Le date
Franz Joseph Haydn
Il mondo della luna, ouverture
Felix Mendelssohn-Bartholdy
Concerto per violino e orchestra, op.64
Allegro molto appassionato; Andante; Allegretto non troppo – Allegro molto vivace
Sinfonia n.4, “Italiana”, op. 90
Allegro vivace; Andante con moto; Con moto moderato; Saltarello. Presto
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla 30): € 19,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla 40): € 13,50 + prevendita
Balconata: € 10,50 + prevendita
Ridotti (Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Ass. Culturali, Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50 + prevendita
Balconata € 8,50 + prevendita
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Il Cast
Direttore: Ottavio Dantone
Violino: Viktoria Mullova
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
Di matrimoni, fantasie e viaggi
saggio di Claudia Ferrari
È il 1777, l’occasione è quella di un matrimonio, lo sposo è il secondogenito di una grande famiglia, quella degli Esterházy. Il Maestro di cappella in questa corte era Joseph Haydn (Rohrau, 1742 – Vienna, 1809) e l’ouverture che ascolteremo stasera è tratta dall’opera Mondo della luna, prima composizione originale a essere eseguita nella nuova stagione organica di Észterhàza, iniziata l’anno precedente. L’opera a cui prelude questo pezzo è un dramma giocoso su libretto di Goldoni, già musicata da Galuppi nel 1750 ; Haydn impiega un’orchestra di notevole entità, in cui mancano però i clarinetti perché non disponibili alla corte. La sinfonia che apre l’opera sarà poi rielaborata dallo stesso Haydn per il primo tempo della Sinfonia n. 63 “La Roxelane”.
L’imponenza fonica trova nell’ouverture Il mondo della Luna l’apice della sua espressione: in un singolo movimento siamo coinvolti in passaggi in cui i chiaroscuri dei suoni conducono – con crescendo ricchi di pathos e energia – ad autentiche esplosioni sonore di un tutti orchestrale sempre ben calibrato.
Nel caso del Concerto per violino e orchestra, op. 64 di Felix Mendelssohn-Bartholdy (Amburgo, 1809 – Lipsia, 1847), pare che il dedicatario, il violinista e caro amico del compositore Ferdinand David, abbia addirittura collaborato attivamente dando svariati consigli alla stesura dell’opera, durata dal 1838 al 1844. La prima, diretta da Mendelssohn stesso con David protagonista, ebbe luogo a Lipsia, il 13 marzo 1845. Mendelssohn in questa composizione incarna in pieno l’ideale di romanticismo musicale, con radici ben salde nella chiarezza della forma e della costruzione. Nel primo movimento (Allegro molto appassionato), seguito da altri due senza soluzione di continuità, il violino solista propone un tema indimenticabile, che l’orchestra sorregge e al quale poi risponde, creando con mezzi armonici di fatto semplici un’atmosfera travolgente, che riesce a stupire l’ascoltatore specie nei virtuosismi del solista. Le battute che concludono il primo tempo e portano all’andante ricordano lo stile beethoveniano, quasi un sipario di un rosso intenso che si chiude per riaprirsi immediatamente su una nuova scenografia, quella dell’Andante, in tonalità maggiore. Il lirismo commosso si apre in temi intimi e densi di sentimento, in cui è possibile apprezzare la grande abilità del solista, specie nella parte centrale di questo secondo movimento.
La Sinfonia Italiana, la quarta sinfonia firmata Mendelssohn, porta nella sua storia una grande verità, cioè che il tempo non conduce necessariamente alla saggezza. Siamo di nuovo a Londra, è il 1833 e l’autore dirige la prima di quest’opera alla Società Filarmonica: è subito un grande successo di pubblico, come avrebbe potuto essere altrimenti? Una composizione perfettamente equilibrata ma mai banale, ricca di spunti e brillante nei temi. Tutto chiaro, direte voi (e sono sicura che alla fine del concerto comprenderete bene le reazioni positive del pubblico di due secoli fa!), ma non è stato così per i critici: si sa che nacquero vivaci discussioni sulle questioni relative alla classificazione della sinfonia. “Appartiene al classicismo o è una composizione romantica?” così si davano il tormento, e ponendo l’attenzione su una questione futile come questa perdevano di vista ciò che di importante avevano sotto mano: la musica. Dalla prima metà dell’Ottocento spesso si è assistito a discussioni di questo tipo, artificiose e lontane dall’essenza delle composizioni; così non cadremo ora in questo inganno. La Sinfonia Italiana si chiama in questo modo perché Mendelssohn ne iniziò la stesura durante un lungo viaggio nel nostro Paese, del quale visitò diverse città, dal nord al sud, restandone incantato. L’atmosfera entusiasta del viaggio lo porta a descrivere in alcune lettere questa composizione – allora ancora in fase embrionale – come una delle più gaie mai scritte. Terminò il lavoro due anni dopo il ritorno dal viaggio, dopo molte revisioni, proponendo al pubblico una composizione in quattro movimenti (Allegro vivace, Andante con moto, Con moto moderato, Saltarello. Presto) incastonati in una struttura solida, perfettamente equilibrata. I riferimenti all’Italia sono evidenti soprattutto nell’atmosfera animata e brillante all’attacco del primo tempo, il brio del primo tema non è contrapposto – come vorrebbe la norma – a un secondo tema dal carattere differente, ma le seconda parte riverbera e alimenta gli spunti gioiosi dalla prima. Anche il terzo e il quarto movimento si riferiscono in modo particolare all’Italia: il trio nel terzo tempo è una danza che ricorda il minuetto, dalla melodia scorrevole; il Saltarello dell’ultimo movimento conclude la sinfonia in maniera solare, impetuosa e molto coinvolgente. Forse il tema più lontano dall’atmosfera del Bel Paese è il secondo, Andante con moto, sognante e forse addirittura nostalgico. “Classicismo o romanticismo?” non è quindi la domanda da farsi ascoltando questa sinfonia; bisogna solo fare attenzione al genio compositivo di Mendelssohn che, pur in un’apparente semplicità che rende assai piacevole l’opera, non lascia nulla al caso: riferimenti al viaggio in Italia presenti ma non eccessivi e sempre inseriti in maniera precisa nella solida forma, temi brillanti e trascinanti perfettamente curati e sviluppati nei contorni chiari di una notevole raffinatezza costruttiva.
Pilucchi
Joseph e Felix Potrebbero sembrare, solo dai nomi, protagonisti di una serie di avventure per bambini. I protagonisti buoni di una storia ambientata tra le maggiori città europee.
Haydn (Rohrau, 1742 – Vienna, 1809) è un bambino che da subito dimostra le sue particolari doti per la musica, studia il cembalo e il violino, canta nel coro della cattedrale di Vienna e negli anni lavora intensamente per colmare le proprie mancanze teoriche, sia con Maestri sia da autodidatta, con una costanza ammirevole, anche in periodi di forti ristrettezze economiche. Le sue capacità compositive si fanno più solide e ottiene l’incarico di Maestro di cappella alla corte degli Esterházy, una delle famiglie più ricche e importanti degli stati asburgici. Passa quasi trent’anni al servizio della famiglia, in questo periodo conosce anche il giovane Mozart. Nel 1785 l’orchestra degli Esterházy viene licenziata e Haydn accetta l’offerta economicamente vantaggiosa a Londra e va a dirigere sinfonie in Inghilterra; tornerà a Vienna solo alla fine del secolo, di nuovo a servizio degli Esterházy.
Mendelssohn (Amburgo, 1809 – Lipsia, 1847) nasce in una famiglia aristocratica, trascorre l’infanzia a Berlino dove riceve l’istruzione direttamente dalla famiglia che frequenta gli ambienti intellettuali della città. Ha l’opportunità di viaggiare molto – studia anche a Parigi – e di conoscere figure di spicco della cultura del tempo, come Goethe, e della musica come Rossini, Meyerbeer e Cherubini. A lui va il grande merito di aver avviato la cosiddetta Bach Renaissance, dirigendo una sua revisione della Passione secondo Matteo nel 1829. Da quell’anno viaggia molto, raccogliendo grandi successi come pianista, organista e direttore d’orchestra, in Svizzera, Inghilterra, Francia e Italia. Non smise mai di comporre, diventò nel 1835 direttore del Conservatorio di Lipsia.
Telescopio
Il mondo della luna è un’opera su libretto di Carlo Goldoni. Come si usava allora, lo musicarono in parecchi: Galuppi, per il quale era stato scritto, nel 1750; Paisiello ne compose addirittura due versioni, la prima a Napoli con il titolo Il credulo deluso nel 1774 e la seconda a San Pietroburgo nel 1783.
Joseph Haydn lo mise in musica nel 1777 ad Ezterháza, in Ungheria. La storia racconta d’un impostore che si finge astrologo e che attraverso un finto cannocchiale raggira un cliente illudendolo di essere in grado di mostrargli gli abitanti della luna, una comunità che sembra rispondere al meglio ai pregiudizi e ai vizi del credulone che se ne entusiasma.
In quegli anni il telescopio cominciava a essere un’invenzione fruibile e diffusa. È probabile che un genio come Goldoni volesse garbatamente sbeffeggiare l’attenzione modaiola verso le novità della scienza e della tecnica, un po’ come faranno – alcuni anni dopo – Da Ponte e Mozart a proposito della calamita di Messner nel Così fan tutte.
L’ouverture Il mondo della luna emana il piacere della musica d’un grande compositore. Come sempre nel Settecento, l’ouverture più che anticipare il soggetto dell’opera, tende a sollecitare l’umore adatto per ascoltarla, in questo caso un umore festoso.
L’occasione ci richiama altre condizioni storiche interessanti. Ad esempio che fino a tutto il Settecento l’autore dell’opera fosse considerato ufficialmente quello del libretto, che difatti lo faceva stampare a sue spese, omettendo in genere l’autore della musica, che poteva variare di volta in volta, fino a decine e decine di musicisti, suscitando anche rivalità e gelosie. E ancora, che alla vigilia del Romanticismo era naturale eseguire l’opera buffa in lingua italiana, spesso con compagnie italiane specializzate, come un genere particolare, che ormai si era conquistato importanza e autonomia. Da qui, anche, una cura per l’evidenza delle situazioni da parte degli autori e, per quanto riusciamo a ricostruire, una recitazione di chiarezza mimica, con un’esuberanza comica che generalmente riceveva l’eredità dalla Commedia dell’Arte. Infine, viene da osservare che l’Europa nel Settecento esisteva già come scambio di conoscenze e di culture e mobilità di viaggi: non ancora e non certo con ideali democratici, ma con certe intuizioni che forse potrebbero essere oggi invidiabili.
Viaggio in Italia
Nell’Ottocento r aggiungere l’Italia significava, per le persone colte soprattutto del mondo anglo- germanico, qualcosa di diverso dal fare un viaggio turistico o vivere un’esperienza culturale intensa ma generica. Il viaggio in Italia rappresentava – da oltre un secolo, ormai – un obbligo per gli artisti e l’élite del pensiero e, tanto per i visitatori come per chi ne sentiva solamente parlare, un mito. L’Italia era la gloria di Roma antica, i misteri del Medio Evo feudale, le meraviglie del Rinascimento, la fantasia spericolata del Barocco, gli incantamenti d’eleganza del Settecento; era la natura fosca nei passaggi delle montagne, seduttiva nelle pinete e nei vigneti, nello splendore del mare; e tutto stava vicino, una realtà all’altra. Era il pittoresco dei gesti e delle voci, era brulicare di musica. Era l’affacciarsi alla vita dal balcone della fantasia, come quello di Giulietta a Verona, che Shakespeare non aveva visto mai e che nemmeno era davvero esistito, ma che a furor di popolo era stato individuato perché chi perché chi si trovava in città potesse mettersi lì sotto e sentirsi Romeo. Nell’Ottocento letterati, poeti, musicisti, pittori viaggiarono per la mitica Italia con il loro taccuino per gli appunti .