Le date
Musiche di Händel, Mozart, Cajkovskij , Rossini, Verdi, Mascagni
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50
Ridotti (Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50
Il Cast
Flauto solista e concertatore Marco Zoni
Orchestra di Flauti Zephyrus
Note di sala
Pochi strumenti musicali portano con sé, in sé, l’afflato della storia dell’uomo. Ovunque ci sia un uomo, in qualunque regione o epoca, un suono di flauto si è sparso fra le foglie, fra le case, durante cerimonie di ogni tipo o per il puro piacere individuale. Pochi strumenti hanno il privilegio di essere testimonianza diretta di una espressione così intima dell’anima umana dagli albori ad oggi, capace di evocare malinconie fragilissime come deflagranti scoppi di vitalità. Non stupisce come i grandi compositori europei abbiano destinato al flauto fra le pagine più commoventi del repertorio sinfonico, operistico e cameristico. Possiamo leggere tutto ciò che nel flauto vive già analizzando il mito greco di Pan e di Siringa. Pan, divinità forte, violenta, mostruosa, si innamora di Siringa, una ninfa dell’acqua bellissima. In precedenza altre ninfe cedettero all’amore violento di Pan, Eco da lui generò due figli e Eufeme, nutrice delle muse, generò Croto, inventore degli applausi, e forse non sarà un caso, ma Siringa non accettò la violenza di Pan e subito fuggì in cerca di aiuto. Trasformatasi in canna per non essere catturata venne però suonata da una folata di vento, ecco che anche per Pan il miracolo del flauto scoccò. Non sapendo quale delle canne fosse ad aver suonato ne prese alcune e le legò insieme per soffiare poi il suo amore svanito. Il sublime aveva toccato anche un dio feroce che da quel giorno portò con sé sempre il primo flauto dell’occidente. In queste trascrizioni “d’un soffio” possiamo davvero viaggiare all’interno del suono del flauto, qui lo Zefiro, il vento antico figlio di Eolo e dell’Aurora, si moltiplica, si scompone e ricompone in più dimensioni. Il suono alato del flauto si dilata quasi matericamente fino a sprofondare l’ascoltatore in una rete di colori inaspettati, in una nuvola di sentimenti delicati quanto profondi e travolgenti. Se pensiamo alla nostra tradizione, all’uomo creato da un soffio divino, davvero trascrivere grandi composizioni orchestrali per un’orchestra di flauti appare più che una novità un ritorno all’essenza delle cose, un richiamo a ciò che siamo stati per millenni e secoli e che probabilmente sempre saremo, foglie scosse dallo zefiro, canne cresciute in riva ad un fiume ed intonate da un soffio, per lo stupore di uomini e dei. Abbandonata al suono di un’orchestra di flauti la mente si affolla di immagini antiche e travolgenti, oscure eppure trasparenti. Il suono moltiplicato di un grande flauto armonico ci scaraventa in un labirinto a più profondità. Un labirinto di suoni e di specchi, dove dolcemente si perde la strada e si può gioire nel confondere l’alto con il basso, il sopra con il sotto, è un labirinto di specchi dove si altera l’aspetto più intimo e privato della forma. Di ogni brano si può sentire, rispetto all’originale, come un segreto rivelato, svelato dalle rifrazioni sospese dall’assenza di una gravità timbrica che tutto porta a sollevarsi dolcemente in una orbita lunare, luminosa nel buio. La “traduzione” nell’ancestrale lingua dei flauti del grande repertorio diventa così un’occasione di indagine, un’occasione per comprendere forse ancora meglio gli originali. Originali che hanno un legame forte con il flauto, protagonista di soli importanti e spesso determinanti. La Sinfonia “Arrival of the Queen of Sheba” di Händel, introduzione al terzo atto dell’oratorio Solomon, è una delle pagine più celebri del compositore di Halle. E’ però interessante sapere che il finale del primo atto del Solomon, il celebre e bellissimo Nightingale Chorus, vede proprio i flauti concertati nell’imitazione del canto dell’usignolo. Per Il Flauto Magico e per l’Andante per Flauto e Orchestra che Mozart scrisse tra il 1779 e il 1780, su commissione e controvoglia, il gioco è davvero fin troppo facile, ma non è così per Carmen. Nell’opera di Bizet si può ascoltare uno dei più grandi soli per flauto dell’intero repertorio, assolo che dice il senso di Carmen, ovvero della fragilità della felicità. Il suono del flauto diventa nell’opera il colore di un’amara libertà, di una leggera e momentanea vittoria sul destino. Fato a cui si cerca ogni giorno con ogni nostra azione, come ben sa Carmen, di sfuggire, inconsapevoli del fatto che proprio queste nostre azioni finiranno con l’avverarlo. D’un sogno invece si parla nello Schiaccianoci. La fiaba è resa dal compositore con immensa fantasia e sapienza. Ciò che sorprende ad ogni ascolto dello Schiaccianoci è l’infinita creatività dell’invenzione e la grande varietà di colori che Tchaikovsky riesce a trarre dall’orchestra; insieme al Valzer dei Fiori e alla danza della Fata Confetto, proprio la Danza dei Flauti è una delle pagine più celebri. Queste parole vengono cantante dopo il Solo del flauto dell’Italiana in Algeri di Rossini: Per lui che adoro Ch’è il mio tesoro, Più bella rendimi, Madre d’amor. Tu sai se l’amo, Piacergli io bramo.. Eppure non solo d’amore e vezzosi accenti vive il flauto nel repertorio colto. Spesso i compositori hanno ritrovato nel dolce soffio del flauto armonie oscure e tormentate fino al gelo e alla disperazione. Verdi nel Nabucco ad esempio unisce flauto e violoncello per spiegare timbricamente quel sentimento di disperata allucinazione che viene intonato da un Nabucco in ginocchio, sarà così un suono mistico e allo stesso tempo terreno a dire prima delle parole ciò che accadrà, con un suono umano e divino insieme. Dal mito ai riti più antichi, dalla musica popolare al barocco, dal classicismo fino ai romantici per poi essere uno dei protagonisti della modernità con Prokofiev, Stravinsky e Messiaen fino a Berio e Boulez e oltre, il flauto non abbandona mai il cammino musicale degli uomini. Forse solo Pasolini, nel suo Edipo Re, è riuscito ad illustrare compiutamente e con grandissima forza poetica il mistero ricco di umanità che si ascolta nel puro timbro del flauto. Il regista farà del suono di questo strumento uno dei cardini del film. Sarà proprio il profeta Tiresia, cieco che vede tutto, a dire attraverso il flauto “ciò che è al di là del destino”. Con le parole di Pasolini: Ed ecco che, in quei luoghi, assurdo, comincia a errare per l’aria il suono di un flauto. Edipo guarda negli occhi il ragazzo che lo guarda, e sa, ma tace. Camminano ancora, ora come guidati da quel suono. Non c’è che il sole. Ma, accucciato tra due cespugli selvaggi ecco un uomo. Un vecchio uomo, grasso, pesante, segnato dalla vecchiezza su un viso restato infante. Ma le pupille non seguono il suono doloroso, funebre e severo del flauto… ..I due sono uno di fronte all’altro: Edipo coi suoi occhi di ragazzo, Tiresia coi suoi occhi di cieco. Tutto quello che hanno da dirsi, non è che un lungo silenzio. Poi Tiresia ricomincia a suonare. Le note del flauto risuonano alte e pure: il loro dolore è il dolore del mondo. Alle prime note del flauto che ricomincia a suonare, gli occhi di Edipo si riempiono di lacrime..
Sergio Casesi