69ª Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 12 dicembre 2013
Ore: 14:00*
giovedì 12 dicembre 2013
Ore: 21:00
sabato 14 dicembre 2013
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Serie Red Planet 

Mendelssohn Sogno di una note di mezza estate, ouverture
Mendelssohn Concerto per violino e pianoforte
Mozart Sinfonia n. 38 (Praga)

Biglietteria

BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50

Ridotti
(Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50

Il Cast

Direttore Daniele Rustioni
Violino Francesca Dego
Pianoforte Francesca Leonardi
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Mendelssohn – Sogno Di Una Notte Di Mezza Estate, Ouverture

Di Edgar Vallora

La Storia
Commedia in cinque atti (mista di prosa e versi) di William Shakespeare, scritta alla fine del ’500 e rappresentata nella stessa epoca. Difficile rintracciare le fonti, le più disparate: dalla “Scoperta della stregoneria” di Reginald Scot, alle suggestioni dell’”Asino d’oro” di Apuleio; e ancora da Chaucer a Plutarco ecc.

La trama è complessa – la tipica “complessità” delle trame amorose. Storia stra-classica, coppie stra-classiche. In breve: Ermia rifiuta di sposare Demetrio (ovviamente) impostole dal padre, in quanto pazza di Leandro; mentre Demetrio è amato dall’amica di lei, Elena. Quattro giorni di tempo per obbedire ai voleri paterni, e poi la morte di Ermia.

Geniale è il capovolgimento della scena: Ermia e Lisandro abbandonano Atene e si rifugiano in un bosco. Anzi: tutti e quattro i personaggi si fronteggiano nella foresta, e (ovviamente) in una foresta resa cieca dalla notte. Qui Oberon e Titania, re e regina delle fate, chiedono al folletto Puck, “simbolo della capricciosità dell’amore”, di procurare un “succo” magico che dovrà farà invaghire Titania del primo essere che vedrà al suo risveglio.

Nella notte, giochi di ombre e scambi di filtri: un filtro finisce a Lisandro, un altro a Demetrio con (devastante) collettivo amore per Ermia. Mentre Titania, al risveglio, vede il tessitore Bottom (travestito da asino per un dramma campestre) e se ne invaghisce, come non bastasse….

Puck, (ovviamente) smarrito, sparge nebbia sugli amanti e permette riappacificazioni. L’erba magica fa fiorire gli amori di prima: i “fuggitivi” perdonati, le coppie convolano a nozze.

Il Clima
I fili diversi e così attorcigliati del dramma – le nozze di Teseo e di Ippolita, la lite di Oberon e Titania, la fuga dei quattro amanti, le scene del bosco, la recita degli artigiani – si intrecciano grazie al genio di Shakesperare nel modo più naturale e ammaliante, in un sontuoso mantello dai colori smaglianti, eppur-tenebrosi, sullo sfondo di una surreale foresta. Geniale: che il mondo classico e quello fiabesco si fondano come in un “trionfo” del tardo Rinascimento.

All’irreale leggerezza del mondo degli elfi si accorda la vicenda umana; ed anche i moti, le passioni, i furori degli amanti sembrano svolgersi secondo arabeschi metafisici: s’avviluppano in assurdi nodi e si dissipano d’incanto, come in una danza elegante e contorta allo stesso tempo, proprio perché governata dalla capricciosità dell’amore.

Rarissimo: il cosmo fantastico delle allegorie rinascimentali e il mondo terrestre-amoroso dei romanzi cavallereschi – “con le fontane che accendono e ghiacciano l’amore” – trovano qui, grazie a Shakespeare, la loro più levigata, naturale, perfetta, poetica espressione.

Gli Ammiratori
Innumerevoli gli “stregati” da questa saga folle: da Alexander Pope a Martin Wieland (traduttore della commedia nei primi anni dell’800); da William Blake, in campo pittorico (suo è l’”Oberon e Titania” che riposa al British Museum), nonché un’infinità di pittori romantici.

Innumerevoli i musicisti caduti nella trappola del “Sogno”: non si può dimenticare “La Regina delle fate” di Henry Purcell; non va trascurato l’“Oberon” di Carl Maria von Weber. Per finire, dopo i tanti “amanti del genere”, con il celebre, ortogonale Bernhard Paumgartner, il quale lasciò alla storia – perfino lui – un “Sogno di una notte d’estate”.

L’opera di Mendelssohn
Degne del capolavoro di Shakespeare sono, senza retorica, le musiche di scena composte da Félix Mendelssohn Bartholdy, solitamente eseguite come pezzi da concerto.

L’Ouverture fu composta nel 1826; le altri parti nel 1843. In tutto si contempla, oltre all’Ouverture, uno Scherzo (che precede il secondo atto); un Intermezzo (tra secondo e terzo atto); un Notturno (tra terzo e quarto atto), la stra-collaudata Marcia nuziale; nonché alcuni altri pezzi di minore importanza, sinfonici o cantati: lievi duetti di elfi, cori di fate, festoni di note, catene di accordi.

La data di composizione dell’Ouverture mostra la singolare precocità del compositore (di soli diciassette anni!), il quale crea, con questa pagina, uno dei suoi capolavori assoluti e una delle opere più composite e “senza macchia” dell’intero Ottocento musicale tedesco.

E quando scriverà, dopo diciassette anni, le altri parti del “Sogno” non sarà possibile rintracciare in tali “aggiunte” la minima discordanza di stile o di alternativo approfondimento.

La miracolosa-inafferrabile levità della poesia shakespeariana, la sua dolcezza aerea e arguta insieme, si trasferiscono in queste pagine mendelssohniane senza che nulla del loro incanto primario si appanni; forse sublimandoli vieppiù, rendendo la parte letteraria ancor più metafisica e trasparente. Se si esclude la Marcia nuziale, all’alzarsi del sipario sul quinto atto, suggella col suo fastoso corteggio di suoni le feste nuziali del palazzo di Teseo, anche ogni altra pagina del “Sogno” è “musica d’aria”: ora silente ed immota sotto le occhiate delle stelle e della luna, ora fremente dei sussurri di elfi e di fate. E’ veramente una “infinita-notturna pace” che a tratti vibra dei mille brividi del bosco – sussurri di foglie, balbettii di fiori, contorcimenti degli steli d’erba. Nello Scherzo si affaccia un crepitio di suoni, ma espresso con leggerezza ancor più insolita, con trasparenza ancor più cristallina. Così nell’Intermezzo, unica pagina “amorosa” del “Sogno” (là dove Ermia erra alla ricerca dell’amato Lisandro) non è un cuore di donna a palpitare con abnorme umanità, ma il vegetale animo di una fata che insegue metafisicamente un amore-elfo.

Nel Notturno troviamo ancora l’immobilità che richiama i primi accordi dell’Ouverture, e si amplifica fino a divenire “inno alla pace sovrumana della notte lunare”. Nessun altro musicista ha saputo trasfigurare in suoni quel sentimento immoto e pacifico della notte di buio/luna, che è uno dei motivi eterni della poesia tedesca: pensiamo solo alle notti di Rilke e di Eichendorff…

Un solo commento
“Shakespeare, con questa opera unica, ci regala mele d’oro racchiuse entro bucce d’argento: noi, attraverso lo studio, riusciamo a riprodurre, forse, le sue bucce d’argento; ma dentro non ci sono che… patate! Ecco il guaio!” (W. Goethe)

Sogno di una notte di mezza estate
Canzone con coro

Voi serpenti chiazzati, con lingua biforcuta,
voi ricci spinosi, restate nell’ombra;
lucertole e ramarri, non avvicinatevi
strisciando, alla nostra regina.
Via di qua!
Usignolo, canta con noi
Questa dolce melodia.
Mai nessun dolore, incanto
O maleficio tocchi la nostra bella signora.
Buonanotte, dunque, con questa canzone.
Allontanatevi, ragni tessitori,
Via filatori dalle lunghe gambe!
Neri scarafaggi, non osate avvicinarvi,
e così pure voi, vermi e lumache.
Via di qua!
Usignolo, canta con noi
Questa dolce melodia.
Mai nessun dolore, incanto
O maleficio tocchi la nostra bella signora.
Buonanotte, dunque, con questa canzone.
Via di qua! Così va bene:
una, in disparte, resti di guardia.

Mendelssohn– Concerto per Violino, Pianoforte E Orchestra D’Archi
Alle proprie composizioni giovanili Mendelssohn guardò, da adulto, con severo (e forse logico) distacco; al punto di non inserirle nemmeno nell’edizione delle sue opere. Atteggiamento questo che punisce ad esempio i primi due Concerti per violino e orchestra (non stiamo alludendo al “grande” Op.64) e del Doppio per violino, pianoforte e archi, rimasti infatti alla stato di manoscritto fino al secondo dopoguerra e pubblicati solo pochi decenni or sono. Si trattava, sicuramente, di opere finalizzate al “prender la mano” (compositivamente parlando), ma comunque destinate, sul piano pratico, a quegli intrattenimenti musicali domenicali (le famose Sonntagmusiken) in voga ai tempi. Se pur trattasi di prepotenti affermazioni della precocità musicale dell’autore, ovviamente non troviamo i segni dello stile maturo mendelssohniano: opere comunque interessanti per scoprire le ascendenze, le tracce, le influenze che ebbero peso nella sua formazione, la sintesi che egli faceva dei modelli proposti dall’ultimo maestro, Carl Friedrich Zelter.

(Antefatto. All’inizio del 1822, Goethe, amico di famiglia, aveva inviato un biglietto a Felix, biglietto che terminava con le seguenti parole: “Ci auguriamo costantemente che ti riavvicini a noi e che componga vivacemente”. Così, nel settembre 1822, la famiglia Mendelssohn, al ritorno da un viaggio in Svizzera, si ferma a Weimar. Proprio negli stessi mesi, il maestro Zelter dichiarava, a proposito di progressi del piccolo allievo: “Penso che, oltreché compositore, Felix possa diventare un gran violinista”). Evidentemente influenzato da questo sprone, Mendelssohn – quattordici anni appena compiuti – stava dedicandosi a partiture per violino e orchestra: tra queste a quel curioso Doppio, il Concerto per violino e pianoforte in programma questa sera, il cui manoscritto reca la data precisa del 6 maggio 1823 (posteriore di un anno rispetto ai due “piccoli” Concerti per violino). Lo spessore della parte violinistica (più ancora di quella del pianoforte) testimonia indubbi salti di qualità, notevoli progressi nel dominio della tecnica di tale strumento.

È vero che, nell’impianto generale, l’autore ricorre più o meno involontariamente a modelli del passato: non mancano le influenze “di scuola” ma affiorano comunque modelli più contemporanei (vedasi l’impostazione del concerto Biedermaier): se la funzione dell’orchestra d’archi è relativamente accessoria (sempre brevi gli interventi di raccordo), la concezione formale delle parti solistiche è già mendelssohnianamente rapsodica e pertanto di sicuro potere innovativo. Non ci si lasci – a tal proposito – fuorviare dall’introduzione orchestrale dell’Allegro d’apertura, che ricalca un impianto classico-tradizionale (con la sensazione di “un qualcosa di già ascoltato”); non appena il pianoforte “agguanta” la tastiera, seguìto dal piglio pre-paganiniano del violino, ci si rende conto delle frecce che il genio precoce era già in grado di avere al suo arco.

Il lavoro tematico è serio e serrato, ma quel che maggiormente colpisce è il vulcano di fantasia e di estro (al limite dell’esuberanza caleidoscopica di idee, non priva di qualche intemperanza propria dell’adolescenza). I due solisti sposano una scrittura marcatamente brillante (anche se con una tecnica giudicata “non trascendentale”; e soprattutto per quanto riguarda il pianoforte, piuttosto “antiquata”), sempre improntata ad una filosofia di collaborazione piuttosto che di antagonismo.

Indimenticabili due inserti, all’interno di uno sviluppo considerato “insolito” da tutta la critica: un dolce in re bemolle maggiore, tema lirico dalle tinte schubertiane; e una sorta di recitativo andante, nel quale il violino diviene protagonista assoluto.

Segue un Andante, insolitamente esteso, snodato in tre strofe (la seconda delle quali in minore), che dopo un lungo ricorrere-rincorrere, alla fine si spegne come una candela. Atmosfera generale indubbiamente mozartiana, basata su una limpida cantabilità dei due solisti, con volute incursioni nel mondo belcantistico. Ma anche in questo intermezzo alcuni “scarti” romantici lasciano intravedere gli sviluppi del futuro Mendelssohn adulto.

A chiudere il Concerto è un Finale di sapore “zingaresco”, improntato a una brillantezza smagliante e compiaciuta, che offre grande spazio al virtuosismo degli interpreti; segno tangibile della volontà del giovanissimo compositore quattordicenne nell’emancipazione da modelli superati. Anche in quest’ultimo movimento non mancano parentesi di struggente dolcezza: come quando, dopo lo sviluppo, fiorisce un tema secondario che sembra “bloccare il tutto nell’incanto”; mentre invece la coda risuona fortissimo, e il Concerto chiude abbandonando perfino la tonalità minore di base.

Non si hanno notizie sulle prime esecuzioni del Concerto.

Mozart – Sinfonia N. 38, “Praga”
Il 1786 – Anno della creazione delle «Nozze di Figaro» K 492 – Coincide con l’inizio della crisi spirituale di Mozart: dopo il primo caloroso applauso alle «Nozze», Vienna aveva tradito la vocalità sofferta e ragionata del melodramma mozartiano barattando il geniale «Figaro» con buffoneschi «dottori e farmacisti» (dal titolo di un’opera di Dittersdorf), mentre, nell’ambito concertistico, il pubblico iniziava a disertare irreversibilmente le Accademie di Mozart.

Fra l’amarezza e il disorientamento crescenti, suonò dunque rincuorante l’invito che Mozart ricevette da Praga a conoscere «dal vivo» il successo delle «Nozze»; così, all’inizio di dicembre, in previsione del viaggio Mozart attese alla creazione di una grande pagina sinfonica da dedicare – come suggerisce lo stesso tittolo – all’intelligente e colta città consolatrice. Accompagnato da Costanze, da alcunio amici (il violinista F. Hofer e il clarinettista A. Stadler), dalla servitù e dalla partitura completata, Mozart giunse a Praga l’11 gennaio: il 17 assistette alla rappresentazione dell’Opera, mentre nell’Accademia del 19 gennaio al Teatro di Praga presentò ai cittadini, con indescrivibile successo, la nuova Sinfonia.

Considerato universalmente un chiaro esempio di sinfonia viennese nonostante il consapevole sguardo verso l’antica matrice operistica italiana, il K 504 si presenta come opera di straordinario rilievo musicale nella quale confluiscono l’arte, la fantasia, la disciplina delle pagine precedenti. La tonalità e la strumentazione sono all’altezza delle occasioni importanti; la prodigalità delle idee nulla toglie all’elaborazione, alla scrittura musicale, alla sperimentazione. Ma il tratto più caratteristico, verosimilmente favorito dalla contiguità spirituale con le «Nozze», è la concordanza di tutti e i tre tempi con il mondo dell’opera teatrale: l’Allegro iniziale apertamente richiama l’antica sinfonia-ouverture, il celestiale Andante sembra fiorire da una romanza, il gioioso Finale riecheggia i grandiosi concerti vocali.

Curiosità
Niemtschek, nella sua biografia su Mozart, dedica una pagina alla cronaca del trionfo del 19 gennaio 1787: «Mai prima di allora si era visto il teatro così gremito di gente, mai un’estasi così potente e unanime come quella risvegliata dal suo suono divino. Non sappiamo in effetti ciò che si deve ammirare di più: se la sua straordinaria composizione o il suo modo eccezionale di suonare». Mentre un altro contemporaneo (anonimo) lasciò questo ricordo: «Alla fine del concerto, Mozart improvvisò al piano per una buona mezz’ora (…) Quando si ripresentò per la terza volta (…), nel silenzio assoluto della sala una voce gridò: “Figaro!”. Mozart attaccò allora il tema dell’Aria “Non più andrai”, e improvvisò una dozzina di straordinarie variazioni che terminarono in un uragano di applausi».