Le date
I valzer degli Strauss
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla 30): € 19,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla 40): € 13,50 + prevendita
Balconata: € 10,50 + prevendita
Ridotti (Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Ass. Culturali, Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50 + prevendita
Balconata € 8,50 + prevendita
CARNET LIBERI DI SCEGLIERE:
da oggi sei libero di abbonarti a 6, 8 o 10 concerti della Stagione scegliendo in base alle tue preferenze e alle tue disponibilità senza dover rinunciare al vantaggio economico dell’abbonamento (i carnet costano da €. 56,40 a €. 163,00 a seconda del numero di concerti selezionati)
Per informazioni e prenotazioni:
promozione@ipomeriggi.it 02/87905267
Il Cast
Direttore: Giampaolo Bisanti
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
Johann Strauss Jr. (Neubau, 25 ottobre 1825 – Vienna, 3 giugno 1899)
Kaiser – Walzer
Lucifer Polka
Frühlingsstimmen
Trisch-Trasch Polka
Johann Strauss (Vater) (Leopoldstadt, 14 marzo 1804 – Vienna, 25 settembre 1849)
Chinese Galopp
Johann Strauss Jr.
Wiener Blut
* * *
Johann Strauss Jr.
Pizzicato Polka
Josef Strauss (Vienna, 20 agosto 1827 – Vienna, 22 luglio 1870)
Frauenherz
Johann Strauss Jr.
Künstlerleben
Tik-Tak Polka
An der schönen blauen Donau
Furioso Polka
Un vortice di leggerezza la nostalgia di Vienna a cura di Claudia Ferrari
Pronti, via: zum-pa-pa, zum-pa-pa, zum-pa-pa, famoso ritmo dei valzer di Vienna. Anzi, no: zum-pa-pa, zum-pa-pa. zum- pa…paaa”, se si mantiene la tradizione dal tardo Ottocento di inserire l’hesitation, un indugio sospeso attorno al terzo tempo. Implacabile, amato tempo in tre, che quasi ci costringe a muoverci, ma su cui non si può camminare, tanto meno marciare, e non ci può aggredire come il rock in due, ci sospinge in un vortice di leggerezza. Tempo così nelle fibre di chi ascolta e balla, così inesorabile, che chi l’esegue può anche darlo per scontato, e non ha bisogno di riaffermarlo andando a tempo: esita, si sospende, si precipita, perché la fantasia l’accende senza obblighi e scadenze, e la vertigine non si può organizzare. Pare ascoltare senza fine se stesso, sfuggirsi, ritrovarsi; e un poco ha il segno d’una civiltà felice, un poco quello d’una civiltà alla ricerca perenne d’un’illusione.
È il valzer per la Vienna ottocentesca, la Vienna dei caffè dove Beethoven rideva a alta voce e Brahms s’addormentava lieto con la testa appoggiata alla finestra della strada, Vienna delle osterie col pergolato dove Schubert si esibiva e i suoi amici l’ascoltavano ammaliati senza scoprire quanto fosse grande e quanto infelice. Delle torte coloratissime, coperte di fragole e mirtilli, delle donne raffinate o belle o capaci di fingere bellezza, delle grandi bianche stufe in terracotta invetriata dell’epoca di Maria Teresa conservate gelosamente nella case spaziose. La Vienna dei teatrini di periferia, dove poteva accadere che nascesse la favola del Flauto Magico alla fine del Settecento ed all’inizio del Novecento la frivola assurdità della Vedova allegra. Della passione per i giochi fatui, i giocattoli meccanici, la festa, ma tutto disciplinato dallo Stato in un saggio ordine.
È la Vienna del Novecento, dove il dottor Freud scopriva le dissociazioni, le ansie della gente e le misteriose sorgenti dentro a noi …
La storia della Vienna dal Congresso del 1815 fino alla finis Austriae, s’intreccia a quella della famiglia Strauss, i re del valzer. Due di loro, i più grandi, hanno dettato le armoniose leggi dello stile. Che prende dalla musica classica dei Grandi austriaci l’equilibrio sapiente dell’orchestra, imprimendo lo slancio della melodia, la lunga gittata delle idee, la continuità, il fluire d’una compagine ricca e vasta, tipicamente ottocentesca, che respira col palpito degli archi ma ha i colori, i timbri, le trasparenze e le riflessioni delle famiglie strumentali diverse, in una civiltà che, quanto a linguaggio, non fa sostanziali differenze fra classico e leggero. E a casa Strauss questo significava travolgenti emozioni, evocazioni tenere, saggi dialoghi tra archi e fiati, brividi di nostalgia subito risospinti nell’energia gioiosa del far musica.
Erano padre e figlio, Johann senior e junior. Il senior, che visse tra il 1804 e il 1849, politicamente gran conservatore, era ricciuto, nero, col naso camuso e la gran bocca sopra cui aveva fatto crescere i baffoni, i mitici “favoriti”, che salendo sul viso si univano alle basette; il figlio, che visse fra il 1825 e il 1899, era fine di lineamenti, nobile, magnetico. Tutt’e due, quando dirigevano, vestivano la divisa e portavano un pennacchio bianco, ma il padre aveva l’uniforme rossa, perché a capo del I Reggimento, il figlio, che era capo del II, azzurra. Il padre non avrebbe voluto che il figlio facesse da grande il musicista: sapeva quanta fatica costava, e aveva anche qualche problema finanziario, che per la verità sarebbe stato minore se non avesse avuto, a parte la famiglia, alcuni figli da una modista, alla fine otto.
Ma il figlio amava il pianoforte e lo suonava così così, da ragazzino, con conforto del padre; e il guaio fu quando imbracciò il violino e sua madre capì al volo chi era destinato a diventare, tanto che alla fine Johann senior si dovette arrendere; ma solo quando lasciò la famiglia per la modista, il figlio fu libero di studiare al meglio. Sperava, il padre, però, che almeno Junior avrebbe svolto la carriera nelle sale da concerto e all’opera. Ma il destino è destino, e d’altra parte il successo di quella danza era tale che, quando Junior aveva sette anni, già si calcolava che in città duecentomila persone, cioè mezza Vienna, ballassero il valzer.
Johann Strauss junior finì per scriverne centosessanta, e con gli altri ballabili arrivò attorno ai cinquecento. Scriveva in fretta, dirigeva la sua orchestra ogni giorno in un locale diverso; nelle circostanze ufficiali, come le favolose nozze di Francesco Giuseppe con la Principessa Sissi, veniva acclamato non meno del festeggiato per cui aveva composto un pezzo nuovo. Come il suo aspetto, anche la sua musica aveva leggerezza e aristocrazia. Se avete presente la Marcia Radetzky, quella dove alla fine del Concerto di Capodanno a Vienna il pubblico nel ritornello il pubblico segna il tempo battendo le mani, scritta da Johann Strauss senior, e oggi ascoltate con attenzione un’altra composizione dal ritmo “in due”, analoga, la Trisch-Trasch Polka, di suo figlio, vi sentite un’altra leggerezza, fuggevole, elegante. E in lui si sente anche la cifra tradizionale della famiglia Strauss, quella che peraltro appare anche nelle composizioni del suo onesto fratello Josef, parecchio meno dirompente ma interessante e civile.
Tutto avrebbe dovuto dare a Johann junior gioia e soddisfazione. Ma in tutta la sua esistenza fu inquieto e preoccupato. Visto da fuori, non ce n’era poi tutto questo motivo. Aveva una vita eccezionalmente animata con grandi trionfi, relazioni di amicizia e di stima straordinarie, vita sentimentale con alti e bassi ma non trascurabile: su tre mogli, solo con la seconda andò male, la prima, che aveva sette anni più di lui, e la terza che ne aveva venti in meno, furono compagne care ed eccellenti. Leggere la sua biografia è un’esperienza avvincente. Nei concerti, eseguiva grandi compositori e musica sua.
Si affermava in tournée prestigiose, anche alla Scala fu acclamato nella sala strapiena. Sarah Bernhardt, la grande attrice, diceva che voleva andare a Vienna solo per baciarlo. Johannes Brahms citò su un ventaglio l’inizio del Bel Danubio blu con la scritta “Note purtroppo non di Brahms”, Flaubert e Turgeniev lo stimavano molto, Schoenberg trascrisse il suo Valzer dell’Imperatore per gusto suo, il grande umorista Mark Twain andò a fumare un sigaro da lui gli ultimi giorni della sua vita. Johann Junior si crucciava che le sue operette non avevano avuto abbastanza successo.
Ad esempio Il pipistrello, libretto di stupidità cordiale e musica travolgente, si dava in teatrini poco importanti: era arrivato al Teatro di Corte, ma soltanto nel ciclo di recite pomeridiano.
Promemoria della danza
L’idea della danza come intrattenimento ha radici lontane, ma davvero atavica è la necessità dell’uomo di danzare. Presso le rare popolazioni che ancora oggi vivono in modo tribale, la danza è un vero e proprio linguaggio fondamentale, che regola l’avvicendarsi del tempo; così risulta esser stata anche per gli antichi egizi, che ne lasciarono testimonianza tramite le figurazioni su ceramiche e nei testi delle piramidi.
È nel rinascimento, con le corti signorili, che le danze nelle feste di corte diventano affermazione di un certo status sociale; inizialmente destinate comunque a dilettanti, solo dal Seicento inoltrato si assiste alla pubblicazione di testi specifici sull’argomento e all’intervento di ballerini professionisti.
Dal secolo successivo, anche grazie alla sempre più frequente organizzazione di balli pubblici, le danze iniziano a scandire ricorrenze e a sottolineare l’importanza di alcuni eventi. Nel periodo barocco nasce e si stabilisce nella struttura la cosiddetta suite, ossia una composizione strumentale costituita da forme di danza. Le radici della suite possono essere ricondotte al Cinquecento, quando era abitudine contrapporre due danze di carattere contrastante; nel Seicento e poi nel Settecento nella suite sono presenti almeno quattro danze. Il primo movimento di una suite è un’allemanda, moderata e in tempo semplice, binario (cioè in due tempi, uno forte e l’altro debole); segue la corrente, di origine italiana, in ¾ e decisamente più vivace della precedente. La sarabanda è anch’essa in tempo ternario ma – almeno per come la conosciamo, cioè nella sua stilizzazione franco-tedesca – è caratterizzata da uno stile molto severo e da un andamento lento; la suite si chiude con la giga che, con il suo tempo ternario mosso, vivace e assai svelto, costituisce un autentico finale travolgente.
Essendo la suite una struttura comunque abbastanza elastica, tra sarabanda e giga spesso vengono aggiunti altri movimenti come ad esempio la gavotta, moderata, in 4/4, la tipica danza utilizzata nei balletti da Lully ma scelta di frequente anche da Bach, Maestro anche nella composizione di suite. Da non dimenticare il minuetto, tra gli stili favoriti nel diciottesimo secolo: in ¾, anch’esso introdotto da Lully alla corte di Luigi XIV. Nell’Ottocento la parte del leone nelle danze, la fa la forma di valzer: di origini tedesche, fu proprio Strauss ad elaborarlo, creandone la tipica forma viennese, composta da un’introduzione generalmente in tempo binario e da cinque o sei sezioni (a cui si aggiunge una coda) in tempo ternario.
Nel Novecento la tradizione danzante cambia, in quanto è aperta a tutte le classi sociali, quindi diviene popolare, rendendo di fatto la suite e in generale i balli di sala un costume tipico dei secoli precedenti. C.F.
No, tu no
Ci si svegliava, il primo di gennaio, giusto in tempo, dopo la notte di festa, si accendeva il televisore, e insieme a mezzo mondo si riceveva il più pimpante ed armonioso augurio. Un direttore d’alta classe, un’orchestra miracolosa di bravura e d’eleganza, un repertorio che sapeva di storia, ma una storia in cui tutti ci ritrovavamo: valzer e altre danze con i Wiener Philharmoniker nel Concerto di Capodanno.
La sala d’oro di Vienna, fulgente casa della musica, le partiture della famiglia Strauss, milioni di spettatori.
Tutti hanno rinnovato l’appuntamento, gli altri; l’Italia no. In Italia questo abbraccio felice di speranze, di illusioni e nostalgie, di propositi, di bellezza è stato tradito dal palinsesto. Si deve guardare ed ascoltare il concerto di arie d’opera più un avanzo sinfonico dal Teatro la Fenice di Venezia: un direttore buono o titolato, un’orchestra che se la cava anche demotivata a accompagnare cantanti, tutto piuttosto dignitoso, ma perché? Venezia non ha meno fascino di Vienna, la Fenice è un teatro incantevole e seducente, ma in queste condizioni quale straordinarietà può offrire? Potrebbero riprenderla nel suo leggendario carnevale, con le maschere nelle strade che fan musica, e in teatro l’inimitabile Ballo della Cavalchina; potrebbero creare uno spettacolo in collegamento con altre città del mondo il primo giorno della Primavera, attorno al capolavoro di Vivaldi; inventare qualche magìa sugli infiniti luoghi della città con le musiche nate lì. No, bisogna copiare, essere autarchici. Si può vedere Vienna ed il suo Capodanno soltanto registrato, all’ora della digestione e quando gli altri popoli se ne sono già andati dal collegamento.
Danubio blu
Era nato come un pezzo per coro, ma era chiaro che non poteva fermarsi lì. E in pochi anni è diventato il simbolo della città di Vienna, anzi il suo inno non ufficiale ma che tutti sanno cantare voluttuosamente. Sembra, a pensarci, un gioco d’ironia con quell’inizio troppo semplice, che ognuno dei presenti può fischiettare; poi però si apre, si distende, prende ampiezza e lungo fluttuare. Ha la fama d’essere il valzer dei valzer. Atterrando a Vienna in aereo, normalmente viene diffuso. Un dirigente d’una compagnia che compie quel tragitto ha raccontato che se diffondono un altro disco c’è sempre qualcuno che protesta.