Le date
Serie Red Planet
Mendelssohn Calma di mare e viaggio felice, ouverture
Mendelssohn Concerto per violino e orchestra op.64
Beethoven Sinfonia n. 8
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50
Ridotti (Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50
Il Cast
Direttore e violino Massimo Quarta
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
FELIX MENDELSSOHN
Calma di mare e viaggio felice, ouverture, op. 27 (1828)
Durata: 12 minuti
FELIX MENDELSSOHN
Concerto per violino e orchestra, op. 64 (1844)
I Allegro molto appassionato
II Andante
III Allegro non troppo
Durata: 28 minuti
LUDWIG VAN BEETHOVEN
Sinfonia n. 8, in Fa maggiore, op. 93 (1814)
I Allegro vivace e con brio
II Allegretto scherzando
III Tempo di menuetto
IV Allegro vivace
Durata: 27 minuti
A CURA DI LIVIO GIULIANO
Felix Mendelssohn – Calma di mare e viaggio felice, ouverture, op. 27
Non sappiamo quanto un ragazzino di dodici anni possa avere la percezione della statura di un uomo come Goethe, ma siamo coscienti del fatto che Mendelssohn a quell’età aveva già dato prova di una maturità artistica non da poco. Probabilmente vittima di quel “mozartismo” per il quale nell’Ottocento si diffuse la frenesia di dar prova di genialità precoce, è innegabile che, per scrivere a quindici anni una sinfonia completa, a dodici Mendelssohn avesse già manifestato un talento sorprendente. Goethe apprezzò le sue doti quando il maestro compositore Carl Friedrich Zelter condusse il giovane dal già anziano poeta per una visita che sarebbe stata solo la prima di una serie: nel corso della propria (breve) vita, il compositore tedesco non mancò, durante i suoi viaggi, di tornare a far visita all’illustre letterato.
Accanto alla figura di Goethe bisogna annoverare, tra i modelli di Mendelssohn, Beethoven, che seppur non assunse mai ruolo attivo nella sua vita, lasciò tracce evidenti nella produzione del maestro di Lipsia. L’ouverture Calma di mare e viaggio felice, scritta nel 1828 e eseguita nel 1832, fornisce una versione musicale di un testo poetico di Goethe, già sfruttato da Beethoven per una cantata che Mendelssohn sicuramente conosceva. Il testo è così tradotto:
Ve’ che calma è sopra l’onda!
Senza moto dorme il mar;
e quel pian che lo circonda
mira e geme il marinar;
d’ogni parte l’aura tace,
spaventoso è quel tacer!
D’ogni parte l’acqua giace,
dove l’occhio può veder.
La nebbia si scioglie,
il ciel si rischiara
ed Eolo toglie
scuotendosi il fren.
Già stridono i venti
già stanno i nocchieri
Attenti! Attenti! –
Si fendono l’onde;
No, – non è lontano –
già vedo il terren!
In sintesi: l’immobilità cui giacciono le acque del mare non rasserena il viaggiatore, che teme, a ragione, l’approssimarsi della tempesta; così, tra i flutti della burrasca che il marinaio deve affrontare, scorgere la costa in lontananza ripristina la speranza di vivere.
L’apparente calma della prima strofa è resa da Mendelssohn da un lungo Adagio, la cui stabilità è del tutto illusoria: l’orecchio, infatti, stenta a trovare una direzionalità tonale, privo di riferimenti armonici che gli consentono di orientarsi nell’ascolto (un procedimento che troverà successivamente il proprio maggiore rappresentante in Wagner). Un flauto annuncia l’incedere della tempesta, resa nel Molto allegro e vivace in una flessibile forma-sonata: i temi incalzanti e le frequenti sincopi lasciano trapelare il senso di un imminente trionfo. Lo squillo degli ottoni annuncia, infine, l’esultante approdo. Eppure Goethe non sembra troppo convinto nel suggerire una decisiva vittoria sulla calamità naturale: la riva, nei suoi versi, è avvistata ma non raggiunta. Il tono maestoso e il lieto fine appartengono, più che al tragico delle strofe del poeta, al romanticismo titanico di cui Mendelssohn si fa portavoce, recuperando il suo modello più immediato, Beethoven, il quale era solito concedere il lieto fine ai suoi grandi brani dell’epoca eroica. Appartengono all’omonima cantata beethoveniana del 1822 non solo il colore generale dell’ouverture di Mendelssohn, ma anche alcuni espedienti compositivi, quali il lungo accordo iniziale e le rapide figurazioni di passaggio tra i due movimenti.
Discografia
1988, London Symphony Orchestra, dir. Claudio Abbado, Deutsche Grammophon;
1991, London Symphony Orchestra, dir. Gabriel Chmura, Deutsche Grammophon.
Felix Mendelssohn – Concerto per violino e orchestra, op. 64
Non si può prescindere dal riferimento al maestro di Bonn nemmeno nel caso del Concerto per violino in mi minore op. 64. Il capolavoro di Mendelssohn, terminato nel 1845 – ultima opera del maestro per un organico così ampio – arriva quarant’anni dopo l’antecedente beethoveniano. Il parallelo può essere effettuato per contrasto: se Mendelssohn predilige un andamento concitato e una partecipazione emotiva esasperata, il concerto di Beethoven si adegua meglio alle atmosfere pastorali proprie della Quarta sinfonia. La differenza sorge immediata nel trattamento del tema iniziale: Beethoven ritarda l’ingresso del solista per un tempo abbastanza lungo da accrescere l’attesa nel pubblico; Mendelssohn, di contro, è più impaziente e il suo solista emerge senza alcun indugio annunciando tempestivamente il primo indimenticabile tema del concerto. Da qui in avanti, l’op. 64 non concede alcun momento di stasi.
Composizione tarda, testimone della completa maturità del maestro, il concerto potette giungere a compimento grazie alla collaborazione di Ferdinand David, primo violino dell’Orchestra Gewandhaus di Lipsia, di cui Mendelssohn divenne direttore nel 1835. Godendo oramai del completo rispetto della società, dopo i contrasti che dovette affrontare a causa della propria appartenenza a una famiglia ebrea, Mendelssohn espresse pienamente la sua posizione tramite un adeguamento a uno stile romantico, che con lui e gli altri maestri della prima metà dell’Ottocento giunge al proprio definitivo sviluppo.
Il primo movimento, Allegro molto appassionato, obbedisce al classico modello di forma-sonata, pur presentando alcune eccezioni: la prima, già citata, è l’ingresso immediato del solista col suo primo motivo che si staglia su tutta l’orchestra – sempre relegata a una funzione di accompagnatrice; il secondo tema è annunciato, invece, dai fiati e recuperato dal violino. Lo sviluppo, nel quale ricompaiono costantemente elementi del primo motivo, si chiude in modo inedito: una cadenza del solista che conduce alla trionfante ripresa.
Si giunge al liederistico Andante grazie a quella lunga nota tenuta del fagotto che garantisce la continuità tra i due movimenti. A consentire un analogo legame tra questo movimento e il successivo Allegretto non troppo è una variazione sul tema dell’Allegro iniziale. Notissimo è poi il motivo principale di questo terzo movimento in forma di rondò-sonata: sarà recuperato da Woody Allen, insieme ad altri capolavori di Mendelssohn, in Una commedia sexy in una notte di mezza estate.
Discografia
1958, Isaac Stern, Philadelphia Orchestra, dir. Eugene Ormandy, Sony;
1959, Jascha Heifetz, Chamber Orchestra, dir. Charles Munch, RCA;
1980, Shlomo Mintz, Chicago Symphony Orchestra, dir. Claudio Abbado, Deutsche Grammophon.
Ludwig van Beethoven – Sinfonia n. 8, in Fa maggiore, op. 93
Il 1812 è l’anno di composizione dell’Ottava sinfonia di Beethoven, nonché dell’incontro tra il maestro e – rieccolo! – Goethe. Tra i due, nonostante la stima reciproca, non nascerà una buona amicizia, come avvenne con Mendelssohn: Beethoven dimostrò di non apprezzare alcuni atteggiamenti del poeta, tra i quali un eccesso di riverenza nei confronti dell’aristocrazia. Questo sprezzo di Beethoven verso l’autorità – senza la quale, tuttavia, non avrebbe trovato mezzi di sostentamento – è indice di una personalità che ostentava indipendenza, originalità e anticonformismo, obiettivi della sua esistenza che emergono nella sua produzione artistica. In quegli anni, Beethoven aveva oramai composto i suoi più importanti capolavori e aveva confermato il proprio inconfondibile stile (due esempi su tutti le sinfonie Terza e Quinta). Ignorare o disprezzare quelle opere che apparentemente divergono dal filone principale della sua produzione, come l’Ottava, significa edulcorare il significato del termine “eroico”, con il quale è definito lo stile del maestro. Questa categoria piace alla critica per il suo sapore romantico e smentirla sarebbe più un atto provocatorio che un’inedita interpretazione: se il senso del tragico e l’epico trionfo appartengono all’eroe, nondimeno bisogna considerare la versatilità come qualità essenziale e strumento di successo. Non sfugga al lettore l’epiteto omerico dell’eroe per eccellenza: Odisseo «dal multiforme ingegno».
L’Ottava fu composta contemporaneamente alla Settima e furono eseguite insieme in un concerto del 1814 che comprendeva anche la Vittoria di Wellington, op. 91. Di fronte a tante esplosioni di titanismo beethoveniano, l’Ottava, con il suo colore un poco “retrò”, fu presto dimenticata: innegabilmente non si adeguava allo stile dominante, ma nella sua contraddittorietà rivelava il proprio carattere “umoristico”, come spesso si è detto a proposito di questa sinfonia, e il sorriso beffardo del genio che smentisce le aspettative, dando prova del proprio eclettismo.
Il primo movimento, Allegro vivace e con brio, è una palese esibizione d’arguzia: nessuna introduzione in Adagio precede la subitanea esposizione del tema principale, uno sfavillante motivo che fa l’occhiolino a Haydn e che si incastra tra gli sforzando dell’orchestra in un sarcastico meccanismo di ripetizione. E ancora la sorpresa vive nel secondo movimento, che non è un maestoso o mesto Adagio ma un Allegretto scherzando, in antitesi alla solennità del secondo movimento della sorella Settima: la leggenda vuole che questo Allegretto scherzando nacque come canzonatorio omaggio al metronomo, invenzione dell’amico Johann Nepomuk Mälzel. Il terzo movimento non è uno Scherzo ma un antiquato Minuetto. La sinfonia si chiude, infine, su un Allegro vivace, un pasticcio formale, una forma-sonata con una coda tanto lunga da essere disegnata in forma-sonata essa stessa. Il caustico tema è recuperato ben sette volte e, nel delirio generale, insorge beffardamente un quanto mai dissonante do diesis, che tanto infastidì i puristi dell’armonia.
Discografia
1948, Bavarian Radio Symphony Orchestra, dir. Wilhelm Furtwängler, EMI;
1959, Columbia Symphony Orchestra, dir. Bruno Walter, Philips;
1977, Berliner Philarmoniker, dir. Herbert von Karajan, Deutsche Grammophon;
2011, Leipzig Gewandhaus Orchestra, dir. Riccardo Chailly, Decca.