Le date
Serie Curiosity
Mozart Concerto per Flauto, arpa e orchestra K 299
Betty Olivero Adagio per orchestra da camera
Haydn Sinfonia n. 31 “Hornsignal”
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50
Ridotti (Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50
Il Cast
Direttore Francesco Pasqualetti
Flauto: Marco Zoni
Arpa: Donata Mattei
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Concerto per orchestra, arpa e flauto, K. 299
Allegro
Andantino
Rondò; Allegro
Betty Olivero (1954)
Adagio per orchestra da camera
Franz Joseph Haydn (1732-1809)
Sinfonia n. 31 “Hornsignal”
Allegro
Adagio
Minuetto e Trio
Finale: Moderato molto e sette variazioni; Presto.
Guida all’ascolto
DI BENEDETTA AMELIO
Mozart – Concerto per orchestra, arpa e flauto, K. 299
Nell’aprile del 1778, Mozart si affaccia sulla scena parigina: è un giovane di ventidue anni, partito dalla natale Salisburgo e giunto nella frizzante capitale francese con la fresca speranza di trovare in quella città un luogo privilegiato per affermarsi come musicista in tutta Europa. Amadeus sa bene di non essere più – e di non voler più essere – l’enfant prodige che anni prima aveva sedotto la nobiltà parigina; non vuole più solo prendere il suo pubblico per la gola, ma desidera conquistarne il cuore, ammaliarne la mente grazie al suo talento compositivo. Nell’affollata Parigi, però, Mozart trova appena una tiepida accoglienza: la concorrenza è molta e la querelle musicale tra i filo-gluckiani e i sostenitori di Piccinni tiene banco nei salotti francesi, “distraendo” la nobiltà dal genio salisburghese che, invece, si dimostrerà assolutamente disinteressato all’argomento.
Nonostante il soggiorno, dunque, non raggiunga l’esito sperato, a Parigi, Mozart ottiene alcune commissioni che danno vita a brani di una raffinata eleganza come il Concerto per arpa, flauto e orchestra K 299.
La particolarità dell’organico è dovuta al committente del brano: il duca di Guines, ambasciatore francese a Londra, che desiderava che Mozart componesse per lui – appassionato di musica e flautista – e per sua figlia, che si dilettava con l’arpa. Scrivendo all’amato padre Leopold, Mozart dice: “Il Duca suona il flauto in modo straordinario e sua figlia, a cui insegno composizione, suona l’arpa magnifique: ha un grande talento, persino del genio, e ha per di più una memoria straordinaria, in quanto suona tutto a mente e conosce un paio di centinaia di pezzi”. I toni entusiastici però si smorzarono ben presto: con il fidanzamento, la giovane interrompe le lezioni di composizione e Wolfgang deve persino litigare e insistere con il duca per ottenere il pagamento delle lezioni. Inoltre, nonostante le iniziali più che positive considerazioni sui due, è la semplicità della scrittura musicale stessa del brano che ci fa capire quanto Mozart sapesse di aver di fronte poco più che due dilettanti.
E forse anche grazie a questa obbligata semplicità di scrittura che il genio salisburghese può dar libero sfogo a tutta la sua sfrenata fantasia tematica.
L’Allegro iniziale ne è il palco per eccellenza: vi sono ben quattro temi – dai caratteri differenti – che vengono presentati nella solita forma-sonata composta da esposizione, sviluppo e ripresa. I primi due spunti tematici vengono esposti dall’orchestra mentre il terzo e il quarto – quest’ultimo in tonalità minore – sono intonati dai solisti. Oltre alla ricchezza di idee musicali, questo primo movimento si caratterizza per l’eccezionale dialogo che si crea tra i solisti, dando a tratti l’impressione di un intimo e trasognante scambio di battute tra i due.
All’Allegro segue un Andantino bipartito: nella prima parte viene esposto dall’orchestra un motivo che subito catalizza l’attenzione degli uditori per l’affettuosa frase discendente degli archi, immediatamente ripresa dai solisti; segue un intenso dialogo dove vengono proposte “domande” del flauto e “risposte” dell’arpa; la seconda parte si basa sull’insistente ripresa del primo tema. L’Allegro conclusivo è un rondò-sonata (una forma, cioè, che fonde assieme la forma sonata a quella del rondò): il tema principale, infatti, funge da anche da ritornello. L’idea tematica si caratterizza per semplicità e freschezza e verrà ripresa dallo stesso Mozart – variata – nella celebre Eine Kleine Nachtmusik. Anche in questa sezione si ritrovano i tratti principali dei movimenti precedenti, ovvero il continuo dialogo tra gli strumenti solisti e la straordinaria quantità di spunti musicali.
Bibliografia:
H. C. Robbins Landon, The Mozart compendium: a guide to Mozart’s life and music, London, Thames and Hudson, 1996;
Konrad Küster, Mozart: a musical biography, Oxford, Clarendon Press, 1996;
Simon P. Kneefe, The Cambridge companion to Mozart, Cambridge, Cambridge University Press, 2003.
Discografia:
Dir. Karl Bohm, Wiener Philarmoniker (Deutche Grammophon, 1976);
Dir. Patrick Strub, fl. Raffaele Trevisani, arpa Luisa Prandina, Kammerorchester Arcata Astuttgart (Amadeus, 1998).
Olivero – Adagio per orchestra da camera
Betty Olivero nasce a Tel Aviv, in Israele, il 16 maggio 1954 e i suoi studi si concentrano subito sulla musica. Nel 1978, nel suo paese natale, ottiene il diploma alla Rubin accademy of music, dove studia pianoforte e composizione. L’approfondimento della musica prosegue nella rinomata Yale university: studia con Jacob Druckman, Bernard Rands e Gilbert Amy e si laurea nel 1981. La maggior parte della sua carriera, però, non ha una sede – per noi – estera, bensì sarà proprio l’italica Firenze a regalare alla Olivero soddisfazioni sia dal punto di vita lavorativo, sia personale. Qui, infatti, dal 1983 al 1986, ha la possibilità di studiare con Luciano Berio.
Betty Olivero ritorna in Israele solo nel 2002, dove ottiene la cattedra di composizione alla Bar-Ilan university. Due anni dopo, comincia la collaborazione con la Jerusalem Symphony Orchestra, che prosegue tutt’ora.
I suoi brani sono stati eseguiti da alcune tra le più importanti orchestre del mondo, quali la Chicago Symphony Orchestra, la New York Philarmonic e la London Sinfonietta. Inoltre, nel corso della sua carriera, ha ottenuto vari premi e riconoscimenti: il Fromm award dalla Fromm music foundation (1986), il Prime Minister’s prize (2001 e 2009), il Rosenblum award for the performing arts (2003), il Landau award for the performing arts (2004), l’ACUM prize for life achievements (2004) e l’ACUM award for achievement of the year (2010).
Le sue composizioni spaziano dalla musica strumentale a quella vocale. Tratti caratteristici del suo stile sono, da una parte, l’applicazione e la sperimentazione di materiali musicali che trovano la loro genesi all’interno della musica tradizionale e etnica, dall’altra, lo studio delle tecniche compositive caratterizzanti la musica occidentale contemporanea. Attraverso processi di sviluppo, adattamento, trasformazione, assimilazione, smembramento e ricomposizione, queste due differenti anime si fondono, mescolano e intrecciano e dialogando in modo sorprendente in tutta la musica della Olivero.
Nel brano Neharòt Neharòt (2006-2007), ad esempio, in un iniziale motivo dal movimento circocentrico – esposto dagli archi – e dal sapore contemporaneo-occidentale, subentra il peculiare timbro di una fisarmonica, strumento dal gusto più popolare-tradizionale: l’effetto che ne risulta è estraniante. Da quel momento in poi, la musica si trasforma completamente, dando avvio a immagini sognanti. Anche nelle suites Der Golem (1997-1998) l’atmosfera è decisamente etnica: ritmo e timbri proiettano l’ascoltatore all’interno di atmosfere balcaniche e orientaleggianti. Il brano per pianoforte Sofim (Endings), composto nel 1991, invece, ci offre una Betty Oliviero più ancorata agli studi con Luciano Berio: cellule ben distinte, eppure legate, di un unico discorso musicale si susseguono l’una dietro l’altra.
Adagio per orchestra da camera è stato composto nel 1990 per l’Orchestra della Toscana, nell’ambito del Festival Caro Mozart. Si tratta di un brano strutturato in un unico movimento, pensato per un particolare organico: oltre a archi e fiati, infatti, compare una ricca sezione di percussioni. Nell’edizione Ricordi si trova, ad inizio partitura, una nota che magnificamente ci introduce al brano: “Adagio è un corale per orchestra da camera che nasce dall’introduzione piena di arditezze armoniche del Quartetto K 465, cosiddetto ‘delle dissonanze’, di W. A. Mozart. Le scale nascoste (per lo più cromatiche) che si intuiscono nella tessitura vocale delle ventidue battute di quest’introduzione, hanno ispirato e dato vita a questa breve composizione. L’enigmatico arpeggio (Do – La♭ – Mi ♭- La♮) che dà inizio al quartetto, concluderà il pezzo rimanendo come un’ombra, un sospiro residuo, un’eco al crescendo orchestrale interrotto improvvisamente”.
Ultimo dei sei quartetti che Mozart dedicò ad Haydn, composto nel 1785, il K 465 è appunto passato alla storia come il “quartetto delle dissonanze”, a causa dell’arditezza armonica ostentata soprattutto all’inizio del brano, dove la calma iniziale dell’Adagio, sembra voler proprio sottolinearne l’inusuale profilo armonico. Il moto melodico (orizzontale) delle parti, però, porta con sé un rimando ad un altro grande nome della storia della musica: Johan Sebastian Bach. Dunque, è lo stesso maestro di Salisburgo che, citando, tratta gli strumenti come se fossero voci, creando proprio, nelle prime incriminate ventidue battute, un effetto “corale”. Come una nuova pianta di verdeggiante edera che a primavera, per crescere, circonda il tronco di un antico albero, così Betty Olivero costruisce intorno alle parti del quartetto mozartiano (riprese in modo letterale all’inizio) il suo Adagio per orchestra da camera. La compositrice ricama nuovi decori attorno alle linee melodiche di Mozart: in apertura, infatti, anche il brano della Olivero sembra avere natura quartettistica, sennonché, già dopo poche battute, a cascata, subentrano gli altri strumenti, i quali tramutano appunto l’Adagio mozartiano nell’Adagio per orchestra da camera oliveriano. Come un perfetto viso di morbida creta, l’opera di Mozart viene modificata dalla compositrice: ella, attraverso una differente orchestrazione, prima, ne schiaccia il naso, poi ne allunga gli occhi, infine, ne cambia l’espressione; il volto resta riconoscibile, eppure diversissimo.
È in questo gioco di specchi e di rimandi (Haydn e Bach in Mozart e Mozart stesso nel brano della Olivero) – nonché nel modo in cui questi echi sono trattati – che va cercata la peculiarità di Adagio per orchestra da camera.
Risorse bibliografiche:
http://www.olivero.co.il
Haydn – Sinfonia n. 31
Così come il Concerto per orchestra, arpa e violino di Mozart, anche la Sinfonia n. 31 di Haydn è un brano fortemente legato agli incontri fatti dal compositore in un particolare momento della sua vita.
Scritto nel 1765, esso risale al periodo in cui Franz Joseph Haydn è al servizio degli Esterhazy, una nobile famiglia dalle origini ungheresi a cui il padre del classicismo resterà legato per la maggior parte della vita. Grazie alle loro innumerevoli commissioni, Haydn dà vita a brani che affrontano tutti i generi musicali dell’epoca: musica sinfonica, musica da camera, musica sacra, melodramma. Dobbiamo la cifra stilistica tipicamente haydniana proprio alla grande mole di lavoro svolto dal compositore in quel periodo e al fatto che gli Esterhazy, pur essendo una famiglia che risiedeva in provincia – abitavano infatti distanti da Vienna, in quell’epoca più che mai una città crogiuolo di cambiamenti, soprattutto musicali – vivesse in lussuosi palazzi permeati dalle trasformazioni e dalle innovazioni che provenivano da tutta Europa. Grazie alle innumerevoli occasioni di sperimentare, di stupire, di appassionare e di catturare l’attenzione dei suoi ascoltatori, nonché grazie alla sua incredibile capacità di assimilazione, Haydn nutre infatti i suoi protettori, e i loro ospiti, con una varietà impressionante di idee musicali, trovando continua ispirazione nel fertilissimo terreno dei salotti Esterhazy.
Restando sempre legato ad un proprio personalissimo stile, riconoscibile per la tipica leggiadria e gentilezza musicale, egli compone brani dalla destinazione “d’occasione” ben precisa – una festa, una solennità – utilizzando una scrittura caratterizzata da “frizzanti” idee musicali, le quali non fanno percepire il minimo sforzo compositivo; sebbene oberato di lavoro, Haydn sembra sempre giocare con la musica, divertirsi.
Sin dall’inizio della Sinfonia n. 31, l’accento viene posto sul timbro dei corni (quattro): essi sono legati all’ambito della caccia, una delle attività preferite dei principi Esterhazy. Da questo particolare strumento Haydn sembra prendere il la per far esplodere la sua fantasia musicale.
Il brano si articola in quattro movimenti: l’Allegro iniziale si apre con una fanfara dei corni, protagonisti di questo primo movimento per incisività e forza del tema. L’esuberanza della fanfara viene portata poi avanti dagli archi, che, successivamente, passano a sorreggere un altro protagonista, il flauto: quest’ultimo interviene in modo leggero e delicato, quasi a volersi riappropriare di un proprio piccolo spazio all’interno dell’orchestra e nella composizione; esso, tuttavia, è subito inglobato dai continui ritorni della fanfara dei corni. L’Adagio si compone di un andamento da lenta danza: il violino solo presenta il primo tema, lungo e cantabile, che viene poi rinforzato dai corni e reso da loro più solenne. Su questa stessa composita idea musicale si intrecciano le altre parti strumentali, dando origine al consueto gioco di “pieni” e “vuoti”, tipico dei concerti. Il Minuetto si presenta con una gagliarda melodia intonata dagli archi, a cui i corni conferiscono nuovamente un’aria maestosa. L’ultimo movimento è un tema con sette variazioni: il protagonista melodico viene annunciato dai violini e poi passa di strumento in strumento, rivelandone le differenti specificità timbriche.
In questa sinfonia, inoltre, si percepiscono sia la grazia di inizio Settecento, sia il vigore che sarà proprio del futuro movimento Romantico.
Bibliografia:
H. C. Robbins Landon e David Wyn Jones, Haydn: vita e opere, Milano, Rusconi, 1988;
Haydn: due ritratti ed un diario, a cura di Andrea Lanza e Enzo Restagno, Torino, EDT, 2001.
Discografia:
Dir. Charles Mackerras, Orchestra of St. Luke’s (Telarc, 1989)
Dir. Christopher Hogwood, The Accademy of Ancient Music (Decca, 2000).