Le date
Mendelssohn, Le Ebridi op. 26
Beethoven, Concerto per pianoforte e orchestra n. 1, op. 15 – Concerto per pianoforte e orchestra n. 2, op. 19
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla 30): € 19,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla 40): € 13,50 + prevendita
Balconata: € 10,50 + prevendita
Ridotti (Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Ass. Culturali, Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50 + prevendita
Balconata € 8,50 + prevendita
CARNET LIBERI DI SCEGLIERE:
da oggi sei libero di abbonarti a 6, 8 o 10 concerti della Stagione scegliendo in base alle tue preferenze e alle tue disponibilità senza dover rinunciare al vantaggio economico dell’abbonamento (i carnet costano da €. 56,40 a €. 163,00 a seconda del numero di concerti selezionati)
Per informazioni e prenotazioni:
promozione@ipomeriggi.it 02/87905267
Il Cast
Direttore e Pianoforte: Alexander Lonquich
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
In confidenza di Lorenzo Arruga
Mendelssohn era giovane, ricco, bello nel volto ebraico a tratti marcati, e occhi che guardano lontano. Si chiamava Felice e veramente felice sembrava. Anche nella sua musica. Non che escludesse l’impeto drammatico o le struggengti malinconie. Era un romantico, e il grande Robert Schumann l’aveva capito da ragazzo nel primo suo manifestare segni di genio, come Brahms e Chopin. Ma era come se Dio gli avesse garantito che la musica può dare sempre il sapore della gioia e della dolcezza.
Era precoce, fino all’incredibile. A diciassette anni aveva già scritto l’Ouverture per il Sogno d’una notte di mezz’estate di Shakespeare, in cui sembra conoscere l’orchestra e Shakespeare da una vita, accendendo inquietudini, bagliori, stupefazioni che ci portano alla meravigliosa commedia già immersi nella bellezza e nell’attesa. Era della stirpe rarissima di quelli che Giulio Confalonieri chiamava angeli della musica mandati nel mondo, che sembrano già ragazzini avere ricevuto la rivelazione delle verità più toccanti, come Pergolesi, Mozart, Schubert, destinati tutti a morire giovani, all’età in cui oggi generalmente si comincia.
Dei romantici aveva la felicità del canto e l’immersione nella natura.
Della tradizione classica il piacere dell’ordine nelle strutture e il culto della bellezza. Di suo l’indefinibile capacità di investire i sentimenti e le contraddizioni con la gioia della musica che si schiude e si rivela come se il mondo ricominciasse da capo, nuovo e migliore.
Le grotte di Fingal, grotta di mare su un’isola delle Ebridi, con le sue colonne esagonali in roccia che sembrano un portale a qualche vasta meraviglia invitante e inaccessibile, con gli scrosci d’acqua, gli echi di cavità irraggiungibili e la risacca del mare, parevano fatte apposta per ispirarlo, quando a vent’anni viaggiò fino in Scozia; e nel 1830 infatti le evocò nella famosa partitura che stiamo per ascoltare. Che però resta felicemente un fatto puramente musicale, come la Sinfonia Pastorale di Beethoven o La mer di Debussy, che non hanno bisogno di immagini, programmi e didascalie. Si apre con un mormorio d’archi che poi diventerà clamore di tutti gli strumenti, e che a tratti sboccia in un tema di quelli come avete sentito nel secondo tempo del suo Concerto per violino in mi minore, che ascendono infallibili a una vetta purificante ed anche goduriosa; e poi ci si rituffa nel mare che è in ciascuno di noi.
Oggi Mendelssohn è molto considerato e molto amato. Ma forse lo sarebbe di più se non avessimo covato troppo a lungo in noi il mito ottocentesco della sola sofferenza per meritare la felicità e quello apre dell’arrovellarsi con la mente per capire la bellezza.
Qualche volta fra amici, musicofili. con fatuo accanimento, si conducono conversazioni che toccano cose tanto più grandi. Una è sul tema “A quale evento avresti voluto più assistere?”. E c’è chi, sadico, vorrebbe aver visto fischiare la “prima” della Norma o della Traviata; chi, romantico, esserci al momento in cui l’organista di Dresda, che aveva conosciuto e udito a lungo Bach, ascoltò tanti dopo Mozart sullo stesso strumento, e gli parve un miracolo e si mise a piangere; altri alla serata in cui Schoenberg, Berg e Webern, per rialzare le finanze del loro gruppo, eseguirono loro trascrizioni di valzer di Strauss… Un fatto, quando vien ricordato, fa gola a tutti: quando, l’8 gennaio 1796, a Vienna, il Secondo Concerto di Beethoven, presentato tre settimane prima, fu riproposto, insieme al prediletto Concerto in re minore K466 di Mozart, con l’autore al pianoforte e Joseph Haydn direttore. Impossibile non ricordare nuovamente l’augurio-profezia del Conte Waldstein a Beethoven che partiva per Vienna,“ ricevere dalle mani di Haydn lo spirito di Mozart”. Era il primo concerto scritto da Beethoven, perché sono numerati non in ordine di composizione, ma di esecuzione in pubblico, ed aveva tutta la devozione e la contentezza di poter seguire il modello di Haydn, lo stile, l’idealismo e la felicità di Mozart. Probabilmente se fossimo davvero stati presenti in quella ora mitica circostanza non ci saremmo accorti, però, di che cosa assolutamente nuova stava nascendo e qui trapela. Certo, se non si va sui dati tecnici o strutturali è difficile definire quello che sentiamo in proposito, che poi può variare molto se in una prestigiosa Guida alla musica da camera François-René Tranchefort lo definisce “esitante” e Giovanni Carli Ballola nel suo Beethoven “baldanzoso”. Piero Rattalino, comunque nei suoi libri sul pianoforte spiega come si manifestino dati nuovi emergenti, quali un dominio del virtuosismo rischioso, e un tipo di finale, gioioso e un poco pastorale, ma soprattutto “burlesco”, con una concezione tipica che avrebbe poi retto i Finali anche degli ultimi tre concerti per pianoforte.
Beethoven ne compose 5. Mozart 27. Non è scelta di congenialità, non è questione di bravura: per Mozart comporre concerti significava rispondere alle esigenze di lavoro, non solo guadagnare come autore e come pianista, ma anche compiere un gesto naturale di intrattenimento; che poi altri intrattenessero sulle carinerie della moda e lui sulle meraviglie dell’Infinito è un’altra questione. Per Beethoven era mettere in gioco se stesso, nel senso che adesso diamo a queste parole, la necessità di apparire in tutta la sua personalità, integro, forte, con la volontà di meditare, scatenarsi, confortare. Per Mozart il rapporto fra pianista e orchestra era di collaborazione, di gioco, anche se il gioco poteva portare ai confini delle scoperte più emozionanti e ad arditi contrasti. Per Beethoven, una sfida, una lotta, alla ricerca d’una verità che potesse portare gioia, grandezza e pace. Per questo chiedeva di esprimere ogni volta qualcosa di completo, di definito e definitivo, carico della fatica d’un lungo autoapprendimento e d’un faticoso sacrificio.
Nelle galanterie disinvolte ed affettuose, nelle allegrie, nelle furie impazienti dei tempi veloci nel rapido passarsi il tema e nello stupirsi a vicenda, modulando con ardimenti fuori dalle abitudini, non potete sentire l’eleganza del bidermeier, il tutto a posto ipocrita o virtuoso d’una società amabile ed amante della distrazione; ma l’aura di giovinezza fiduciosa e trepida, allegra negli slanci e attenta alla ritualità della concordia. E negli adagi, l’intima confidenza, il canto d’anima, mozartiano nel sostenersi con corale innocenza delle parti e inconfondibilmente beethoveniano nell’accorata densità d’un appello , che nelle ultime battute va svanendo, quasi dovesse svelare qualche verità ineffabile, e ripiega nel silenzio d’una parola non detta.
Aneddoti
Fanny
La sorella di Felix , poco più di tre anni maggiore, pianista e compositrice di rilievo, era simile a lui nella cultura, negli ideali, nella formazione culturale e morale e negli agi della prestigiosa famiglia ebraica, in cui il nonno era il filosofo Moses Mendelssohn. I due erano legatissimi, e lei, pudica e a modo, non s’accorgeva dell’eccesso dei suoi sentimenti, scriveva “sto davanti al tuo ritratto, ogni cinque minuti lo bacio, immagino il tuo futuro… ti amo, ti adoro…”. Felix era più fermo e anche insofferente di tanto entusiasmo affettivo, ma la loro confidenza era piena; quando Felix compose l’ouverture del Sogno d’una notte di mezza estate lei fu la prima partecipe; quando lei sposò il pittore Hensel cui era fidanzata felicemente, confessò al fratello che piangeva sempre e sempre tenendo il suo ritratto vicino, pur pensando di non fare offesa con questo al marito. Anche Felix si sposò, visse in concordia ed ebbe cinque figli. Man mano che passava il tempo, Fanny si equilibrò anche nelle forme di espressione, il loro grande affetto viveva intenso e fraternamente fedele. Quando ella morì, giovane, nel 1847, il fratello fu colpito da depressione; e anch’egli dopo sei mesi. morì.
Natura
L’amore di Mendelssohn per la natura si manifestava con un grande senso di pace e di sollievo in campagna. In una vacanza con la famiglia e gli amici presso Francoforte, con la moglie Cécile e i bambini, pochi anni prima della morte immatura, confessava in una lettera: “Niente frac, niente pianoforte, niente biglietti da visita né carrozza e cavalli, ma sugli asini, con i fiori da campo e la carta da musica, con l’album da disegno e con Cécile e i bambini, sto bene due volte tanto”.
Bach? Bah.
Nel 1844, a Londra, Mendelssohn, che era eccellente e famoso anche come direttore, presentò un programma già dall’organizzazione stabilito, di gran peso e lunghezza, con partiture di Mozart, Rossini, Beethoven, Méhul, Kummer, Bach, Haydn, Adam, Molique, e Schubert . La critica approvò tutto, ma stroncò Bach, definito “insopportabile”.
Beethoven buongustaio
Asceta, sì, nello spirito, nell’affrontare con fermezza la vita, Beethoven però amava i piaceri della tavola e amava i buoni vini. Poco prima di morire, ne fece una richiesta da intenditore: voleva avere del Picolit, il bianco prelibato di pochi vigneti friulani.
Due lettere famose di Beethoven
Dal testamento di Heiligenstadt
O uomini, che mi pensate e definite pieno d’astio, scontroso e persino misantropo, come voi siete ingiusti! Non conoscete la causa segreta che mi fa sembrare così. Fin da piccolo, il mio cuore, il mio animo erano votati al tenero sentimento del voler bene. Son stato sempre pronto ad azioni generose. Ma da sei anni – pensate – sono colpito da un male incurabile, che medici incapaci han peggiorato. Illuso, anno dopo anno, dalla speranza di migliorare (…) sono stato obbligato ad isolarmi, a vivere in solitudine. (…) Non riuscivo a dire alla gente: “Parlate più forte, anzi gridate, sono sordo!”
L’Immortale Amata
Anche da letto i miei pensieri volano a te, mia immortale amata, nell’attesa di sapere se il destino esaudirà i nostri voti. Posso vivere soltanto e unicamente con te, oppure non vivere più. Sì, andrò vagando lontano da te, ho deciso, fin quando non potrò buttarmi fra le tue braccia e dire che il mio posto è solo con te; fin quando la mia anima non potrà volare, stratte alla tua, ne regni dello spirito. Ahimé, deve accadere così. Tu stai tranquilla, perché sai come ti sia fedele. Nessuna donna mai, mai, potrà possedere il mio cuore. Oh Dio, perché bisogna essere lontani da chi si ama tanto? La mia vita a Vienna per ora è una vita infelice. Il tuo amore mi rende il più felice e il più infelice degli uomini. (…) Ludwig
Eternamente tuo, eternamente mia, eternamente nostri.
Perché Lonquich: inutile spiegarlo, perché basta che posi le mani sulla tastiera che il suo tocco sia una benedizione. Il resto è intelligenza, passione, musica.
Glossario
BIEDERMEIER: con Biedermeier dagli inizi del Novecento si indica la caratterizzazione di un periodo storico tra il 1815 e il 1848 (cioè dal Congresso di Vienna alla Rivoluzione Francese) in Germania. Biedermeier in realtà è il nome di un personaggio fittizio inventato dalla penna di due svedesi, per rappresentare il tipico piccolo-borghese, interessato solo alla sua realtà famigliare, conservatore e apolitico. È una parola composta: bieder significa semplice (per meglio dire “sempliciotto”) e Meier è un tipico cognome tedesco; il nome venne così a rappresentare il tedesco medio del primo Ottocento. Il regno del biedermeier è la casa, che vive come luogo ideale dove poter svolgere le attività che contraddistinguono il suo gusto: leggere un libro, sostenere una conversazione, osservare l’arredamento nel tipico stile del periodo, ascoltare la musica, per cui nutre una forte passione: possiamo figurarci tranquillamente Biedermeier mentre suona il pianoforte – che sta ormai sostituendo la tipica spinetta – e canta lieder di Schumann o di Beethoven.
FORTEPIANO: strumento considerato come principale precursore del moderno pianoforte. Anche il fortepiano è un cordofono a corde percosse da martelletti; il suo nome lo deve alla peculiare caratteristica di dare la possibilità all’esecutore di pesare la pressione del tasto: com’è facile immaginare questo aprì una serie di possibilità sonore e espressive completamente nuove, che fecero sì che durante seconda metà del Settecento il fortepiano sostituì il tradizionale clavicembalo – e con lui virginale e spinetta, anch’essi strumenti a corde pizzicate –.
Il fortepiano venne inventato attorno al 1700 dal fiorentino Bartolomeo Cristofori, in servizio presso la famiglia Medici, ma dovette attendere per circa cinquant’anni per diffondersi e diventare poi il prediletto dei grandi nomi della musica della seconda metà del Settecento, tra cui Haydn, Mozart e Beethoven.
Nell’Ottocento vi si apportarono alcune modifiche tecniche – ad esempio vennero rivestiti i martelletti con il feltro anziché con la pelle – e, con una naturale evoluzione si arrivò a quello che ora chiamiamo comunemente pianoforte.