Le date
Wolfgang Amadeus Mozart
Serenata notturna, K 239
Concerto per pianoforte e orchestra n. 27, K 595
Sinfonia n. 36, “Linz”, K 425
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla 30): € 19,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla 40): € 13,50 + prevendita
Balconata: € 10,50 + prevendita
Ridotti (Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Ass. Culturali, Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50 + prevendita
Balconata € 8,50 + prevendita
CARNET LIBERI DI SCEGLIERE:
da oggi sei libero di abbonarti a 6, 8 o 10 concerti della Stagione scegliendo in base alle tue preferenze e alle tue disponibilità senza dover rinunciare al vantaggio economico dell’abbonamento (i carnet costano da €. 56,40 a €. 163,00 a seconda del numero di concerti selezionati)
Per informazioni e prenotazioni:
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Il Cast
Direttore: Corrado Rovaris
Pianoforte: Benedetto Lupo
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
Saggio
di Lorenzo Arruga
Fra le cose belle del nostro tempo, ce n’è una clamorosa e inaspettata, anche se un po’ segreta: la scoperta di Mozart, non come grande autore del passato, ma come nostro contemporaneo; anzi, dovessimo definirla con le parole giuste, come nostro fratello.
La sua leggenda, prima fanciullo prodigio, prediletto dall’Imperatrice e nelle corti d’Europa, poi concertista, autore d’ogni genere di musica, inventore di opere straordinarie, infine lasciato morire in una Vienna conservatrice e timorosa e disattenta e seppellito in una fossa comune, tutti reali dati storici, dà facilmente una dimensione mitica; ma la sua biografia è piena di piccole cose, contraddizioni, problemi finanziari, patimenti sentimentali, impicci. E la sua musica, da qualunque punto cominci, senza mai metterla giù dura, lieve anzi e cordiale e seducente, diventa presto qualcosa che ha a che fare con la sacra bellezza della verità. Il suo passo è leggero, e ci invita a camminare con lui; e qualche volta finiamo per scoprire che camminiamo sul ciglio degli abissi.
Credevamo che Mozart fosse una specie di angelo incosciente, purissimo, ignaro della vita e dei suoi aspetti più complessi: le sue lettere sono spiritose, spesso anche sboccate; questo ha portato i più moralisti di noi a dubitare che come angelo fosse anche presto decaduto; ma in confronto ai compositori impegnati ufficialmente del nostro tempo, sembrava a tutti un eterno fanciullo. Poi, studiando meglio ed ascoltandolo molto di più, ci siamo accorti che, nella sua brevissima, inquieta, travagliata vita, aveva intuito e sofferto certe grandi scoperte ideologiche e morali che la storia non riusciva ancora ad accettare. Era profondamente tedesco, ma con una grande visione naturale dell’Europa, in cui si sentiva di casa; era cattolico, ma conciliava la sua fede con le convinzioni di una massoneria d’origine alchemica a cui apparteneva. Poteva sprofondare nella scoperta della parte oscura dell’uomo e delle sue debolezze, come nel Così fan tutte e poteva credere alla riconciliazione dell’universo a cui siamo chiamati ad approdare come nel Flauto magico… Breve vita, quella di Mozart, trentacinque anni vertiginosi. Lunga vita, quella di Mozart, dalla sua morte fino a noi.
Da bambino, a quelli che l’ascoltavano e mostravano interesse per la sua musica, diceva: “Mi vuoi bene?”. E una volta, a casa d’una nobildonna parigina, da ragazzo, mentre suonava tutti gli invitati disegnavano; faceva freddo; non ne poteva più: ma quando venne il padrone e si sedette accanto a lui, fu subito ricaricato e si mise a suonare, contento, come sapeva fare solo lui. Per tutta la vita pensava di scrivere soprattutto per gli amici; addirittura, dopo aver presentato il Don Giovanni così difficile e discusso, dichiarò d’averlo scritto solo per sé e per tre amici (Haydn commento: “Per me di sicuro”). E’ proprio Mozart che ci dice come dobbiamo ascoltarlo, e quasi ce lo chiede: come amici. Gli studiosi ed anche i non studiosi hanno spiegato che la lunga riflessione mostra la complessità degli elementi presenti nelle sue partiture, e ogni scoperta porta ad arricchire la nostra comprensione della sua arte e in genere anche il nostro godimento; ma c’è sempre, come punto d’arrivo, un abbandono a lui. Gabriel Fauré, il raffinato compositore francese che conosceva bene come la assoluta limpidezza di Mozart richiedesse una difficile esecuzione, perché “anche l’errore più piccolo risalta come nero su bianco”, raccomandava interpretazioni lineari e senza alcun artificio. La raccomandazione maggiore di un altro grande autore francese, Camille Saint-Saëns, era di “far sentire tutte le note”. Il raffinato mezzosoprano Frederica von Stade prescriveva la semplicità: “Bisogna seguire l’istinto e adeguarsi alla sincerità emotiva che invade ogni sua pagina”. Questo, naturalmente, vale anche per noi. Bisogna prima di tutto ascoltare Mozart come un amico.
Quello di oggi è un concerto ottimista. La serenata notturna K239, scritta ancora nel periodo di vita a Salisburgo, a vent’anni, è una specie di augurio di buon anno, e come tale fu composta ed eseguita nel palazzo della sorella del principe arcivescovo Colloredo, che lo ammirava assai più del fratello; e doveva esserci una regìa di postazioni e degli strumenti, perché risulta scritta per due piccole orchestre, una di archi, l’altra di archi e timpani; mette di buon umore, nella sua affettuosa spontaneità; e fa capire immediatamente a noi, e forse anche a qualcuno ai suoi tempi, che Mozart era nato infallibile nella forma e prediletto dagli dei della melodia.
Il concerto per pianoforte K595, l’ultimo della serie, è una testimonianza commovente di come Mozart fino all’ultimo – siamo nell’anno della morte – anche nelle difficoltà in cui si arrabattava, sia rimasto fedele al proposito di cogliere ogni occasione per attingere alla grandezza. Doveva infatti essere scritta per un pianista di non grandi meriti: non ne conosciamo nemmeno il nome, ma vediamo rispettato il suo livello nelle scarse difficoltà tecniche. E così Mozart rinuncia al virtuosismo, non pone particolari problemi nel rapporto con l’orchestra, ma si porta completamente fuori da ogni concetto di esibizione o di successo, chiedendo agli interpreti scioltezza, fiducia, intimità. Lascia nascere le frasi come dalle dita, quasi fiorissero da sole come nel primo tempo, o le fa arrivare come nella memoria da lontano con echi di canzoni popolari, che prendono all’istante ampiezza e meraviglia, come nell’adagio. Quando lo eseguì Mozart al pianoforte, fu il suo ultimo concerto come interprete. E nella nostra fantasia di amici suoi sembra l’esempio di come si dovrebbe dare l’addio alla vita: come se ci si rivedesse l’indomani.
Per carità, se c’è uno che ha sempre accuratamente evitato, o meglio che ha inevitabilmente o eroicamente o distrattamente cancellato il rapporto fra la situazione biografica e ambientale e la sua musica, è proprio Mozart. Però fa piacere pensare che, quando scrisse, si dice in quattro giorni, la sinfonia K425, Mozart fosse di gran buon umore. Era di ritorno da Salisburgo, dove aveva presentato al padre la giovane Constanze e l’incompiuta grande Messa in do minore, l’una e l’altra con accoglienza inferiore al previsto e l’impressione di una rottura; e con Constanze si era fermato qualche tempo a Linz, dove invece le accoglienze del vecchio e amico conte Thun erano state favolose. La prima cosa che si nota forse in questa partitura è una certa ampiezza del discorso, che fa quasi capire d’essere l’inizio della produzione di grandi sinfonie, che infatti porterà alle ultime viennesi oggi famose e familiari, come la “Sol minore” e la “Jupiter”. Ma insieme si assapora una felicissima libertà. Mozart prende tranquillamente la forma dal maestro Haydn e gioca dentro con tutti i suoi caratteri, senza cercare anche un’affinità nei temi e nelle sensazioni che possono suscitare; introduce un’elasticità nel periodare, una voluttà nel cromatismo inconfondibili. E’ difficile individuare psicologicamente quali stati d’animo possano suscitare; il critico che viene considerato più esperto del mondo di ieri, Abert, vede alternarsi “virile ardore e tranquilla meditazione”. Il più suggestivo tra quelli d’oggi, Solomon, non vede “tracce di ansia e di inquietudine, ma piuttosto allegria sbocciata nel piacere della creazione”.E’ una sinfonia, verrebbe da dire, colloquiale. Forse, paradossalmente parlando, un direttore che non sapesse cantare, potrebbe spiegare le sue intenzioni all’orchestra parlando in note e ritmi i temi, con coerenza.
Su un’ormai introvabile rivistina studentesca francese degli anni Cinquanta, di stampo esistenzialista, la lettera d’uno studente diceva: “Sono andato al solito concerto,
ancora pieno dei nostri pensieri. Era un programma tutto di Mozart. Quando sono uscito, il mondo era rimasto uguale, ma tutto il mio bel pessimismo era stato rovinato”.
Perché Corrado Rovaris §
Tra i primi impegni della sua vita, era clavicembalista ai Pomeriggi Musicali; fra i successivi, direttore nei grandi teatri, ad esempio di opere alla Scala; ora è direttore stabile al Teatro di Philadelphia.
Perché Benedetto Lupo
Interprete che si distingue per limpidezza di suono e chiarezza di idee, è molto amato dagli allievi e dagli ascoltatori.