennesi verrà rimodulata per sempre, fino ad arrivare alla rottura e poi al suo abbandono. Quindi il classicismo permette un equilibrio fra le nostre diverse anime ma non permette a queste di rompere la forma, cioè di oltrepassare i limiti in cui siamo costretti? Non è così. Il classicismo musicale riesce a dire quanto più possibile delle luci e delle ombre dell’animo umano con elementi che nel contrasto anche torrido restano in armonia. Sarà nella storia che verrà dopo Beethoven che le forme stesse del classicismo prenderanno altri significati. Si uscirà dal pensiero classico quando, usando quelle stesse forme, si pretenderanno altri scopi. Si metteranno in campo altri valori e altre suggestioni. Anche se è molto complicato dire dove termina l’anima classica del romanticismo in una composizione musicale, in autori alle porte della modernità, Sibelius, Mahler o Bruckner, perfino l’idea stessa di Sinfonia sarà investita di nuova luce, espressione di una estetica lontanissima dagli ideali classici. Fu proprio in questo periodo che un grande genio della musica fece la sua comparsa, deciso a rimescolare le carte. Richard Strauss visse l’intera vita compositiva nell’idea fulgida del classicismo. Il padre, grande cornista, lo obbligò allo studio dei classici e solo quelli fino all’età di sedici anni. Richard fu compositore dall’età di sei anni e chissà se fu questo il motivo della particolare ispirazione che ebbe il compositore. Ma Strauss, anche in vecchiaia in pieno novecento, non fu mai neoclassico, non fece mai il verso esteriore al mondo classico. Oggi che Strauss è un.. classico, cioè è nel repertorio di tutte le orchestre del mondo, davvero ammiriamo la sua scrittura apollinea tendente alla perfezione e ad una bellezza nitida e tersa. Strauss è stato e sarà sempre un autore mozartiano. Dai primi brani alle ultime eterne ed infinite composizioni, Strauss sarà fedele ad un ideale di bellezza equilibrata, serena anche nelle situazioni più dolorose. Ancora una volta il Classicismo, attraverso Strauss in questo caso, compirà una sintesi estrema e definitiva. Richard Strauss, il solo nella sua epoca, e sarà questa la sua cifra inconfondibile, legherà un sentimento moderno del concepire la musica con una forma perfetta, sempre aderente ai contenuti che si vogliono esprimere, mai fuori da un ordine armonico intonato al sogno di un’elevazione spirituale capace essa sola di consolare l’anima. L’umanesimo moderno di Strauss resterà un unicum, come unici del resto nel secolo appena trascorso sono stati tutti i più grandi, che siano stati Anticlassici o Neo classici, o liberi poeti musicali. Un certo tipo di ispirazione classica la ritroveremo anni dopo, nei lavori di Boulez e di Stockhausen, e sarà ancora una volta un grande lavoro di sintesi. Il classicismo quindi ci appare come la sintesi più alta possibile, di stili, linguaggi, temi. Il classicismo al suo interno è dialettico, accoglie la diversità elaborandola, ed è sempre in movimento, il sentimento classico non è statico e monumentale come a volte lo si vuole intendere, anzi, è l’esatto opposto. E’ il vortice del pensiero che riflette ed elabora, che ricerca e ragiona, per poi darsi in una forma in accordo con gli uomini e con il mondo, in una visione totale del cosmo.
Wolfang Amadeus Mozart Sinfonia n. 26 K 184
Scritta nel 1773 a Salisburgo al ritorno dell’ultimo viaggio in Italia, alcuni la pongono scritta a Milano nelle ultime settimane del soggiorno. Nello stile che la pervade si possono ascoltare gli echi di quell’ultimo viaggio. Questa celebre sinfonia affascina ancora non solo per la grande facilità con cui sembra nascere e svilupparsi, ma anche per i repentini cambi di rotta, gli squarci oscuri che all’improvviso abbuiano la forza appassionata dell’ispirazione generale, i contrasti giustapposti con naturalezza ma svelanti un dramma forte e intenso. Come un’Ouverture italiana in tre movimenti legati uno all’altro, sembra preludiare ad un’azione teatrale, sembra aspettare il sipario e il gioco dei cantanti sulla scena. L’Andante di quest’opera è uno dei capolavori del giovane Mozart, intenso e delicato, profondo e intimo, come una confessione tenera e innamorata.
Richard Strauss Concerto per Violino e orchestra op.8
Richard Strauss si è sempre definito un compositore per il teatro musicale, anche in presenza di composizioni orchestrali meravigliose come i poemi sinfonici quali Don Giovanni o Don Chisciotte. E anche se non amava la forma del Concerto ha lasciato esempi memorabili come i due Concerti per Corno. Il Concerto per Violino è un’opera giovanile, scritta attorno ai diciassette anni, e ascoltando uno Strauss ancora ragazzo possiamo davvero immaginare lo stupore di chi all’epoca già lo vedeva sul podio a dirigere le proprie composizioni. Il Concerto per Violino è opera di talento, forse immeritatamente rara, anche se non può reggere il confronto con i capolavori maturi del compositore o altri monumenti per Violino e Orchestra. Melodico, lirico, appassionato, virtuosistico, il violino svetta su uno sfondo orchestrale ora drammatico ora lieve e seducente. L’Op. 8 di Strauss non sembra l’opera di uno studente di filosofia dell’Università di Monaco, vi sono dentro, specie nel terzo movimento, molti spunti che il Maestro svilupperà nel corso della sua vita. Si intravede in questa composizione il virtuosismo compositivo a cui Strauss era destinato.
Franz Joseph Haydn Sinfonia Hob. I : 95
La Sinfonia 95, come la 96, fu scritta nel 1791 per il pubblico di Londra. L’Inghilterra era un luogo speciale all’epoca per la presenza di dilettanti ricchi pronti a sborsare denari per nuove composizioni, nonché per la vivacità di editori e impresari capaci di organizzare nuove esecuzioni e di radunare un grande pubblico. Haydn, anche se non più giovane, non si lasciò sfuggire l’occasione. Alla morte del principe Nikolaus I Esterhàzy, il figlio Anton, per motivi economici e per scarso interesse culturale, decise di non rinnovare i contratti al compositore e ai musicisti dell’orchestra. Anche se stabilì per Haydn una pensione – e a quei tempi, come ai nostri ormai – la pensione non era affatto scontata, una piazza come Londra faceva comodo. Questa “terza” londinese appare subito diversa dalle altre poiché non si apre con il consueto Adagio introduttivo ma direttamente con un Allegro dirompente. Il contrappunto e la capacità di sviluppare il materiale musicale non oscureranno mai però la facilità di questa composizione. Non sappiamo se fu una specifica richiesta di Solomon, l’impresario londinese, ma il capolavoro è appunto nell’equilibro fra densità della musica, qualità delle idee e semplicità comunicativa dell’opera. Se nell’Andante Cantabile che segue al primo tempo si intravede un’atmosfera quasi romantica, con i due ultimi movimenti, Minuetto e Rondò Finale, la composizione ritroverà la limpida e serena espressione, travolgente per linearità, impetuosa per intelligenza e ironia.