69ª Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 15 maggio 2014
Ore: 10:00*
giovedì 15 maggio 2014
Ore: 21:00
sabato 17 maggio 2014
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Serie Curiosity

Cattaneo Suite per orchestra d’archi, flauto e percussioni
Fiorillo Concerto per violino e orchestra
Mendelssohn Sinfonia n.1

Biglietteria

BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50

Ridotti
(Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50

Il Cast

Direttore Alvise Casellati
Violino Laura Bortolotto
Flauto Carla Savoldi
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Guida all’ascolto
A CURA DI LIVIO GIULIANO

Cattaneo – Suite per orchestra d’archi, flauto e percussioni
Nel 1952, nel celebre articolo Schönberg è morto, Pierre Boulez si scagliava contro il maestro defunto l’anno precedente poiché, pur avviando la rivoluzione della serialità, Schönberg rimaneva ancorato al passato facendo uso di forme non rinnovate. Boulez, tra le opere di Schönberg che condanna, cita esplicitamente la sua Suite per pianoforte, op. 25, in cui i generi classici di danza che la compongono impediscono di gettare un ponte verso il futuro. In quegli anni, il rifiuto di ogni elemento legato a un passato da rinnegare trasformò le poetiche degli autori in ideologie estetiche, tanto affascinanti nel loro rigore, quanto destinate a tramontare col mutare dei tempi. Oggi, l’operazione che compie Pieralberto Cattaneo componendo la sua Suite per orchestra d’archi, flauto e percussioni, non merita il disprezzo per il suo riferimento a un passato lontano: appare più che legittimo dare nuova linfa alla musica tramite il recupero di quelle forme che il secondo Novecento ha rifiutato a favore di un mitico progresso artistico. Il passato, tuttavia, ritorna nella Suite di Cattaneo non come recupero di un linguaggio tonale, ma come apparizione epifanica di segni appartenenti a uno stile antico. Per esempio, nella Sarabande, gli archi forniscono un accompagnamento accordale e un impulso ritmico sul quale si dipana l’andamento melodico del flauto, tacendo talvolta, per lasciare al solista lo spazio di un virtuosistico “solo”. I Double che seguono questa Sarabanda, e il Carillon successivo, forniscono delle variazioni interessanti ai rispettivi movimenti. Chiude un lungo Passepied, dove il ritmo scandito dagli archi (tipico di questa danza dall’accento in levare) funge nuovamente da sostrato per il variegato disegno del flauto.

Così come avveniva nelle opere di Franco Donatoni, di cui Cattaneo è stato allievo, e di Niccolò Castiglioni, un grande maestro della musica italiana del secondo Novecento che funge lui da riferimento, il linguaggio di Suite non rifugge da certi complessi artifici della musica contemporanea, tuttavia, senza rinunciare a un rapporto con l’ascoltatore che si basi, più che sul calcolo, sulla dimensione emotiva.

Bibliografia
http://www.simc-italia.it/curricula/curr_cattaneo.htm

Fiorillo – Concerto per violino e orchestra n. 1
Non è difficile immaginare che molte delle star che al giorno d’oggi popolano i media verranno presto dimenticate con la stessa rapidità con cui sono riuscite ad assurgere al successo. Bisogna pensare che, seppur mancando televisione, radio e computer, anche nei secoli passati molti talenti illuminavano come stelle cadenti il panorama musicale dell’Europa e scomparivano lasciando solo qualche traccia insignificante. Tra il Settecento e l’Ottocento, mentre gli astri di Haydn, Mozart e Beethoven splendevano incontrastati, qualche altro nome ad oggi del tutto ignoto compariva con ottimo seguito nei cartelloni delle sale da concerto. Federigo Fiorillo, per esempio. Qualcuno lo avrà sentito nominare come autore di 36 capricci usati nella didattica del violino, ma l’illustre sconosciuto di cui parliamo, nell’epoca aurea della musica era tanto prolifico che gli storici, i pochi che si sono occupati di lui, non hanno ancora stilato un catalogo esaustivo della sua produzione.

Fu figlio di Ignazio Fiorillo, operista napoletano, allievo di Francesco Durante e di Leonardo Leo. A cavallo tra i secoli XVIII e XIX, Federigo Fiorillo era conosciuto come virtuoso del violino. Raggiunse il successo nel 1785, dopo un’apparizione ai Concert Spirituel di Parigi, concerti pubblici d’intrattenimento che avevano luogo nel Palazzo delle Tuileries. I suoi pezzi per violino, tra cui il primo Concerto per violino e orchestra, dimostrano la padronanza di una tecnica degna d’ammirazione: i motivi leggiadri rivelano il gusto dei frequentatori delle sale da concerto parigine del Settecento, sebbene la struttura tradisca un disegno piuttosto convenzionale. Sapiente, ma non banale, epigono del classicismo mozartiano, Fiorillo dà vita a un’opera che costituirà il diletto degli appassionati del violino presenti in sala.

Bibliografia
François-Joseph Fétis, Biographie universelle des musiciens, Paris, Fournier, 1837-1844.

Discografia
1987, violino Adelina Oprean, European Union Chamber Orchestra, dir. Jörg Faerber, Hyperion Records.

Mendelssohn – Sinfonia n. 1 in do minore
Si è soliti pensare che un accademico non abbia un animo euforico o esuberante. Abitualmente si associa all’immagine del professore l’idea di un intellettuale raffinato e pacato nei modi, tanto colto da essere preso a modello, ma certamente poco adatto al diletto leggero e spensierato. Felix Mendelssohn-Bartholdy fu uomo d’accademia: la sua dignitosa carriera lo condusse sino alla posizione di direttore dell’orchestra del Gewandhaus di Lipsia all’età di 29 anni e, nel 1843, fondò il Conservatorio della stessa città. Seppur giovanissimo, il suo iter lo aveva condotto nelle varie tappe di un convenzionale, tuttavia celerrimo, cursus honorum, fatalmente interrotto dalla morte nel 1847, a soli 38 anni, avvenuta nella sua casa di Lipsia, dove lo piansero moglie e cinque figli. Eppure, in quella vita così ordinata, in un’esistenza priva di bizzarrie, le musiche di Mendelssohn sembrano rifuggire in tutti i modi la minima parvenza di tedio e di monotonia. Gli ultimi capolavori, il Sesto quartetto dedicato a Fanny, la sua adorata sorella morta pochi mesi prima del suo decesso, e il Concerto per violino e orchestra dimostrano un’esplosione di carattere, un’indole prorompente, difficilmente consona all’immagine che di lui ci è stata consegnata dalla sua biografia. I continui collassi nervosi che, probabilmente, lo condussero alla morte riescono a spiegare meglio l’origine di una musica dai ritmi così incalzanti, fitta di sincopi che rendono le melodie saltellanti e il cui colore varia con una rapidità simile a quella con cui il compositore concluse la propria vita. La schiettezza con cui non si poneva problemi a giudicare ignobile, noiosa o vacuamente virtuosistica la musica dei suoi contemporanei Berlioz o Liszt rivela il carattere di un uomo che nella sua spontaneità difficilmente riusciva a nascondere la propria irrequietezza. Bisogna diffidare, dunque, dei luoghi comuni: è chiaro che Mendelssohn non fosse un convenzionale accademico, un classicista dal carattere ordinario, dai modi sereni e pacati.

Figlio di una ricca famiglia borghese ebrea, Mendelssohn fu educato alle discipline classiche: per tutta la sua vita si dilettò nello studio del latino e nella pratica del disegno. Tuttavia, la sua natura instabile non è da giustificarsi come una sorta di reazione al decoro e al pudore – ipotesi più adatta a spiegare l’indole impulsiva di Beethoven: il compositore di Lipsia sfruttò, gratificato, le opportunità che la sua agiata famiglia gli offrì e seppe investire con lucidità tutte le sue risorse. Pianista virtuoso e precoce talento nella composizione, scrisse la sua Tredicesima sinfonia d’archi a soli 12 anni. Quella che è catalogata come Prima sinfonia a orchestra completa, op. 11 in do minore, fu composta nel 1824, a 15 anni. Tanto talento fu certamente favorito da una condizione più che vantaggiosa: i risultati dei suoi lavori erano facilmente verificabili in casa grazie alla presenza di un’orchestra privata messa a disposizione del giovane per le prove delle sue opere e le premières dei suoi lavori avvenivano nella stessa dimora di famiglia.

La sua Prima sinfonia è un atto di prepotente inserimento nell’Olimpo musicale eretto da Haydn e Mozart. Lo stile, più vicino all’opera tarda di questi due maestri piuttosto che alla produzione beethoveniana, rivela i tratti dell’irruenza giovanile celata dall’ordine borghese e dalle buone maniere del classicismo, sapientemente assimilati dal talento che ascolta, impara, applica, ma che imprime il proprio inequivocabile segno. L’Allegro afferma con veemenza il suo primo tema, costituito da rapide progressioni discendenti che accrescono impetuosamente la tensione. Contro di esso, il secondo placido motivo non riesce a imporre un colore più mite. Tonalmente instabile, l’Adagio è seguito da un controverso Minuetto: il solenne impeto della sezione iniziale contrastò con il misterioso trio centrale al tal punto che in un’esecuzione londinese della stessa sinfonia, il compositore sostituì questo intero movimento con l’arrangiamento per orchestra di un suo ottetto per archi.

L’Allegro con fuoco finale è l’acme della sinfonia: simile nelle intenzioni al primo movimento, si sviluppa su una struttura complessa in cui i temi che si succedono, senza soluzione di continuità, si distinguono per la loro originalità – il secondo, per esempio, è una melodia cantabile che si dipana sul pizzicato dei violini. La conclusione, che ammicca di lontano a Beethoven, è l’affermazione trionfale della lucida maturità del giovane compositore.

Bibliografia
John Warrack, Hugh McDonald, Karl H. Köhler, Maestri del primo Romanticismo: Webern, Berlioz, Mendelssohn, Firenze, Giunti, 1980;

Maria Teresa Arfini, Felix Mendelssohn, Palermo, L’Epos, 2011.

Discografia
1976, Vienna Philharmonic Orchestra, dir. Christoph von Dohnányi, Decca;

1984, London Symphony Orchestra, dir. Claudio Abbado, Deutsche Grammophon;

2002, Bergen Philharmonic Orchestra, dir. Andrew Litton, Bis.