Le date
Serie Curiosity
S. Zyman Fantasia Mexicana per due flauti e orchestra
Mozart Concerto per violino e orchestra k 207
Cherubini Sinfonia
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50
Ridotti (Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50
Il Cast
Direttore Hector Guzman
Violino Solenne Paidassi
Orchestra I Pomeriggi Musicali
In collaborazione con Gioventù Musicale d’Italia
Note di sala
SAMUEL ZYMAN (1956)
Fantasia mexicana per due flauti e orchestra
WOLFGANG AMADEUS MOZART (1756-1791)
Concerto per violino e orchestra n.1, K 207
– Allegro moderato
– Adagio
– Presto
LUIGI CHERUBINI (1760-1842)
Sinfonia
– Adagio
– Allegro
– Larghetto
– Allegro vivace
A CURA DI BENEDETTA AMELIO
Zyman – Fantasia mexicana per due flauti e orchestra
Nato nel 1956, Samuel Zyman è considerato uno tra i più importanti compositori messicani contemporanei.
Con buone ragioni, la sua storia si potrebbe definire “eccezionale”: studia, sin da piccolo, prima pianoforte, poi composizione nella città natale (Mexico City) e, da quel momento in poi, continuerà sempre a coltivare con impegno e dedizione quella che, fino a un’età più matura, di fatto sarà solo una grande passione.
Si laurea infatti in medicina all’Università del Messico nel 1975 e, subito dopo, comincia a lavorare come assistente nella stessa università. Nel 1980 consegue sia il diploma di pianoforte in conservatorio, sia il dottorato in medicina.
In quello stesso anno, però, decide che la musica non può più rimanere una semplice passione che (addirittura!) aveva definito “insana” durante gli anni in cui studiava medicina.
Con la futura moglie si trasferisce a New York e viene ammesso alla Juilliard school. Sono questi anni particolarmente vivaci per lui: studia composizione con diversi insegnanti che influenzeranno moltissimo il suo linguaggio musicale e, terminato il percorso da studente, comincia subito quello di insegnate nella prestigiosa scuola americana che prosegue tutt’ora.
Il suo debutto come compositore nella Grande mela avviene nel 1988, con il Concerto for piano and chamber ensamble; nel 1993 presenta Sonata for flute and piano – il suo brano più eseguito – e, nel 2007, è il turno di Suite for two cellos – opera anch’essa particolarmente popolare; nel 2010 si guadagna visibilità internazionale con il concerto per orchestra Tres laberintos concertantes, che egli stesso definì come il suo “più ambizioso e forse il più compiuto lavoro” di genere sinfonico.
I suoi brani spaziano tra tutti i generi musicali: pezzi per ensemble, opere sinfoniche, musica da camera, colonne sonore per film – tra le quali è importante menzionare quella per The other conquest, cantata da Placido Domingo; ma sono in particolare i lavori per pianoforte quelli in cui emergono più chiaramente le caratteristiche del suo linguaggio.
Quest’ultimo risente di numerose e poliedriche influenze: è lo stesso compositore che indica come fonti ispiratrici del suo operare autori come Bartòk, Prokof’ev, ma anche la corrente dell’Impressionismo o, ancora, la musica jazz.
Ascoltando i suoi brani è frequente imbattersi, ad esempio, in un approccio al pianoforte che si potrebbe definire “percussivo”, tipico di Bartòk; in un cromatismo che prende le mosse dall’Impressionismo di Debussy; in una scelta timbrica e di struttura delle frasi musicali che richiamano la musica di Prokof’ev; in una ritmica che affonda le sue radici nella musica jazz. Il tutto deliziosamente unito a motivi e ritmi più tipicamente latino – americani, che egli ha da subito iniziato a studiare con uno tra i suoi primi insegnanti, Hector Jaramillo, musicista ecuadoriano che lo stesso Zyman ricorda come il maestro che più di tutti lo influenzò.
Il suo linguaggio, dunque, risulta composito, sfaccettato: in ogni composizione egli sembra voler mostrare, mettere in luce i differenti volti, le diverse anime che danno forma alla sua personalissima musica. Alle volte emerge una vena più lirica, altre uno studio timbrico più approfondito, altre ancora un’attenzione ai ritmi: tutte caratteristiche cifra dello stesso complesso suo comporre.
Fantasia mexicana per due flauti e orchestra viene eseguita per la prima volta il 14 Marzo 2004 al teatro di Città del Messico. Si tratta di un’opera che gli è stata commissionata dalle due flautiste Elena Duràn e Marisa Canales. Già dal titolo risulta evidente la caratteristica della grammatica di Zyman che in questo brano emerge più chiaramente: il legame fortissimo con la musica del suo paese natale. Le melodie, i ritmi di danza, l’utilizzo che viene fatto delle percussioni e il timbro delle trombe portano infatti con loro un inconfondibile sapore latino – americano. La parte dei flauti è, come nella più classica forma del concerto, particolarmente virtuosistica: essi – padroni incontrastati del pezzo – costruiscono linee musicali che si intrecciano tra loro, dialogano e a tratti divengono una sola voce, semplicemente accompagnata, o echeggiante al resto dell’orchestra. Il brano, formato da un solo movimento, è di fatto diviso in due sezioni dalla lunga cadenza che vede come protagonisti assoluti i due flauti solisti.
Bibliografia:
Samuel Zyman: literature and materials of music faculty, in “The Juilliard journal”, dicembre 2007-gennaio 2008.
Nayeli Dousa, The piano works of a contemporary mexican expatriate: Samuel Zyman’s two motions in the movement and variations on an original theme, The University of Arizona, 2013.
Discografia:
Basche, The Prometheus Trio (Polygram, 1987)
La otra conquista, Banda Sonora de la Pelicula (Sony music entertainment,1999)
20 Century mexican symphony music (Clasicos mexicanos, 1999)
Mozart – Concerto per violino e orchestra n.1, K 207
Composito è altresì il linguaggio del genio di Wolfgang Amadeus Mozart. Da un lato per un’impressionante capacità di assimilazione delle istanze musicali in cui – viaggiando per l’Europa – man mano si imbatteva, dall’altro a causa della caratteristica innocente curiosità di sperimentare e dare nuova forma a differenti tecniche compositive, in Mozart si ritrovano tracce di diverse matrici: lo stile galante settecentesco – sia nel suo aspetto più estroverso, sia in quello più serio – lo studio del più severo contrappunto, il principio dell’evidenza e dell’elaborazione tematica che si stava affermando soprattutto grazie a Haydn.
Il Concerto per violino e orchestra K 207 è la prima delle cinque composizioni musicali per tale strumento che il genio salisburghese compone. La data di composizione e la commissione di tale opera non sono chiare, tuttavia, vi sono ragioni (anzitutto lo studio dei manoscritti mozartiani) che indicherebbero l’aprile del 1773 come anno di composizione e Kolbe, amico violinista di Mozart, come il musicista per il quale questo concerto venne scritto.
È un Mozart non ancora ventenne dunque il compositore di questo brano: un enfant prodige già acclamato e apprezzato in tutta Europa, un giovane sempre più consapevole del suo grande talento e al quale la bella Salisburgo – nella quale ancora risiede – comincia a star stretta.
Alla sua prima prova come compositore di un brano simile, Wolfgang dimostra, da una parte, la sua ancora giovane età, dall’altra, i primi piccoli boccioli di quella genialità musicale che esploderà di lì a poco: infatti, se da un lato le melodie affidate allo strumento solista fanno in modo che al violino non sia offerta la possibilità di dispiegare tutta la sua gamma espressiva, dall’altro lato i vivaci “botta e risposta” tra solo e tutti – in particolare dell’ultimo movimento – evidenziano quella caratteristica di dialogo che sarà tipica dei concerti del Mozart più maturo.
Altro tratto mozartiano che in questa così some in altre sue prime composizioni emerge, è l’incisività di alcune idee musicali: nel primo movimento, essa si esprime nel suo lato più frizzante e spensierato attraverso i due temi che vengono presentati dall’orchestra. Il violino entra successivamente, prima ripetendo, poi variando con disegni arabescati – a tratti particolarmente virtuosistici, a tratti più intensi – il primo dei due temi. Il dialogo che ne emerge si riallaccia, sia per la struttura quasi “a ritornelli”, sia per l’alternanza di “spazi pieni” e “spazi vuoti”, ai modelli concertistici pre-classici. Anche nell’Adagio vengono presentati due temi; la linea melodica si fa, tuttavia, più intimistica, aggraziata, riflessiva; già comincia a sentirsi l’inebriante profumo dei fiori musicali creati da Mozart che qui sembrano non essere più solo boccioli. La cura del dettaglio cantabile sembra avere punti di contatto con lo stile galante, in particolare proprio per la grazia della parte del canto. Il popolaresco brio dei due temi del movimento finale, invece, rimanda a un immaginario più haydniano: il ritmo danzante, le fresche melodie che ritornano all’orecchio dell’ascoltatore – riconoscibili e variate – e nuovamente la genialità nell’assegnare le “battute” all’orchestra e al violino, mostrano come effettivamente Mozart, già in giovane età, avesse assimilato molto della musica precedente e a lui contemporanea, rivestendola però di una semplicità – musicale e umana – tutta propria.
“Il miracolo dello stile mozartiano è quello di fare apparire che un evento ben definito – come l’ingresso di un personaggio in un’opera o di un solista in un concerto – sembri uscire organicamente dalla musica, sembri essere parte di un tutto pur senza perdere nulla della propria personalità. Questa concezione di continuità articolata fu un vero e proprio punto di partenza nella storia della musica.” (Charles Rosen)
Bibliografia:
Robert W. Gutman, Mozart: a cultural biography, New York-San Diego-Londra, Harcourt Brace and Company, 1999;
The Cambridge Mozart Encyclopedia, edited by Cliff Eisen and Simon P. Keefe, Cambridge, Cambridge University Press, 2006;
Stanley Sadie, Wolfgang Amadeus Mozart: gli anni salisburghesi, Milano, Bompiani, 2006.
Discografia:
vl. Isaac Stern, dir. George Szell, Columbia Symphony Orchestra (CBS, 1967);
vl. Uto Ughi, Orchestra da camera di Santa Cecilia (RCA, 1985);
vl. Athour Grumaiaux, dir. Colin Davis, London Simphony Orchestra (Philips, 1990);
Cherubini – Sinfonia
Il fascino che esercita la musica di Luigi Cherubini è innegabile e lo si può percepire fin dalle primissime battute della sua Sinfonia. Con lui si entra in un mondo che, da un lato ci appare familiare, dall’altro, è evidentemente qualcosa che si discosta dal nostro immaginario.
Considerando gli estremi della sua vita e facendo attenzione ai suoi spostamenti è semplice intuirne il motivo. Cherubini nasce nel 1760 a Firenze e muore a Parigi nel 1842. Inizia a studiare musica nella sua città natale e, dopo la presentazione delle prime opere teatrali, che incontrarono il favore del pubblico, ma che non gli permettono di affermarsi come operista – deve vedersela con personaggi del calibro di Cimarosa, Paisiello e Piccinni – a ventiquattro anni si trasferisce a Londra e, poco dopo, in Francia dove, tra alti e bassi, continua la sua carriera di uomo di teatro. All’affacciarsi del nuovo secolo, sfruttando la grande fama che ha guadagnato all’estero, si trasferisce con tutta la famiglia per un breve periodo a Vienna. Questo soggirno, se da un lato non sarà particolarmente gratificante da un punto di vista economico, si rivelerà invece incredibilmente fiorente da un punto di vista umano e musicale: qui incontra infatti due delle tre colonne portanti del classicismo viennese, Haydn e Beethoven. Rientrato a Parigi, si ammala ed è costretto a un lungo periodo di improduttività che si conclude con un soggiorno ristoratore nelle campagne francesi, da dove sgorgherà la Messa di Chimay, opera che successivamente riscuoterà grandissimo successo a Parigi. Ritornato sulla cresta dell’onda, quasi volendosi rifare del tempo perduto, si mette al lavoro su tre fronti: solo un’opera su tre vedrà effettivamente la luce. I lavori, infatti, verranno interrotti a causa di una ghiotta occasione che Cherubini non si fa sfuggire: è chiamato a lavorare alla corte proprio di quegli Esteràzy “protettori” di Haydn. A loro Cherubini dedicherà la colossale Messa in re minore.
Ancora una volta però, come per i personaggi del tragico romanzo Les miserables, le speranze del musicista italiano si frantumano: col sopraggiungere di difficoltà economiche per la nobile famiglia ungherese, Cherubini è costretto a tornare a Parigi, dove le cose cominciano nuovamente a procedere nel verso giusto solo dopo la caduta di Napoleone: viene insignito di numerosi riconoscimenti, diviene Sovraintendente della musica del re e, nel 1822, direttore del conservatorio e dove continua a comporre fino alla fine dei suoi giorni.
Unica sinfonia scritta da Cherubini, quella in Re maggiore è un vero e proprio gioiello al cui interno vi si possono riconoscere gemme preziose.
Composta nel 1814, a Londra, per la Royal Philarmonic Society, così come le celeberrime sinfonie londinesi di Haydn, la Sinfonia di Cherubini si divide in quattro movimenti.
È probabilmente in questa corrispondenza biografica tra il compositore viennese e il nostro, che va ricercato il motivo per il quale tale opera sembra avvicinarsi maggiormente allo stile “consolidato” di Haydn, piuttosto che a quello più “moderno” di Beethoven – del quale il compositore fiorentino diverrà egli stesso fonte d’ispirazione.
Cherubini costruisce un brano sorretto dai forti ideali e dalle solide strutture classiciste, al cui interno si possono però rinvenire anche cantabili melodie, quasi da opera italiana, e maestosi sviluppi, che fanno eco a Beethoven.
L’Adagio iniziale, ad esempio, ha un forte sapore di ouverture operistica. L’Allegro che segue presenta una prima area tematica dove viene presentato – e subito dopo sviluppato – un tema frizzante, e un secondo territorio che si caratterizza dapprima per una melodia lirica, trasognante, ma che successivamente si fa cantabile e scherzosa. Il Larghetto ha un carattere più bucolico e contemplativo, a tratti inaspettatamente drammatico; il terzo movimento, sembra riaccostarsi alla sfera beethoveniana: il carattere percussivo e vigoroso del discorso musicale rimanda fortemente al maestro di Bonn, anche se nella brillantezza di alcuni passaggi emerge l’estro tipico italiano. L’Allegro vivace conclusivo, infine, mescola elementi dell’opera seria gluckiana a una vena più leggera dallo stampo haydeniano: in forma sonata – come anche il primo ed il secondo movimento – sono inizialmente presentati i due temi che, dopo l’intreccio dello sviluppo, vengono ripresi.
Tra i pochissimi lavori sinfonici italiani ottocenteschi, la Sinfonia di Cherubini lascia solo l’amaro in bocca per essere stato il solo brano di questo genere composto da un tale grande autore.
Bibliografia:
Luigi Cherubini nel secondo centenario della nascita, a cura di Adelmo Damerini, Firenze, Olschki, 1962;
Vittorio Della Croce, Cherubini e i musicisti italiani del suo tempo, 2 vol., Torino, Eda, 1986.
Riccardo Muti, Luigi Cherubini: il fuoco nel marmo, Milano, Mondadori, 2003.
Discografia:
dir. Donato Renzetti, Orchestra della Toscana (Arts Music, 1995);
dir. Howard Griffiths, Zucher Kammerorchester (CPO, 1998).