69ª Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 20 febbraio 2014
Ore: 10:00*
giovedì 20 febbraio 2014
Ore: 21:00
sabato 22 febbraio 2014
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Serie Red Planet 

Mozart Danze tedesche
Mozart Sinfonia concertante per fiati
Stravinskij Apollon Musagète

Biglietteria

BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50

Ridotti
(Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50

Il Cast

Direttore Andriy Yurkevich
Oboe Francesco Quaranta
Clarinetto Marco Giani
Fagotto Lorenzo Lumachi
Corno Alfredo Arcobelli

Concerto in collaborazione con Gioventù Musicale d’Italia

Note di sala

Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791)
Danze tedesche, K 602 (1791)
7 minuti
Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per fiati e orchestra, K 297b (1778?)
29 minuti
I.     Allegro
II.   Adagio
III. Andantino con variazioni

Igor’ Fëdorovič Stravinskij (1882 – 1971)
Apollon Musagète (1928)
30 minuti
Premier tableau:   Naissance d’Apollon
Second tableau:   Variation d’Apollon (Apollon et les Muses)

Pas d’action (Apollon et les trois muses: Calliope, Polymnie et Terpsichore)

Variation de Calliope (l’Alexandrin)

Variation de Polymnie

Variation de Terpsichore

Variation d’Apollon

Pas de deux (Apollon et Terpsichore)

Coda (Apollon et les Muses)

Apothéose

 A CURA DI LIVIO GIULIANO

 Le quattro Danze tedesche K 602 costituiscono una delle tante composizioni che Mozart dedicò all’intrattenimento di corte: sono i valzer in quattro sezioni col da capo e inframmezzate da un trio (solitamente più sommesso rispetto al resto del pezzo) che venivano ballati dai meno abbienti, vestiti in maschera, durante la domenica di carnevale nella Redoutensaal di Hofburg. Proprio alla massa più indigente, Mozart ammicca nella terza danza, dove il trio è dominato dall’organetto, strumento tipicamente popolare. Rimanga nella memoria dell’ascoltare questo tempo ternario, al quale si ritornerà nella seconda parte del concerto.

Nel periodo tra le due guerre, quando i capolavori “neoclassici” di Stravinskij – Apollon musagète compreso – venivano danzati dai Ballets Russes di Sergej Diaghilev, quando le arditezze musicali, di Schönberg in primis, avevano oltrepassato la tonalità, lo sviluppo della nuova zelante disciplina della musicologia (musica + filologia) aveva già messo ordine tra le carte musicali del passato, costruito repertori e tentato interpretazioni che avrebbero riscritto una volta per tutte la storia della musica. Al sorgere del nuovo secolo, da un lato, il linguaggio musicale era stato spinto verso strade non battute, dall’altro, si scavava nel profondo delle testimonianze antiche per recuperarne le radici; stessa direzione, verso opposto. Il gusto della riscoperta ha caratterizzato la produzione musicale della prima metà del Novecento, nonché le programmazioni concertistiche, ora innervate di repertorio antico (e inedito).

Paradossalmente, la Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per fiati e orchestra K 297b appartiene più all’epoca di Stravinskij che alla mente di Mozart. Compare tra le carte di Otto Jahn, biografo del compositore salisburghese, dopo la sua morte, nel 1867. Nella lettera a suo padre del 5 aprile 1778, Mozart parla di una sinfonie concertante che non fu mai eseguita e che fu persa. La sinfonia ritrovata sarebbe stata proprio quella, se solo non avesse avuto un clarinetto al posto del flauto, moltissime indicazioni performative fuori stile e se solo avesse riportato la firma di Mozart.

Durante tutto il tardo romanticismo, la Sinfonia concertante è ignorata per il suo taglio fuori moda rispetto alle linee che la musica tedesca aveva tracciato con Wagner, Bruckner e Mahler. Guarda caso, è negli anni Venti, quelli di cui si parlava poco sopra – quelli del trionfo della filologia musicale, del neoclassicimo del Pulcinella e dell’Apollon stravinskiani e dell’Antigone di Honegger – che il pezzo viene rivalutato ad opera di Hermann Abert, autore della più imponente biografia del salisburghese. Nel 1928, Friedrich Blume agisce sul pezzo eliminando le componenti estranee allo stile mozartiano – un po’ come tagliare da un’opera di Leonardo le porzioni della tela attribuibili a un suo allievo – e nel 1937 Alfred Einstein lo insisce nel catalogo Kochel con la sigla K 297b: è la definitiva consacrazione del pezzo. Sono poi gli anni Settanta, quelli dei decostruzionisti e degli scettici post-moderni che, considerando il carattere spurio dell’opera, la condannano ai margini della produzione mozartiana: la Neue Mozart Ausgabe inserisce la Sinfonia concertante nell’appendice, alla voce “Opere di dubbia autenticità”.

Sospinto da un ritmo puntato, l’introduzione dell’Allegro, a mo’ di concerto grosso, anticipa i temi della sinfonia. Oboe, clarinetto, corno e fagotto, solisti del pezzo, s’impadroniscono di questi motivi, se ne allontanano e ad essi ritornano, costruendo una forma-sonata con cadenza finale. All’impianto classico del movimento corrisponde una dinamica interna tra le parti che segmentano, completano e si scambiano i nuclei tematici: i toni vivaci e la fluida costruzione armonica accreditavano la paternità mozartiana agli occhi dei classicisti del XX secolo. All’Adagio, pacato e malinconico, segue un Andantino in cui, esposto il tema da tutti i fiati, esso viene sottoposto a dieci variazioni nelle quali ciascuno dei quattro virtuosi è chiamato ad eseguire ricercati effetti solistici.

È troppo facile associare alla svolta neoclassica degli anni Venti di Stravinskij il trionfo dell’apollineo sullo spirito dionisiaco. Che Nietzsche alle volte abbia avuto potenzialità profetiche, nessuno lo mette in dubbio, tuttavia, bisogna leggere con più attenzione La nascita della tragedia per capire che non è così ovvio distinguere nettamente il dionisiaco – impulso di vita e volontà di potenza – dall’apollineo – ratio umana, equilibrio e ordine. La complessità dei due concetti risiede nel costante alimentarsi dell’uno tramite l’altro, secondo quella logica dialettica per la quale non esiste salute senza malattia, bianco senza nero: non c’è Apollo senza Dioniso significa che Apollo ha in sé Dioniso e, nella contrapposizione delle parti, l’una non esclude l’altra. Affermare che ogni manifestazione artistica non sia tutt’altra cosa rispetto a quanto la precede sembra ovvio. Eppure, è tipico delle sintesi storiche dividere il corso degli eventi in fasi distinte. Se poi su queste fasi vestono così bene i nomi delle categorie nietzschiane, il discorso assume le parvenze di nobiltà ed erudizione che bastano a giustificarlo. Si assumono toni addirittura ilari quando si riscontrano fasi nettamente contrastanti in un unico autore e si afferma che, ad esempio, Stravinskij apollineo trionfa sullo Stravinskij dionisiaco, accusando inevitabilmente il maestro russo di una schizofrenica bipolarità senza la quale non sarebbe avvenuta la sua metamorfosi artistica. Accanto a ciascuna tendenza che arride al successo, parallelamente sopravvivono le altre, che soffrono, si rigenerano e si trasformano. Le idee saltano come zampilli incandescenti da un magma eterogeneo in costante movimento, piuttosto che nascere e contrapporsi nettamente rispetto alle precedenti.

A dimostrazione della labilità dei confini storiografici, qualcuno ha affermato che la dissoluzione della tonalità di Schönberg espressionista sia più vicina al nascente neoclassicismo, piuttosto che al trascorso tardoromanticismo, per l’uso di elementi formali propri della musica pretonale. E ancora, la neoclassica Sinfonia dei Salmi (1930) di Stravinskij è stata definita «espressiva nella misura in cui reprime l’espressionismo». Abbattuti i rigidi perimetri storici, si riscontra nell’impiego del modello classico, di cui si avvale il compositore russo dai tempi del Pulcinella (1920), un gesto tanto provocatorio e potente quanto la scrittura della stessa Sagra della primavera. Il classicismo è neo- perché riformato: il passato viene rinvigorito dall’interpretazione che se ne dà e che, pur ripristinando il vecchio, aggiunge del nuovo tanto quanto aveva fatto la scuola di Schönberg. È in questo modo che Stravinskij lavora con la musica di Pergolesi (o di chi per lui) in Pulcinella, ma il gesto è equivalente e altrettanto rivoluzionario nell’Apollon musagète, eseguito per la prima volta nel 1928, contemporaneamente alla pubblicazione della Sinfonia concertante di Mozart.

Sin dall’episodio che apre Apollon, emerge la contraddizione dei due spiriti nietzschiani: se un motivo cantabile e sereno ai violini annuncia il sorgere del sole, la nascita del dio, gli altri archi suonano un ritmo funereo che, pur inasprendo il moto ascensionale, lo corrobora.

Il solo del violino che inaugura il second tableau è, stando alle parole del compositore, «il primo saggio in versi del dio Apollo», seguito da un abuso di ritmo puntato, tipico dei seicenteschi ballets de cour di Lully, che fungono da modello classico per questo lavoro di Stravinskij. Il riferimento alle antiche danze francesi è esplicito nel soggetto di quest’opera: Apollo, uno dei più frequenti personaggi del balletto barocco, era allegoria del Roi soleil, Luigi XIV, il quale, accompagnato dalle dame della corte – idealmente le sue muse – interpretava il dio splendente nei ballets lulliani.

Nel second tableau, Apollo istruisce le tre muse alle rispettive arti: Calliope alla poesia, Polimnia alla pantomima e Tersicore alla danza e alla musica. Conducendo per mano la sua prediletta, la dea della lira, Tersicore, Apollo guida le tre figlie di Zeus sul monte Parnaso.

Dalla monocromia degli archi, ai quali è ridotta la strumentazione, non deriva una monotonia timbrica: il trattamento è variegato al punto tale da raggiungere l’apoteosi del vitalismo nonostante la limitata risorsa strumentale. Stravinskij, in Cronache della mia vita, dichiara di voler astrarsi, tramite la virata neoclassica, «da ogni attrattiva policroma e da ogni sovrabbondanza» al fine di costruire una forma pura, chiara nelle funzionalità armoniche rigenerate, priva dei contenuti extramusicali dei quali il tardo romanticismo riempì le proprie opere. In questo modo, vuole trasformare un limite oggettivo – organico di soli archi e brevità del lavoro erano clausole della commissione del pezzo – nell’adesione a un’ideale riformato di opera pura, luminosa come il suo Apollo, che altro non è fatto che di musica. Il pezzo intende essere il trionfo della melodia, delle funzioni armoniche limpide e del ritmo chiaramente afferrabile: così inizia e così pare voler concludersi, quando, nell’ultimo numero, l’ascesa di Apollo al Parnaso è evocata dal tema iniziale che illude della ciclicità e che farebbe dell’opera un’allegoria della perfezione. Eppure, quel cerchio non vuole chiudersi e le ultimissime battute viaggiano su un’armonia sospesa: profetizzato da quel ritmo funereo della nascita di Apollo nel première tableau, emerge incontrastabile il senso del tragico, il dionisiaco che è nell’essenza del dio solare e nella trama delle opere di tutti gli Stravinskij.

 Bibliografia
Storia della danza dalle origini ai nostri giorni, a cura di Gino Tani, Firenze: Olschki, 1983;
Hermann Abert, Mozart, Milano: Il Saggiatore, 1984;
Solomon Maynard, Mozart, Milano: Mondadori, 2006;
Roman Vlad, Strawinsky, Torino: Einaudi, 1958;
Gianfranco Vinay, Stravinsky neoclassico: l’invenzione della memoria nel ‘900 musicale, Venezia: Marsilio, 1987. 

Discografia
Danze tedesche, K 602:
1961, Orchestre de Chambre Jean-François Paillard, dir. Jean-François Paillard, Erato;
1990, Cappella Istropolitana, dir. Johannes Wildner, Naxos.
Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per fiati e orchestra, K 297b:
1969, English Chamber Orchestra, dir. Daniel Barenboim, His Master’s Voice;
1988, Wiener Philharmoniker, dir. Karl Böhm, Deutsche Grammophon;
1993, Philarmonia Orchestra, dir. Giuseppe Sinopoli, Deutsche Grammophon.

 Apollon Musagète:
1957, Orchestra sinfonia RAI di Roma, dir. Igor Stravinsky, Urania;
1968, Academy of Saint Martin-in-the-Fields, dir. Neville Marriner, Argo;
1972, Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan, Deutsche Grammophon;
1997, Royal Concertgebouw Orchestra, dir. Riccardo Chailly, Decca.