70ª Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 28 maggio 2015
Ore: 10:00*
giovedì 28 maggio 2015
Ore: 21:00
sabato 30 maggio 2015
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Beethoven, Concerto per pianoforte e orchestra n.5, “Imperatore”, op. 73 – Sinfonia n. 6, “Pastorale”, op. 68

Biglietteria

BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla 30): € 19,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla 40): € 13,50 + prevendita
Balconata: € 10,50 + prevendita

Ridotti (Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Ass. Culturali, Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50 + prevendita
Balconata € 8,50 + prevendita

CARNET LIBERI DI SCEGLIERE:
da oggi sei libero di abbonarti a 6, 8 o 10 concerti della Stagione scegliendo in base alle tue preferenze e alle tue disponibilità senza dover rinunciare al vantaggio economico dell’abbonamento (i carnet costano da €. 56,40 a €. 163,00 a seconda del numero di concerti selezionati)

Per informazioni e prenotazioni:
promozione@ipomeriggi.it 02/87905267

Il Cast

Direttore e Pianoforte: Alexander Lonquich
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

LA MUSICA E LA NATURA: LE CONCLUSIONI DI BEETHOVEN
Finisce con la Pastorale, dunque, la nostra stagione dedicata alla natura: come poteva essere diversamente? E’ insieme una full-immersion nei campi e nei tempi metereologici, e una celebrazione della forma indipendente e splendente della creazione musicale. Beethoven stesso l’aveva sottotitolata così, dopo varie incertezze, che seguiamo anche sui suoi appunti, dove fra l’altro appare anche il nome Pastorella (un lapsus?uno scherzo? un conflitto con la lingua italiana?). E’ dunque l’occasione di chiudere il nostro discorso ascoltando le sue riflessioni.

Il sottotitolo completo, comunque è Pastorale o ricordi di vita campestre. E qui abbiamo il primo indizio dei suoi intenti,perché ricordare è già diverso dal rappresentare. Chiunque vada con la mente a rievocare luoghi e situazioni sa bene come non andrebbero bene per spiegare oggettivamente come sono. Protagonista dei ricordi è chi ricorda, per di più sdoppiato nel duplice momento di com’era e com’è nel momento in cui ripensa e rivede (vi ricordate il finale del Piccolo Principe?).

I titoli delle cinque parti corrispondono a una maniera esistente di organizzare un componimento legato alla natura. Una Pastoralsymphonie di un certo Justin Heinrich Knecht, scritta fra il 1784 e il 1785, che Beethoven aveva studiato qualche anno prima, portava la stessa divisione e coincideva con gli stessi sottotitoli; ma s’intitolava Ritratto in musica della Natura, scelta che Beethoven non avrebbe compiuto mai.

Nell’ampie evocazioni di climi pastorali, come nei suoni onomatopeici legati al trasfigurato, all’arrivo, all’esplosione e all’allontanarsi del temporale, Beethoven cercava gli elementi su cui costruire lo sviluppo e la dialettica della sinfonia, non a farci sostare con godimento fra spazi, immagini e suoni della campagna. Questa dialettica diventa in  lui addirittura scontro drammatico tra forze, come nel l’ultimo tempo: non per nulla Beethoven componeva la VI sinfonia insieme alla V, battezzata poi dai Romantici del Destino. Questo atteggiamento non vuole però rappresentare  una  immagine drammatica della natura, ma imprimere  nello spettatore il privilegio di una meravigliosa esperienza soggettiva.

In questa esperienza, certo, c’è “l’incontrastata beatitudine che appartiene solo alla Natura”, come l’ha definita Walter Riezler, e la violenza dei fenomeni: “l’uragano s’avvicina, s’ingrandisce: (…) è uno spaventoso cataclisma (…) dà la vertigine” commentava Berlioz, che esaltava anche l’aspetto “pittorico” del tutto:  “paesaggio dipinto da Poussin ma disegnato da Michelangelo”. Ma Beethoven scriveva in un appunto: “Nessuna pittura, ma qualcosa che esprima le emozioni che il piacere della campagna suscita”.  Poggi e Vallora sottolineano che Beethoven approvava molto l’opinione della Natura come scuola del cuore, e annotava: “voglio diventare anch’io discepolo di questa scuola”.

Farci condividere questa lezione e questi sentimenti è l’intento ed il dono della Sinfonia Pastorale. Quanto però alla vita pratica, un poco forse per la sordità e molto per il carattere – ammesso che le due cose siano separabili – non amava sempre condividerli. Therese von Brunsvik, sua ispiratrice e amica,  raccontava che spesso quando gli amici andavano a trovarlo in campagna, se era stanco, spesso non si faceva trovare e andava a trovare il fratello di lei a Montvásár, quieta cittadina dell’Ungheria.

LA GRANDEZZA ASSOLUTA
Le opere che concludono la programmazione di questa stagione portano la prestigiosa firma di Ludwig van Beethoven. Il quinto concerto per pianoforte e orchestra, op. 73, e la Sesta Sinfonia, “Pastorale”, op. 68, sono composizioni davvero famosissime; chi si occupa di musica per studio o per professione ha sicuramente già avuto a che fare con le note di queste pagine, eppure scriverne non è mai semplice.  Il genio compositivo di Beethoven ci mette sempre alla prova, prima di tutto come ascoltatori.

Parliamo del quinto concerto, Op. 73, composto nel 1809 e dato alle stampe ed eseguito due anni più tardi. È ormai d’uso comune riferirsi a questo concerto con il titolo “Imperatore”, ma non fu Beethoven ad attribuire questa dicitura all’opera, bensì il pianista ed editore J. B. Cramer. Certamente è bene andare al di là di accadimenti biografici, o di possibili riferimenti a fatti storici del periodo a cui poter accostare il concerto e il nome che gli è stato attribuito, per poter avere una visione attenta e non superficiale della composizione.

Ci troviamo di fronte all’ultimo dei concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven, tra queste note lui guarda avanti, si spinge oltre, sposta i limiti della forma e sembra quasi voler andare al di là anche dei suoni che spettano al pianoforte. Già nel primo movimento (Allegro) lo strumento solista si spinge nel registro acuto, con passaggi rapidi e di grande intensità dinamica, leggeri e luminosi, che ricordano il suono di un glockenspiel. La consueta contrapposizione tra solo e tutti, che nello sviluppo di questo primo movimento è netta, qui viene ridisegnata e il pianoforte sembra quasi voler addolcire alcuni interventi dell’orchestra che tendono a imporsi con forza: il solista si fa strada, non facendo leva sulle dinamiche del forte e fortissimo bensì aprendosi varchi di luce che spiccano e lo rendono protagonista. L’orchestra gli lascia spazio, ed è proprio nei disegni in pianissimo, nei registri acuti – come nell’ultima parte del primo movimento – che la parte del pianoforte raccoglie la tensione creata, la lascia come sospesa, per poi sciogliersi in rapide sequenze di note lievi che ridanno slancio al concerto.  L’energia vitale dell’Allegro si contrappone alla compostezza del secondo movimento (Adagio, un poco mosso): si crea quasi un clima notturno, in cui il pianoforte ha il ruolo del protagonista, specie quando sempre sul registro acuto realizza una melodia drammatica che ha nelle dinamiche il suo punto di forza: la tensione cresce e crea nell’ascoltatore un senso di attesa che si scioglierà solo all’entrata del vigoroso tema del Rondò finale. Qui l’orchestra trionfa e lo scambio tra solo e tutti aumenta la sua forza, grazie all’impeto ritmico che mai si placa e sorregge i contrasti dinamici e timbrici che caratterizzano il festoso movimento che chiude il concerto.  (Clausia Ferrari)

Ma eccoci nella natura. Beethoven ne aveva una venerazione. Ecologico, Beethoven? Impossibile crederlo, trasandato com’era, disattento nelle abitudini al cibo e al sonno, anche se pignolo nelle richieste alle governanti fino all’insopportabilità, ed amante del vini genuini, a cominciare da quelli del reno e dal prediletto Picolit,U l’ultima bevanda che cercò di farsi mandare. Ma con la nostra società, a suo modo, aveva in comune il mito, il culto, della Natura, in cui si fondevano le idee di Rousseau sulla purezza assoluta, le letture di Shelley che nei testi indiani tendeva a identificarla con  la divinità, le teorie di Kant, l’esempio eccelsom dio haydn nei suoi due grandi oratori, La Creazione, e Le stagioni. La sua sterssa indole così piena di contrasti violenti in cui quasi non si riconosceva o non si capiva, e così insofferente del continuo contatto sociale, favoriva in lui un amore trasfigurante per l campagna. Nella natura si rifugiava, sovente da solo, nei misteriosi momenti della nascita delle idee musicali e degli universali pensieri. La musica della Sesta Sinfonia, oltre che dentro a sè, si guarda attorno, ai boschi, ai fiumi ed ai  ruscelli, al sole e all’alba, agli scrosci di pioggia e ai contadini nella sera… Chiamata da lui stesso Pastorale, la sinfonia è insieme descrittiva, autobiografica, e assoluta.

Una pace indicibile, misteriosamente naturale, scende in noi fin dalle prime note di questa miracolosa sinfoni, che, mentre si nutre delle emozioni di vita naturale nella campagna, ci invita a rileggerla, a interpretarla, ad acoglierla.

Unica fra le sinfonie di Beethoven, questa ha dunque un vero soggetto, anche se si distingue nettamente dalla “musica a programma” delle Stagioni settecentesche o dei poemi sinfonici del tardo Ottocento: qui infatti non c’è un’azione immaginaria da seguire, di cui la partitura è  colore e commento, ma una specie di evocazione d’ambiente  espressa attrraverso le emozioni che suscitano i vari  quadri. “Un quadro di vita campestre?” aveva osservato il grande e favoloso scrittore romantico E.T.A. Hoffmann: “E’ dunque possibile dipingere la musica?”. Da qui tutta un serie di polemiche e di raffinate precisazioni che possono portare a guardare dentro al linguaggio di chi inventa e di chi definisce – di cui diamo cenno più ampio nel pezzo su la natura e la Musica in altra parte di questo programma .

I tempi della Sesta hanno dei sottotitoli che ne anticipano il carattere. Il primo è Sensazioni piacevoli all’arrivo in campagna: e dentro alla campagna ci sentiamo sùbito, fin dalla prima battuta, con quel tema forse popolare boemo che emette il suo affettuoso richiamo con i violini sulla base d’un “pedale” basso, cioè in questo caso una doppia nota ferma che fa da fondamento. Ma è prodigiosa un’invenzione tanto tenera e insieme tanto fulmineamente efficace.

Il secondo è Scene sulle rive d’un ruscello, e tutto scorre, fluenete e leggero, fino che l’usignolo, la quaglia e il cuculo intervengono, lasciando che il loro canto si diffonda nello spazio. Al loro verso realistico risponde la carezza di felicità dell’orchestra che chiude il suo canto.

Poi, l’aristocrazia delle danze popolari antiche: l’Allegro convegno di contadini intreccia cerchi sui campi, le tonalità diverse si accostano a blocchi, con libertà.

Ma rapido sopravviene il Temporale, addensarsi di nubi, gocce, brontolare di tuoni, l’acqua rovesciata dal cielo, il dileguarsi, il sereno che torna…

E’ il Canto di pastori, sentimenti di allegria e riconoscenza dopo la tempesta. Tutto si placa nella pace, si esprime in musica pura e purificante, fino a chiudere sommessamente. Gli strumenti, con i fiati evocatori   << protagonisti e gli archi intensi ed affettuosi, la melodia, l’armonia, il ritmo, il quadro stesso della natura, obbediscono alla suprema legge della forma musicale, e in essa trovano evidenza, spontaneità e compimento.

Quando ormai, sordo, più non poteva udire il verso dell’usignolo, della quaglia e del cucù, Beethoven ritornò una volta nel bosco accanto ad Heiligenstadt, e mormorò al discepolo che l’accompagnava: “Qui ho composto la scena del ruscello”. Ma prima di parlare era rimasto molti minuti a guardare, a pensare, in silenzio. (Lorenzo Arruga)

Perché Lonquich:  domanda oziosa. L’avete ascoltato in questa stagione, vi ha incantato, lo state aspettando.

E l’orchestra?  Avete goduto tutto l’anno delle sue qualità limpide e coinvolgenti e del suo professionismo. Ne conoscete caratteri, sagome, gesti. Vi siete affezionati ai vostri strumentisti. C’è un grande augurio da far loro: che mantengano la bella tradizione dei Pomeriggi ma che abbiano sempre voglia di crescere e di rinnovarsi, qualità e potenzialità che possono entusiasmare i musicisti stessi e gli ascoltatori, e dare testimonianza alta di civiltà. Dopo questa stagione, gli occhi sono puntati sui Pomeriggi.

Ha detto Beethoven

“Onnipotente, presente nel bosco! Sono così felice, qui ogni albero parla di Te O Dio, che cosa magnifica! In queste foreste, sulle cime, trovo la pace necessaria per servirTi”.

Hanno detto gli altri

GEORGE SAND: “Più squisita e più completa dei più bei passaggi dipinti, la Pastorale non offre forse, all’immaginazione di chi ascolta, prospettive inimmaginabili? Non racchiude forse un’intera valle dell’Engandina o della Misnia, un paradiso terrestre completo, nel quale l’anima s’invola vedendo incessantemente aprirsi orizzonti senza limiti, simili a quadri? Quadri in cui l’uragano rumoreggia, gli uccelli cantano, la tempesta nasce, scoppia e si calma, il sole asciuga la  pioggia sulle foglie, l’allodola scuote le sue ali umide, il cuore impaurito si rasserena, lo spirito e il corpo si rianimano  e, identificandosi con la natura si adagiano in un delizioso riposo?”.

MAYNARD SOLOMON: “Le contese di Beethoven con il destino – cioè con l’incarnazione del principio paterno – non erano ancora concluse, erano soltanto temporaneamente accantonate, mentre egli trovava conforto in un ben meritato ritorno alla Natura e all’infanzia”.

GIORGIO PESTELLI: “A prima vista, il carattere di Beethoven, ha molti tratti da Sturm und Drang, con abissi di depressione, intemperanza emotiva, stravaganze, sbalzi di umore. “Fa spavento, quand’è così allegro”, diceva Lote a Werther, e molti lo pensavano di Beethoven (fra cui Goethe: “egli è purtroppo una personalità assolutamente sfrenata”). Si ritrovano in lui di volta in volta molte costanti della sua generazione: l’attrazione – repulsione per Napoleone Bonaparte (come Kleist, Grillparzer, Hegel), la smania dell’uguaglianza giuridica con l’aristocrazia, l’amore intellettuale per l’Inghilterra, patria della democrazia e della libertà (in confronto all’Austria di Metternich), la passione per il mondo classico, la fiducia nel miglioramento dell’umanità (…). Al carattere di Beethoven è connessa la sua sete di cultura. Pochi altri musicisti, e pochissimi prima di lui, parlano tanto di libri e letture. (…) Con tutto ciò è ancora prima di tutto un tecnico: considera il suo orecchio (malato) la “parte più nobile” di sé, nessuno strumento ha segreti per lui; i suoi amici sono esecutori, cantanti, violinisti, chiamati “fratelli in arte” (…). Ma proprio per questo, perché muove dal centro del massimo professionismo possibile, quella spinta verso la cultura acquista un valore simbolico ancora sconosciuto”.

TRE ANEDDOTI

Terèse.
Il grandissimo direttore d’orchestra Carlos Kleiber era esigentissimo e parlava con l’orchestra offrendo fantasie di grande fascino. Una volta, nelle prove per un’incisione dell’Adagio della Quarta Sinfonia di Beethoven, non riusciva ad ottenere da violini secondi,  viole ed archi bassi l’intensità e il colore che voleva nell’accompagnamento al tema iniziale dei violini primi. Un frammento ripetuto, che sale da dominante a tonica col ritmo puntato di una breve e una lunga, ta-tàa: Kleiber voleva ansia, struggimento: “Beethoven” diceva “pensava alla sua amata e voleva dire Te-rèse, Terèse…”. Ma non bastava mai, e lasciò il podio. Venne al suo posto Lorin Maazel, ed arrivato a quel punto guardò serio l’orchestra  raccomandando: “Attenzione, perché Beethoven qui voleva dire:” e canticchiò “Maa-zèl… Maa-zèl…”…

Pedagogia.
Fedele d’Amico, il famoso critico musicale che univa concretezza e simpatia all’autorevolezza di studioso, aveva sempre disapprovato l’atteggiamento di chi,  per avvicinare i giovani alla musica classica, favorivano semplificazioni  e facilitazioni. “La grandezza ha una sua forza, un suo fascino, non va tradita. Chi capisce, capisce, bisogna servirla bene”. Un giorno raccontò: “Arrivando qui, ho visto sul mio autobus due ragazzi, lei era tutta intenta ad ascoltare lui, che era il classico ragazzone romano come li imita Verdone, camicia aperta, catena e medaglione, peli in  vista”. In quei mesi era di moda un adattamento a canzone dell’Inno alla Gioia dalla Nona Sinfonia di Beethoven, e la sera precedente il ragazzone l’aveva ascoltata alla radio. “’Sai che ho sentito ieri sera? ‘Na canzone composta da Beethoven. Beh, sai che te devo dì? Quer Beethòvene era proprio uno stronzo’”.

Temporali.
Qualche decina d’anni fa, il compositore Felice Lattuada, padre del regista cinematografico Alberto, operista assai eseguito, di stampo vagamente pucciniano, autore anche di una Tempesta da Shakespeare, era in fondo ad un palco alla Scala, ad ascoltare la Sinfonia Pastorale di Beethoven. Fino all’ultimo movimento stette quieto in silenzio, poi, placato ormai l’ultimo sbuffo di pioggia, si tramanda che disse ai due signori davanti, in milanese: “La sinfunìa la discüti no, ma in del tempuràl el batti”.