Le date
Haydn, Sinfonia n. 95 in do minore
Mozart, Concerto per fagotto e orchestra, K 191, Sinfonia n. 40, K 550
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla 30): € 19,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla 40): € 13,50 + prevendita
Balconata: € 10,50 + prevendita
Ridotti (Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Ass. Culturali, Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50 + prevendita
Balconata € 8,50 + prevendita
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Il Cast
Direttore: Umberto Benedetti Michelangeli
Fagotto: Lorenzo Lumachi
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
SAGGIO
Il Settecento, racchiuso in due nomi.
Quando Haydn scrisse la sua Sinfonia 95, era l’anno della morte di Mozart. Haydn si trovava a Londra, libero da ogni legame con la famiglia Esterhàzy che dopo la morte del principe Nikolaus I licenziò l’orchestra di corte, garantendo a Haydn una buona pensione. Era il 1790 quando il compositore si recò per la prima volta in Inghilterra, a ormai cinquantotto anni: era tempo di nuove sfide, che lo portarono a raggiungere l’apice della propria produzione sinfonica.
Le sinfonie dalla 93 alla 104 vengono comunemente chiamate “Sinfonie Londinesi” proprio perché eseguite in Inghilterra nei due soggiorni del compositore, il primo tra il 1791 e il 1792 e il secondo tra 1794 e il 1795. Concepite per grande organico, realizzate appositamente su invito dell’impresario J. P. Salomon, queste composizioni sono accomunate dal grande successo che ottennero, risultando immediatamente comprensibili e ben strutturate; la numero 95 però rappresenta l’eccezione alla regola, in quanto non venne subito accolta con entusiasmo dal pubblico. La terza delle Sinfonie Londinesi è l’unica tra le dodici a non avere un lento movimento introduttivo, ed è la sola in tonalità minore; non si tratta di una tonalità minore priva di significato ma del Do minore, una delle tonalità preferite da Mozart, legato ad Haydn da una profonda amicizia e che probabilmente qui il compositore voleva omaggiare. Mozart, di ventiquattro anni più giovane di Haydn, morì poi proprio in quell’anno, in dicembre, solo otto mesi dopo la prima esecuzione assoluta della Sinfonia n. 95.
Al di là di omaggi e strane corrispondenze biografiche, in merito a questa sinfonia va evidenziato il perenne contrasto di umori opposti, prima violenti e poi distesi; dinamiche accese che si schiudono poi in frasi di ampio respiro, senza mai tradire un equilibrio formale che Haydn mantiene anche in questo periodo di grande libertà espressiva, consentito anche da un pubblico molto ricettivo e pronto ad apprezzare la propria contemporaneità.
L’influenza di Haydn è percepibile nello stile brillante del Concerto per fagotto e orchestra K. 191, dell’allora appena diciottenne Mozart. I tre tempi in cui è diviso, fanno di questo concerto una composizione tradizionale, pienamente immersa nello stile galante, nei cui confini non troppo netti Mozart esplora le peculiarità del fagotto, nelle sue molteplici possibilità espressive. Se nel primo movimento si concentra sull’elaborazione tematica in maniera puntuale e precisa (haydniana, appunto), discostandosi così dalla fantasia più libera che aveva caratterizzato alcune opere precedenti, già nel secondo movimento si nota una particolare ricerca espressiva, che si sviluppa nei contrasti tra i registri e specialmente nell’attenzione alla gamma dei suoni medi dello strumento, che qui è protagonista con una scrittura liricheggiante in cui spiccano le abilità del solista. È evidente, specie nel primo e nel terzo movimento, che il solista non articola i temi portanti prima che questi vengano di fatto introdotti da altri strumenti dell’orchestra; questo può essere anche legato al fatto che quando Mozart scrisse questo concerto le caratteristiche strutturali del non erano quelle attuali, ma era proprio un periodo di riprogettazione dello strumento, che per la maggior parte de diciottesimo secolo aveva tagli differenti a seconda dell’estensione sonora.
Quattordici anni separano il Concerto per fagotto dalla penultima sinfonia mozartiana, la Sinfonia n. 40, K. 550. Mozart scrisse quelle che sarebbero state le sue ultime tre sinfonie (K. 543, K. 550 e K. 551) nell’estate del 1788, con un’urgenza che fa pensare a un’imminente esecuzione, o a una pubblicazione promessa: entrambe le cose non ebbero luogo e probabilmente anche questo concorse a colorare di tinte scure il periodo che Mozart stava trascorrendo in una casa fuori Vienna a causa delle ristrettezze economiche e dell’ancora scottante delusione per il debole successo viennese del Don Giovanni.
L’inquietudine di quel periodo sembra trasparire dal tema portante del primo movimento (Allegro molto), racchiuso nella stabile struttura della forma sonata; celeberrimo eppure mai banale, questo tema riproposto e rielaborato durante tutto il movimento, porta il peso di un’agitazione mai placata, di una tensione viva e accesa. Il dialogo tra archi e legni è gestito con maestria, le dinamiche accentuano la drammaticità del tema, che sebbene tormentato non si tinge mai di tinte oscure.
Pare volerci regalare un attimo di serenità la prima parte dell’Andante (secondo movimento) ma immediatamente da poche note riprese dal primo tema, nasce una melodia drammatica e intensa, che senza diventare troppo greve risulta essere la vera forza propulsiva del movimento, assumendo sfaccettature diverse, a tratti quasi agli antipodi l’una dell’altra, con il procedere del tempo.
È la severità che nasce e sfocia nel terzo movimento, un tempo di danza (Minuetto) dall’incedere deciso e incessante, che solo nel Trio successivo sembra distendersi e lasciare spazio al gioco di corrispondenze tra archi e fiati, che nuovamente dialogano in un equilibrio perfettamente calibrato. Questo continuo dialogo sfocia nel finale (Allegro assai), nella cui prima sezione sono protagonisti i contrasti dinamici tra forte e piano, in un gioco di domande e risposte che conduce alla seconda sezione e al finale dove i temi dei movimenti precedenti riappaiono, citati in brevi frammenti, gli archi procedono incalzati dai legni e si arriva alla conclusione in cui in ogni arcata traspare l’inquietudine – forse ora addirittura disperata – che già dal primo tema non concedeva pace.
La coerenza strutturale impressionante, segno di una perfetta padronanza della scrittura, strutturata nell’unità tematica, è lontana dall’essere un esercizio di stile: il genio mozartiano riesce a trasparire anche nei confini della forma, forte nella sua indiscussa unicità.
GLOSSARIO
Tagli: il fagotto compare nel Sedicesimo Secolo, chiamato con un altro nome (generico): dulciana. Ai tempi, a seconda delle estensioni vi erano diversi tipi di fagotto; con l’andare del tempo e il progresso costruttivo, questa varietà scomparve e il fagotto acquisì mano a mano le caratteristiche attuali, che fanno di esso il solo strumento della famiglia dei legni ad avere estensione di baritono.
Esistono altri strumenti in cui i differenti tagli, a seconda delle estensioni, sono rimasti: esempio principe è quello del saxofono, che si distingue in sax soprano, contralto, tenore, baritono e basso. Parlando di taglio, quindi, si intende una caratteristica fisica dello strumento a fiato in fase costruttiva, tramite la cui conformazione l’aria passa in maniera differente, producendo così una gamma di suoni in registri diversi.
Stile galante: nato nella prima metà del Diciottesimo Secolo (convenzionalmente attorno al 1730), questo stile si caratterizza per l’abbandono degli aspetti più complessi del linguaggio barocco, come il contrappunto severo e la polifonia, a favore di una maggiore libertà formale. Le grandi forme vengono abbandonate per privilegiare una comunicabilità immediata, basata su semplicità ed eleganza, contraddistinta da melodie accompagnate e da armonie semplici ma dal gusto impeccabile. Tra i maggiori esponenti di questo stile vi sono Couperin, con la sua produzione cembalistica, Telemann e, non da ultimi, C. Ph. E. Bach, a modo loro, anche Haydn e Mozart.
Pilucchi
DALLE LETTERE DI HAYDN l’anno della Sinfonia 94
A Maria Anna von Genzinger, Vienna
8 gennaio 1791
Nobile, gentile Signora! (…) Ho voluto aspettare a scriverLe qualche giorno per poter raccontare molte cose insieme. Mi sono imbarcato a Capodanno alle 7.30 dopo la Messa del mattino e alle 5 pomeridiane, come Dio volle, sono arrivato a Dover sano e salvo. Nelle prime quattro ore non c’era quasi vento, la nave andava così adagio che abbiamo percorso solo un miglio inglese, e tra Calais e Dover ce ne sono 24. Il Capitano era d’umore nero, e diceva che se il vento rimaneva così dovevamo passare la notte in mare. Fortunatamente a quel punto il vento invece si è messo a soffiare in modo così favorevole che alle 4 pomeridiane avevamo goià coperto 22 miglia. Il riflusso della marea però non permetteva alla nostra nave, troppo grande, di avvicinarsi al molo, e così ci sono venute incontro due barche mentre la nave era ancorata lontano. Passeggeri e bagagli sono stati trasferiti e hanno affrontato mezza burrasca arrivando sani e salvi. La nave è restata al largo con un gruppo di passeggeri che avevano paura del trasferimento ed ha aspettato 5 ore che la marea permettesse di attraccare.
Sono stato sul ponte durante tutta la traversata per contemplare l’oceano, mostro potente.
Fino a quando è rimasto calmo non ho avuto paura, ma su finire del viaggio, quando si è messo a soffiare sempre più forte, con quelle alte onde mostruose che si rovesciavano su di noi mi sono spaventato (…) però sono riuscito ad arrivare bene e – chiedo scusa – senza vomitare. Son ripartito subito per Londra (…) e dopo due giorni adesso sto benone, nell’infinita grandezza di Londra, le cui bellezze ammiro con stupore. (…)
Il mio arrivo ha suscitato sensazione in città: ho girato per i giornali per tre giorni. Vogliono conoscermi tutti. (…) Londra però è spaventosamente cara. (…) Ieri ero invitato al concerto di un dilettante famoso. Sono arrivato leggermente in ritardo (…) e mi hanno fatto sedere inn un’anticamera fino alla fine del primo pezzo. Poi si è aperta la porta e sono stato condotto al braccio dell’impresario al centro della sala, con l’applauso generale, ammirato e congratulato. Da 50 anni, mi hanno assicurato, nessuno era stato accolto così. (…)
Londra, gennaio 1792
A Michele Puchberg, (massone, amico di Mozart)
Sono stato fuori di me per molto tempo alla sua morte, non ero capace di credere che la Provvidenza avesse richiamato tanto presto la vita di quell’uomo così indispensabile. Rimpiango solo che durante la vita non abbia convinto gli Inglese della sua grandezza; jn questo essi vagolano nel buio: e su questo argomento io predico loro tutti i giorni. (…)
LA GENIALE AMBIGUITA’ DELLA SINFONIA K.550
L’ambiguità di Mozart non significa che non si definisca, come se fosse indifferente a ciò che suscita. Mozart offre una realtà mutevole entro cui è l’ascoltatore a decidere, o più ancora a cercare ogni volta più profondamente; la sua semplicità apparente è come quella della natura, in cui si può trovare un pensiero creativo immenso.
La Sinfonia K 550 nel corso delle esperienze nella nostra vita di ascoltatori, tutte parziali e tutte aperte a rivelazioni profonde, è una delle partiture che più ci possono apparire ambivalenti, sempre però ricordando quando diceva Giorgio Strehler: “Mozart ci invita a camminare accanto a lui, come un amico o un fratello, e si va avanti sereni, ma sul ciglio degli abissi”.
Umberto Eco in un suo saggio raccontava che, a una festa, la registrazione di questa partitura, da altoparlanti nascosti, in un giardino, emanava un senso di fresca felicità; riascoltata a casa
rivelava una drammaticità impressionante.
Gino Stefani, commentando la riduzione ritmica “pop” del primo tempo operata da Valdo de Los Rios, di moda una quarantina d’anni fa, notava che con accorta prudenza aveva tolto il secondo tema, evitando così il contrasto drammatico della forma-sonata, e aveva tagliato anche l’attacco delle viole sole, che in tre quarti di battuta creano un’attenzione ansiosa, per poi procedere in un ostinato accompagnamento incalzante.
In quegli anni girava con successo anche una canzone, affidata alla voce delicata e indifesa di Sylvie Vartan, di stampo commerciale , intitolata Caro Mozart. Anche chi non l’ha mai sentita, non essendo rimasta fra i classici del genere, può comprendere il saggio ragionamento di Stefani in
Capire la musica, del 1978. “Non era un motivo cantabile? E dunque cantandolo lo si riporta ad una sua condizione idealmente originaria. (…) Leggiamo il testo: << Questa musica vibra nell’aria / e racchiude una grande magìa / mi trascina in un mondo incantato / dove regna la tua fantasia: / dove suoni dolcemente / la tua musica per sempre… / Sull(e ali di un grande vascello / sto volando lontano con te / sopra un mare di azzurro cristallo / dove il tempo per sempre non c’è: / e mi sembra di partire / in un viaggio senza fine / e volare volare con te / in un mondo che non c’è…>>. Il tema è la funzione stessa della canzone: l’evasione. Ma ha una curiosa affinità con l’immagine che il grande pubblico può avere di Mozart e della sua musica; è l’evasione consolatoria nel mondo incantato e irreale dell’arte come viene presentata dalla industria culturale: la musica è magìa, incantesimo e incantamento. (…) ma questa ideologia non è tutta industriale. La cultura colta è responsabile almeno in parte di questa alienazione delle espressioni musicali storiche. Si può leggere nei manuali di storia della musica per i conservatorii che Mozart “è il musicista più semplice e spontaneo che sia mai esistito (…) senza interventi manipolatori della cultura” : è come quella pubblicità televisiva dove l’inizio della Sinfonia K 550 “sta a commentare l’immagine di una ragazza che raccoglie erbe in un giardino o serra e ne fa un infuso” (…) Quanto a noi, “domandiamoci se al concerto ci limitiamo a degustare il tema, o ne seguiamo tutto il resto del discorso musicale”.
Perché Michelangeli: sovranamente classico nelle idee e nell’arte, ma trascinatore appassionato, amante del nitore ma rivelatore della grandezza più segreta, ha una sua lunga storia con la nostra Istituzione, di cui è uno dei beniamini. Considerato tra i direttori eccellenti, è fra loro il meno autopromozionale. Sta ritirato, si scatena sul podio.
Perché Lumachi: è il nostro primo fagotto, con affermazioni nel corso degli studi, fra l’altro col mitico Azzolini, e poi in Toscana e a Milano, e in incisioni discografiche. Ha un suono elegante e comunicativo e un fraseggio avvolgente.
Continuando la serie dei documenti “aggiornati” sulla musica e o musicisti del passato, ecco una vignetta del nostro tempo a proposito del concerto di Mozart oggi in programma.