69ª Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 08 maggio 2014
Ore: 10:00*
giovedì 08 maggio 2014
Ore: 21:00
sabato 10 maggio 2014
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Serie Red Planet

Bartok Danze popolari rumene
Vieuxtemps concerto per violino e orchestra n. 4
Liszt Rapsodia ungherese n. 2
Liszt Les preludes

Biglietteria

BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50

Ridotti
(Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50

Il Cast

Direttore Gabor Tackas Nagy
Violino Nikita Boriso-Glebsky
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Concerto in collaborazione con Gioventù Musicale d’Italia

Note di sala

Béla Bartók (1881-1945)
Danze popolari rumene
Composizione: 1917
Prima esecuzione: Budapest, 11 febbraio 1918
Edizione: Universal Edition Wien 

Jocul cu bâtă (Danza del bastone) – Energico e festoso
Brăul (Danza della fascia) – Allegro
Pe loc (Danza sul posto) – Andante
Buciumeana (Danza del corno) – Moderato
Poargă românească (Polka rumena) – Allegro
Măruntel (Danza veloce) – Allegro
Măruntel (Danza veloce) – Più allegro
Durata: 7 circa

Henri Vieuxtemps (1820-1881)
Concerto per violino e orchestra n. 4 in re minore
Edizione: Kalmus
Andante-Moderato-Cadenza
Adagio religioso
Scherzo- Trio
Finale marziale-Allegro
Durata: 22 circa

Franz Liszt (1811-1886)
Rapsodia ungherese n° 2 in do diesis minore
Composizione: 1846
Prima esecuzione: 1853
Edizione: Kalmus
Durata: 10 circa

Franz Liszt (1811-1886)
Les préludes
Composizione: 1850-1854
Prima esecuzione: Weimar, 23 febbraio 1854
Edizione: Kalmus
Andante maestoso – Allegro tempestoso – Allegretto pastorale – Allegro marziale animato, Vivace, Andante maestoso
Durata: 18 circa

Guida all’ascolto
A CURA DI ALESSANDRA ALBO

Liszt e Bartók Rapsodia ungherese n° 2 e Danze popolari rumene
Franz Liszt e Béla Bartók, entrambi ungheresi, si ispirarono al folclore della loro nazione di origine per la composizione rispettivamente della Rapsodia ungherese n° 2 e delle Danze popolari rumene: non dimentichiamo, infatti, che tali danze rumene sono, nello specifico, danze transilvane e che la Transilvania, quando le composizioni videro la luce, era ancora territorio ungherese. Dunque, prima Liszt poi Bartók attinsero alla medesima fonte; ma con quali differenze? Differenze sia di ordine metodologico che derivanti da necessità strettamente compositive: Bartók fu uno dei primi etnomusicologi che si dedicarono sistematicamente e scientificamente allo studio della musica popolare e folcloristica, viaggiando e trascrivendo musica direttamente dalle fonti, in modo che la raccolta dei dati fosse veramente attendibile; oltre a ciò, è utile tener presente che, a cavallo tra il 1800 e il 1900, come quasi tutti i compositori, egli era ansioso di sbarazzarsi in qualche modo della tonalità e dei due modi, maggiore e minore, che avvertiva ormai come troppo vincolanti e troppo abusati. Bartók volle, dunque, utilizzare del materiale musicale nuovo o rielaborato in maniera innovativa, che affondasse però le proprie radici in una realtà già esistente e verificabile.

Liszt, di contro, aveva composto la Rapsodia ungherese n° 2 e le altre diciotto rapsodie ungheresi con l’intento di rendere omaggio ai moti rivoluzionari ungheresi del 1848, senza un particolare intento di una vera e propria ricerca musicale sul campo, come era, peraltro, consuetudine di una certa estetica romantica che soleva rivisitare temi popolari o folcloristici con il linguaggio tonale e lo spirito dello Sturm und Drang. Nonostante questo approccio che potremmo definire, in un certo qual modo, effimero e solo formale, fu proprio Bartók stesso, con il suo poema sinfonico Kossuth, dedicato a uno dei protagonisti dei moti rivoluzionari ungheresi del 1848, a ispirarsi alla Rapsodia ungherese n° 2, quasi a voler ricordare come proprio Liszt fosse stato per lui il primo riferimento per la riscoperta di quel materiale che costituirà i fondamenti della sua produzione musicale e la sua linea interpretativa del repertorio folclorico.

Composte entrambe inizialmente per pianoforte, la Rapsodia ungherese n° 2 e le Danze popolari rumene vennero trascritte successivamente dagli stessi autori per orchestra.

La Rapsodia ungherese n° 2 è forse la più famosa delle diciannove scritte da Liszt e la più utilizzata in molteplici ambiti: sia per spot pubblicitari, sia in ambito cinematografico come colonna sonora di lungometraggi; forse la sua più famosa declinazione in altro ambito artistico è quella che la vede tema musicale portante del famosissimo cortometraggio The cat concerto, vincitore, per il geniale accostamento animazione/musica, di un premio Oscarnel 1946.

Nella cupa tonalità di do diesis minore, la Rapsodia è ispirata alle sezioni della czardas ungherese, il Lassan, la sezione lenta, e il Friska, la sezione veloce; in quest’ottica, tutta la composizione può essere intesa formalmente come suddivisa in più sezioni le quali introducono o concludono il Lassan e il Friska: il Lassan è introdotto da un tema a capriccio e da un Andante mesto, il Friska, invece, da un Vivace, che sfocerà successivamente nel celeberrimo tema della Rapsodia; memorabile e famosissimo il solo del clarinetto.

Le Danze popolari rumene di Bartók sono, invece, sette piccoli gioielli da eseguirsi senza soluzione di continuità, svincolate da qualsiasi accademismo compositivo e ognuna dedicata a una precisa zona geografico-folcloristica. Sono un vero e proprio documento sonoro sia per quanto concerne il materiale musicale sistematicamente scelto e impiegato da Bartók, sia per la tradizione culturale che intendono rispecchiare di sezione in sezione.

Si alternano tra lente e veloci e ognuna ha caratteristiche proprie, come definite proprio dai loro appellativi: la prima è da “ballarsi con un bastone”, la seconda con una fascia, la terza impiega passi “sul posto”, la quarta vuole ricordare il suono di un tradizionale corno rumeno, la quinta è una polka, la sesta e la settima sono danze velocissime e sfrenate. Il materiale musicale, liberamente – ma rispettosamente – rielaborato e ritmicamente giustapposto, impiega scale modali che nell’armonia odierna definiamo doriche, eolie, lidie e misolidie, largamente in uso nella produzione popolare della regione rumena.

Vieuxtemps Concerto per violino e orchestra n° 4 in re minore
Henri Vieuxtemps fu talento precocissimo del violino, apprezzato e stimato da Paganini, Schumann, De Beriot e Spohr. Diede inoltre un ampio contributo allo sviluppo della didattica violinistica fondando, quale docente del Conservatorio di San Pietroburgo, la famosa scuola russa, contribuendo a quella franco-belga, annoverando tra i suoi allievi il grandissimo violinista Eugène Ysaye.

Come per la maggior parte dei grandi virtuosi dell’Ottocento, anche per Vieuxtemps la produzione musicale, dal punto di vista compositivo, riguarda soprattutto il proprio strumento; furono infatti i sette concerti per violino e orchestra a renderlo famoso, ai tempi, come solista, e ancor oggi, in ambito  didattico: insieme ai concerti per violino e orchestra composti da violinisti quali Spohr, Rode, De Beriot, infatti, quelli di Vieuxtemps sono i lavori grazie ai quali ogni violinista acquisisce la sicurezza tecnica per prepararsi al grande repertorio.

La caratteristica principale dei concerti di Vieuxtemps, incluso il Concerto n. 4 che ascolteremo, è quella di mettere in risalto, ai massimi livelli, sia le peculiarità tecniche dello strumento solista, il quale diventa padrone incontrastato della scena, sia, naturalmente, il virtuosismo dell’esecutore. Proprio in virtù del raggiungimento di tale obiettivo, talvolta gli interventi dell’orchestra sembrano passare in secondo piano, al punto che l’ascoltatore potrebbe percepirli più come corollario che non come elementi determinanti per l’unicità tematica, formale e stilistica della composizione.

Il Concerto n. 4 per violino e orchestra consta di quattro movimenti al posto dei tradizionali tre: il primo, dopo una breve introduzione dell’orchestra, si sviluppa come un’unica grande cadenza del violino; nel secondo, un’appassionata ouverture della compagine orchestrale introduce l’ingresso del violino solista, il quale, dopo un breve incipit di carattere improvvisativo,  regala l’ascolto di un tema denso di lirismo e cantabilità, che successivamente sfocia in ardue scale e arpeggi variamente cadenzanti; il terzo movimento è uno Scherzo velocissimo, dal carattere vivace e brillante, durante il quale l’esecutore mette in risalto tutte le sue qualità tecniche; in forma tripartita, la sezione centrale è in stile pastorale. L’ultimo movimento, che esordisce con un’evidente citazione ritmica della sezione in Do maggiore dell’ultimo tempo della Quinta sinfonia di Beethoven, in stile marziale ma cantabile, è caratterizzato dall’esecuzione brillante da parte del solista di doppie corde, armonici, arpeggi velocissimi nel registro acuto e passaggi con colpo d’arco sautillè, alternati a momenti di grande lirismo. Al termine del movimento, una sorprendente chiusa “mozzafiato” dell’orchestra suggella la fine dell’intera composizione.

Liszt Les préludes
Franz Liszt iniziò a comporre il poema sinfonico Les préludes nel 1848, quando aveva cioè 27 anni, era già un pianista affermato e considerato uno tra i più grandi virtuosi del suo tempo. Dati sia la giovane età che lo specifico talento esecutivo, Liszt, in quel frangente della sua vita, non aveva ancora una grande pratica di strumentazione, così propose al valente musicista Joachim Raff di assisterlo    nell’orchestrare alcuni suoi brani, Les préludes in particolare. Raff divenne, a tutti gli effetti, un suo dipendente, stipendiato però dalla principessa Carolyne zu Seyn-Wittgestein, allora compagna di Liszt, la quale aveva molto a cuore la di lui fama anche come compositore, oltre che come pianista. Naturalmente, la questione non doveva trapelare e Raff avrebbe dovuto mantenere una certa discrezione intorno all’argomento, ma con la sua fidanzata Doris Genast, Raff decise, in una missiva, di dar sfogo al proprio pensiero: «Egli [Liszt] dovrebbe finalmente capire che non si guadagna nulla di serio con la facile genialità, che momentaneamente abbaglia e nella migliore delle ipotesi permette la conquista di donne dalla testa vuota. Egli dovrebbe finalmente voltare pagina e dedicarsi con costanza e seriamente a quegli studi da cui solo si può attendere di diventare un vero artista. Tu sai quanto abbia stima di lui come pianista e come compositore di pianoforte dal punto di vista tecnico, e gli si deve rendere atto di aver ottenuto tutto il possibile. Ma lui non si accontenta di ciò, egli ha l’ambizione di diventare famoso come compositore, cosa che non potrà mai realizzare … Non ho mai parlato di lui in alcuno degli articoli da me firmati, quando erano in ballo questioni di importanza artistica … Io lo considero una nullità in tutte le questioni più elevate, e sono abituato così»

Sappiamo quindi che la prima stesura di Les préludes nacque strumentata dallo stesso Raff e solo la seconda edizione, che ascolteremo questa sera, vide l’intervento di Liszt. Al pianista ungherese però, va riconosciuto il grandissimo merito di aver concepito, con Les préludes, il primo poema sinfonico della storia della musica, forma a carattere programmatico, che consta di un unico grande episodio, formato da più sezioni collegate tra loro senza soluzione di continuità, alla quale si dedicarono molti tra i più grandi compositori romantici.

A proposito di “programma”, il poema sinfonico Les préludes si dice ispirato all’ode di Lamartine Nouvelles méditations poétiques. In realtà, l’ode, come spesso accade, è stata aggiunta successivamente; è invece strettamente legata alla composizione la prefazione, che descrive la natura umana così mutevole nella sua precaria condizione, le cui parole sembra siano della stessa Wittgenstein, fatto salvo il riferimento alla «tromba che suona l’allarme», che appartiene effettivamente all’ode del Lamartine.

Questa la prefazione alla sua seconda edizione: «Che altro è la nostra vita, se non una serie di preludi a quell’inno sconosciuto, la cui prima e solenne nota è intonata dalla morte? – L’amore è l’alba luminosa di tutta l’esistenza: ma qual è il destino per cui le prime delizie e felicità non sono interrotte da qualche tempesta, l’esplosione mortale che dissipa le belle illusioni, il fulmine fatale che consuma il suo altare, e dov’è l’anima crudelmente ferita, che, emersa da una di queste tempeste, non cerca di riposare il suo ricordo nella calma serenità della vita dei campi? Tuttavia l’uomo difficilmente si dedica a lungo al godimento della quiete benefica che in un primo momento ha condiviso nel seno della natura, e quando “la tromba suona l’allarme”, si precipita, verso qualsiasi posto pericoloso, qualunque sia la guerra che lo chiama tra le sue fila, in modo da recuperare finalmente nel combattimento la piena coscienza di sé e del possesso di tutta la sua energia»

Les préludes, pur essendo concepito in un unico grande movimento, ha una struttura estremamente articolata: si possono infatti ravvisare in esso ben tredici diversi episodi derivanti da un unico elemento tematico variato in tutti i modi possibili. L’incipit, affidato agli archi gravi, introduce un   clima misterioso, di estrema tensione, e afferma il grandioso tema principale il quale, distribuito su tutte le sezioni degli ottoni, sarà ascoltato ancora al termine della composizione. Gli episodi in stile pastorale suggeriscono la momentanea serenità dell’eroe, che subirà un brusco risveglio allo “squillo di trombe”. La linea tematica principale è variata ritmicamente in maniera continua, conferendo all’intera composizione un senso di voluta instabilità, connessa con i molteplici stati d’animo dell’eroe che intraprende e porta a termine il suo tormentato “viaggio”.

Bibliografia essenziale:
Bartok, Béla, Scritti sulla musica popolare, seconda edizione, Torino, Bollati Boringhieri, 1977;

Ysaÿe, Eugène, Henri Vieuxtemps, mon maitre, Bruxelles, Éditions Ysaÿe, 1968;

Deaville, James, A “Daily Diary” of the Weimar Dream, Joachim Raff’s unpublished letters to Doris Genast, in Saffle, Michael (ed.): Analecta Lisztiana I, Proceedings of the International “Liszt and his World”, Pendragon Press, Stuyvesant, 1995 ;

Haraszti, Emile, Génèse des préludes de Liszt qui n’ont aucun rapport avec Lamartine, in “Révue de musicologie”, n. 35, 1953;

Rattalino, Piero Liszt o il giardino d’Armida, Torino, EDT, 1993.

Discografia essenziale:
Zoltan Kodaly, Antonin Dvorak, Béla Bartok, Danze di Galanta, Danze di Marossek, Divertimento, Danze popolari rumenem, Saint Paul Chamber Orchestra, Hugh Wolff, Apex, 2002;

Ludwig van Beethoven, Henry Vieuxtemps, Concerto per violino e orchestra in Re maggiore, op.61, Concerto per violino e orchestra n. 4, Jasha Heifetz, Classica d’oro, 2003;

Franz Liszt Faust symphony, Les preludes, New York Philarmonic Orchestra, Leonard Bernstein, Sony classical, 2011;

Franz Liszt Les préludes, Rapsodie ungheresi n. 2, 4, 5, Fantasia ungherese, Berliner Philarmoniker, Herbert von Karajan, Deutsche Grammophon, 2002