70ª Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
sabato 06 dicembre 2014
Ore: 17:00

Debussy-Schöenberg, Prélude à l’après-midi d’un faune
Martinů, Le revue de cuisine
Ravel, Settimino
Saint-Saëns, Il Carnevale degli animali

Ensemble dell’Orchestra da Camera di Mantova

 

Biglietteria

BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla 30): € 19,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla 40): € 13,50 + prevendita
Balconata: € 10,50 + prevendita

Ridotti (Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Ass. Culturali, Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50 + prevendita
Balconata € 8,50 + prevendita

CARNET LIBERI DI SCEGLIERE:
da oggi sei libero di abbonarti a 6, 8 o 10 concerti della Stagione scegliendo in base alle tue preferenze e alle tue disponibilità senza dover rinunciare al vantaggio economico dell’abbonamento (i carnet costano da €. 56,40 a €. 163,00 a seconda del numero di concerti selezionati)

Per informazioni e prenotazioni:
promozione@ipomeriggi.it 02/87905267

Il Cast

Ensemble dell’Orchestra da Camera di Mantova

Filippo Lama, violino
Pierantonio Cazzulani, violino
Massimo Piva, viola
Stefano Guarino, violoncello
Massimiliano Rizzoli, contrabbasso
Maurizio Saletti, flauto
Massimiliano Salmi, oboe
Aljaz Beguš, clarinetto
Andrea Bressan, fagotto
Matteo Battistoni, tromba
Anna Loro, arpa
Athos Bovi, percussioni
Andrea Dindo, pianoforte
Andrea Rebaudengo, pianoforte

 

Note di sala

Claude Debussy/Arnold Schoenberg
Prélude à l’après-midi d’un faune
Durata 10 min 

Bohuslav Martinů
La Revue de Cuisine H 161
Durata 16 min

* * *

Maurice Ravel
Settimino
Introduction et Allegro
Durata 11 min 

Camille Saint-Saëns
Il carnevale degli animali
Durata 25 min

ANIMALI. MITI E CIBI: LA NATURA A PARIGI
Saggio di Claudia Ferrari
Siamo a Parigi, è il 1886: tra tre anni ci sarà l’Esposizione Universale, la Tour Eiffel ancora non esiste.

Immaginate un Parigino tipico del tempo, appartenente all’alta borghesia, dunque colto e ben vestito: state immaginando Camille Saint-Saëns (Parigi, 1835 – Algeri, 1921). Molto attivo nella vita cittadina dell’epoca, in una Francia allora dominata dal melodramma, fonda nel 1871 la Société Nationale de Musique con lo scopo di diffondere la produzione strumentale recente, specialmente quella cameristica, per arricchire i repertori concertistici e dunque per ampliare il panorama musicale. Non sempre però Saint-Saëns si schierò dalla parte del rinnovamento: dalle colonne di alcune riviste per cui svolgeva il ruolo di critico dichiarò infatti di non comprendere Debussy, mentre difese invece Bisez e Berlioz.

La coerenza non era dunque un abito che gli calzava a pennello, tanto da sentire la necessità di prendersi gioco di coloro i quali stavano dalla sua stessa parte – in quanto critici, compositori o esecutori – con l’arma che essi stessi avevano tra le mani: la musica. Saint-Saëns scrisse Il Carnevale degli animali nel 1886, ma si oppose fermamente all’esecuzione pubblica  di tutti i quattordici brani che componevano l’opera fin tanto che fosse rimasto in vita, ad eccezione del tredicesimo, Il cigno, che ebbe immediatamente un grande successo. L’intera opera venne eseguita privatamente il martedì grasso del 1887 e pubblicamente – rispettando le volontà dell’autore – trentasei anni dopo la sua morte, nel febbraio 1922.

Ma andiamo con ordine. Gli animali: nessuna specie è risparmiata, si passa dai felini ai volatili, passando per “razze” assai poco convenzionali come i pianisti o gli animali dalle orecchie lunghe, che somigliano ben più a caricature di critici musicali che a semplici asini.

Un organico cameristico ci conduce in un viaggio dentro a un mondo tutto da scoprire che entusiasmerebbe un bambino stimolando la sua fantasia fiabesca, lasciandolo a bocca aperta all’avanzare del leone (primo brano, Marcia reale del leone), poi incredulo per l’insistenza del “cooccodè” delle galline, reso alla perfezione degli archi. “Che cos’è un emione?” si chiederebbe probabilmente un bambino, ascoltando il terzo brano.

E gli adulti, cosa potrebbero cogliere? L’ironia, certamente, innanzi tutto presente nelle citazioni: il tema del quarto brano (Tartarughe) è una versione molto lenta del famoso e travolgente Can-can tratto dall’operetta Orfeo all’inferno di Offenbach, qui adattato all’andatura dell’animale descritto. Gli elefanti del quinto brano contrastano con l’idea della citazione della Danza delle silfidi, leggiadre creature mitologiche a cui si riferiva Berlioz nella sua Dannazione di Faust.

Esilarante la descrizione caricaturale dei personaggi dalle orecchie lunghe, con le lamentose e acide sferzate acute dei violini che subito precipitano in basso, a incupirsi in cambiamenti d’umore (e d’opinione?) repentini. Il sarcasmo arriva all’apice nel brano numero 11, Pianisti, in cui per descrivere la “strana specie di musicisti” Saint-Saëns  sceglie di dipingerli come inesorabilmente chini sul proprio strumento a ripetere incessantemente esercizi elementari, senza alcun pathos.

Il compositore riesce anche a creare atmosfere incantevoli, come nel settimo brano, Acquario, misterioso e impalpabile, in cui gli arpeggi sembrano bollicine leggere create nell’acqua; oppure, specialmente, ne Il cigno, tredicesimo brano dell’opera, portato al successo in forma di balletto nel 1905 grazie alla coreografia del russo Michel Fokine, grande innovatore  della danza, che si unì ai Balletti Russi nel 1909.
Celeberrimo e coinvolgente il brano conclusivo, in cui nessuno manca all’appello nessuno dei caratteri variegati a comporre un rondò che ricapitola tutto il mondo presente nell’opera.

In fotografia spesso viene consigliata la lettura del testo Etologia di  Konrad Lorenz per imparare ad affrontare al meglio – e dunque a prevedere – i comportamenti di vari tipi umani, non distanti da quelli degli uccelli osservati dall’etologo; se potessi permettermi di dare un suggerimento a giovani fotografi ansiosi di diventare buoni osservatori, dunque attenti ascoltatori e conoscitori di caratteri, li esorterei ad ascoltare con attenzione Il carnevale degli animali.

Rimaniamo a Parigi, ma facciamo un salto in avanti nel tempo: il XX secolo è iniziato, i grandi nomi della musica restano, e in Francia non si può non parlare di Maurice Ravel (Ciboure, 1875 – Parigi, 1937). Ravel è ormai trentenne e ha alle spalle un carriera già di un certo peso quando, nel 1905, partecipa per la quarta volta al Prix de Rome (prestigiosa borsa di studio istituita dallo stato francese per premiare i più meritevoli nelle arti) e viene nuovamente eliminato. A un solo anno di distanza, a lui e a Claude Debussy, l’altro grande nome della musica francese – che il Prix de Rome l’aveva vinto vent’anni prima –, vennero commissionate due opere, per promuovere nuovi modelli di arpa: Debussy scrisse nel 1904 Danza sacra e profana, sfruttando l’arpa cromatica fabbricata da Pleyel, mentre Ravel l’anno successivo scrisse il settimino che ascolteremo stasera, Introduzione e Allegro per arpa, flauto, clarinetto e quartetto d’archi, su mandato di Érard, costruttore delle arpe a pedali a doppia azione, che sarebbero poi diventate l’arpa moderna.

L’opera (dedicata al proprietario dell’azienda Érard, Albert Blondel)  è assai breve, poco più di dieci minuti di musica, senza interruzione tra quelli che dal titolo sembrerebbero due movimenti distinti, ma tra i quali in realtà non vi è soluzione di continuità. Il compositore dipinge un paesaggio sonoro che sembra uscire dal pennello di un pittore impressionista: sullo sfondo gli archi e in primo piano, ma sempre con linee delicate e tal volta con insiemi di colori non delineati nettamente, arpa e fiati. Si sente Ravel, ma un Ravel attento alla musica del contemporaneo Debussy, di cui ammira l’uso dei timbri e l’orchestrazione e a cui rende omaggio proprio nell’uso di due strumenti da lui preferiti, quali arpa e flauto; la personalità di Ravel non manca nell’inventiva e nella sensibilità sempre raffinata.

Dopo tanto parlar di lui, ecco che abbiamo l’occasione di ascoltare pagine originariamente scritte da Debussy nel 1894, qui in quella che fu una versione del celeberrimo Prélude à l’après midi d’un faune, attribuita ad Arnold Schönberg (Vienna, 1874 – Los Angeles, 1951), datata 1918. La versione originale era per un vasto organico composto da tre flauti, due oboi, corno inglese, due clarinetti, due fagotti, quattro corni, due arpe, crotali, archi; la trascrizione di Schönberg è per un ensemble cameristico formato da dieci strumenti e nasce da un’esigenza molto nobile – la stessa per cui fondò nel 1918 a Vienna la Società per le esecuzioni musicali private – cioè presentare ai soci ogni settimana un’opera del periodo da Mahler alla contemporaneità, cercando di esaltarne i tratti con organici ridotti.  Partendo da una limitazione di organico data da questioni prettamente economiche, il Maestro (e con lui i suoi famosi allievi) trova nuovi spunti: spogliare le opere di orchestrazioni spesso imponenti, le rende più chiare e ne esalta la struttura solida, sciogliendone i nodi e rivelandone l’architettura. Secondo alcuni studi, la trascrizione dell’opera che ascolteremo non sarebbe ad opera del solo Schönberg, ma anche di alcuni suoi allievi, tra cui Hanns Eisler e Alban Berg; si sa, dagli appunti in partitura, che di certo  il Maestro la revisionò e l’approvò. Qualunque tra queste celebri firme porti, il brano in questione è uno splendido esempio di come la pratica della trascrizione possa riuscire nell’impresa di non togliere niente al brano originale, bensì di evidenziarne i pregi come l’incredibile varietà di timbri e colori, arricchendo il lavoro di un valore aggiunto da non sottovalutare mai: la chiarezza.

Restiamo in Francia, ma arrivando da Praga, con Bohuslav Martinů (Polička, 1890 – Liestal 1959).  Martinů si trasferisce a Parigi dalla Cecoslovacchia nel 1923, dopo essere stato espulso dal Conservatorio anni prima per  ben due volte per motivi disciplinari, riesce a vincere una borsa di studio che gli permette di trasferirsi in Francia dove studierà regolarmente con Albert Roussel ma, cosa molto rilevante per la sua maturazione artistica, frequentò Stravinskij e si interessò alle idee surrealiste.

La Revue de Cuisine è il primo successo del compositore e nasce in forma di balletto, nel 1927, commissionato insieme ad altri due balletti, ed eseguito la prima volta a Praga nello stesso anno. Il compositore tre anni dopo realizza una versione in suite da concerto per sei strumenti (pianoforte, violino, violoncello, clarinetto, fagotto e tromba) che verrà eseguita a Parigi e resterà la più celebre anche negli anni successivi.

All’ascolto risulta un’opera di semplice comprensione, ma non dobbiamo farci trarre in inganno perché questa semplicità non corrisponde a una povertà di spunti musicali: l’eclettismo di Martinů traspare nella caratterizzazione delle varie parti che compongono il lavoro. La vivace inventiva lo porta a passare da atmosfere seriose a momenti ironici, da virtuosismi eleganti a parti evidentemente legate al linguaggio del jazz, ma anche del folk più popolare (ad esempio nella parte 6, Charleston), in cui il ritmo coinvolgente non può lasciare indifferente l’ascoltatore. Nel balletto i protagonisti “suonavano” vari tipi di utensili da cucina, rendendo l’ironia e l’umorismo del brano ancora più presente; non da meno però è la versione da concerto in cui l’abilità del compositore sorprende per l’abilità artigianale di lavorare al meglio con una formazione come questa.

Ensemble dell’Orchestra da Camera di Mantova si compone di prime parti dell’Orchestra da Camera di Mantova, musicisti che, partecipi del progetto orchestrale, ne condividono il modo di fare musica, l’assidua ricerca della qualità sonora, la sensibilità ai problemi stilistici. L’Orchestra da Camera di Mantova nasce nel 1981 e s’impone da subito all’attenzione generale. Tanto che nel 1997 i critici musicali italiani le assegnano il Premio “Franco Abbiati”, quale miglior complesso da camera, «per la sensibilità stilistica e la metodica ricerca sulla sonorità che ripropone un momento di incontro esecutivo alto tra tradizione strumentale italiana e repertorio classico». La sede dell’Orchestra da Camera di Mantova è il Teatro Bibiena di Mantova, autentico gioiello di architettura e acustica. Nel corso della trentennale vita artistica l’Orchestra collabora con alcuni tra i più apprezzati direttori e solisti del panorama internazionale. Tra questi: Maria Joao Pires, Gidon Kremer, Aldo Ciccolini, Shlomo Mintz, Joshua Bell, Viktoria Mullova, Salvatore Accardo, Umberto Benedetti Michelangeli, Giuliano Carmignola, Uto Ughi, Mischa Maisky, Enrico Dindo, Mario Brunello, Miklos Perenyi, Sol Gabetta, Alexander Lonquich, Bruno Canino, Katia e Marielle Labeque, Maria Tipo, Kent Nagano e gli indimenticabili Astor Piazzola e Severino Gazzelloni. Protagonista di innumerevoli concerti in Italia e all’estero, si esibisce nei principali teatri e sale da concerto della maggior parte dei Paesi europei, di Stati Uniti, Centro e Sud America, d’Asia. Dal 1993, l’Orchestra da Camera di Mantova è impegnata nel rilancio delle attività musicali della sua città, attraverso la stagione concertistica “Tempo d’Orchestra”. Nel maggio 2013 ha dato vita al Mantova Chamber Music Festival “Trame sonore a Palazzo”: la prossima edizione è in programma dal 29 maggio al 20 giugno 2015.