Le date
FuturOrchestra/I Piccoli Pomeriggi Musicali
direttore Pietro Mianiti
tromba Gabriele Cassone
Musiche di Beethoven, Haydn, Arban, Smetana, Ravel
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla 30): € 19,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla 40): € 13,50 + prevendita
Balconata: € 10,50 + prevendita
Ridotti (Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Ass. Culturali, Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50 + prevendita
Balconata € 8,50 + prevendita
CARNET LIBERI DI SCEGLIERE:
da oggi sei libero di abbonarti a 6, 8 o 10 concerti della Stagione scegliendo in base alle tue preferenze e alle tue disponibilità senza dover rinunciare al vantaggio economico dell’abbonamento (i carnet costano da €. 56,40 a €. 163,00 a seconda del numero di concerti selezionati)
Per informazioni e prenotazioni:
promozione@ipomeriggi.it 02/87905267
Il Cast
Direttore: Pietro Mianiti
Tromba: Gabriele Cassone
FuturOrchestra
I Piccoli Pomeriggi Musicali
Note di sala
Ludwig van Beethoven (Bonn, 16 dicembre 1770 – Vienna, 26 marzo 1827)
Coriolano, ouverture op. 60
Allegro con Brio
Franz Joseph Haydn (Rohrau, 31 marzo 1732 – Vienna, 31 maggio 1809)
Concerto per tromba e orchestra in mi bemolle maggiore
Allegro – Andante – Allegro
Joseph Jean-Baptiste Laurent Arban (Lione, 28 febbraio 1825 – Parigi, 8 aprile 1889)
Il carnevale di Venezia
Allegro con variazioni
Bedřich Smetana (Litomyšl, 2 marzo 1824 – Praga, 12 maggio 1884)
La Moldava da Ma Vlast/La mia Patria
Allegro comodo non agitato
Joseph-Maurice Ravel (Ciboure, 7 marzo 1875 – Parigi, 28 dicembre 1937)
Boléro
Tempo di Boléro moderato assai
Doppio viaggio di Lorenzo Arruga
Beethoven ci butta immediatamente nella lotta: una nota in unisono, un accordo, e ci siamo dentro, non avremo più tregua per tutta l’0uverture. Ci dev’essere qualchecosa di eroico sepolto dentro a noi, per accendere tanto richiamo. Progressioni incalzanti, rapidi stop, riprese inesorabili, passioni d’affetti invano a cercar pace, esplosioni violente irresistibili, fino ad avere dato tutto, e solo allora placarsi e spegnersi.
Non lo capiva, Haydn, quel tumulto, quella forza intima che quasi obbligava il musicista a scatenarsi, che solo pochi mesi dopo le sue composizioni avrebbe ispirato Beethoven a sfidare la vita e avrebbe posseduto gli artisti del Romanticismo? O ne era diffidente e presago, tanto che fino all’ultimo voleva difendersi ed esorcizzarla? La tromba, strumento idolo della vita militare, nel suo Concerto in mi bemolle maggiore non vuole combattere, non chiama a conquistare: intrattiene, ragiona, offre, scambia, in una squisitissima manifestazione di civiltà.
La tromba, almeno quella “naturale” che ascoltiamo dal più convincente profeta, Gabriele Cassone, ha comunque grazie al suono puro come l’oro, lucente d’una crudezza armoniosa, un suo dna trionfale. Le melodie si stagliano perentorie, come nel Fidelio, o struggenti, come nelle note del silenzio nelle sere in caserma o nel campo di battaglia.
Nelle variazioni ordinatissime ma spericolate sul caro vecchio tema popolare del Carnevale di Venezia nella versione di Arban, inseguiamo ogni nota, le vorremmo raggiungere e contare, ma fuggono via, allegre e imprendibili.
Curioso, questo nostro programma: ora ci porta in una nazione. in un tempo e in una forma per quasi tutti noi lontani dalla cultura e dalla mente. Boemia fine Ottocento, l’arte del maestro Smetana nel poema sinfonico. L’autore organizza e muove la composizione come illustrasse luoghi noti, quasi come sontuose musiche di un fedele documentario sulla sua terra: e sono infatti sei poemi raccolti e collegati nei temi sotto il titolo La mia Patria. Ma la musica prende la sua vita per conto suo e ci fa compiere il cammino all’inverso: dall’ascolto immaginiamo paesaggi e paesi, come nel secondo poema, l’immortale Moldava, il corso del grande fiume e, per dirla con le parole di Smetana, “paesaggi dove si celebrano nozze di contadini e danze di sirene nelle notti di luna piena”.
E alla fine Ravel. Il Bolero incomincia tanto piano, col ritmo segnato dal tamburello, che un direttore esigente e pignolo come Hermann Scherchen chiedeva addirittura all’esecutore di lasciar crescere l’unghia del mignolo e percuotere con quella lo strumento. Poi il ritmo da indizio sottocutaneo poco poco diventa un’ossessione: se ne impossessano sempre più gli orchestrali e sempre con la stessa melodia e nella stessa tonalità, in un crescendo calibrato micidiale, fin quando uno scoppio violento, più dissonante del più dissonante accordo, mette fine fulmineamente all’evento. Che già alla prima esecuzione eccitò gli entusiasti presenti e diede scandalo ai musicisti . Alla fine, una signora gridò: “Siete pazzi! Questo pezzo non significa niente!”. Ravel commentò: “E’ l’unica che ha capito davvero”. Ma probabilmente barava.