Le date
L. Mozart, Un viaggio in slitta
Mozart, Concerto per pianoforte e orchestra n. 20, K 466
Mozart, Concerto per pianoforte e orchestra n. 26, K 537
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla 30): € 19,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla 40): € 13,50 + prevendita
Balconata: € 10,50 + prevendita
Ridotti (Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Ass. Culturali, Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50 + prevendita
Balconata € 8,50 + prevendita
CARNET LIBERI DI SCEGLIERE:
da oggi sei libero di abbonarti a 6, 8 o 10 concerti della Stagione scegliendo in base alle tue preferenze e alle tue disponibilità senza dover rinunciare al vantaggio economico dell’abbonamento (i carnet costano da €. 56,40 a €. 163,00 a seconda del numero di concerti selezionati)
Per informazioni e prenotazioni:
promozione@ipomeriggi.it 02/87905267
Il Cast
Direttore e Pianoforte: Louis Lortie
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
Leopold Mozart
Un viaggio in slitta
Wolfgang Amadeus Mozart
Concerto per pianoforte e orchestra n. 20, K 466
Allegro – Andante – Allegro Assai
Concerto per pianoforte e orchestra n. 26, K 537
Allegro – Larghetto – Allegretto
Mozart: lo si capisce al primo ascolto: ma poi…
di Lorenzo Arruga
Ci sono frasi d’ogni epoca che si fissano nella memoria: col peso d’una profezia, con la leggerezza d’uno slogan. Dal Re Sole a De Gaulle, da Cicerone a Obama. A volte sono folgoranti rivelazioni d’una condizione o d’un’utopia, come in teatro: “Il mio regno per un cavallo”, grida o mormora Riccardo III in fuga; e Romeo dei Montecchi innamorato, sotto il balcone d Giulietta dei rivali Capuleti: “Chiamami solo amore e sarò ribattezzato”…
Nella storia della musica se n’è tramandata una col sapore di un vaticinio. Il Conte Waldstein a Beethoven ragazzo in partenza per Vienna: “Possa tu ricevere dalle mani di Haydn lo spirito di Mozart.”
Noi stiamo per riconoscerne il sigillo. Mai vi fu tanta vicinanza, anzi compenetrazione fra i due Grandi come nel Concerto per pianoforte e orchestra K 466. Beethoven lo amava più di tutto il resto di Mozart, ed arrivò a comporre una cadenza, di trascinante eloquenza e coerenza, da inserirvi al posto di quella che Mozart improvvisava, senza lasciarne una scritta. Si era nel 1785, quando Mozart lo compose, non ancora trentenne, e ancora ignaro delle vertiginose opere italiane che avrebbe creato su libretto di Da Ponte; a Vienna, dove lo presentò, non ebbe tempo, se mai ne avesse avuto l’intenzione, di graduare le invenzioni al gusto ancora elegantemente conversativo del frivolo pubblico, e tanto gli urgevano quelle densità di dramma e di fremiti che volle farlo ascoltare ed ascoltarlo anche se il tempo mancava, e non riuscì a provarlo tutto: al momento di cominciare l’esecuzione stava ancora per finire di correggere le copie dell’ultimo tempo, come racconta il padre Leopold in una lettera alla figlia Nannerl.
Ma la furia di mettere sul pentagramma quello che aveva già compiutamente nella testa, che era il suo inimitabile modo di comporre, non era nulla in confronto alla violenza furiosa con cui attacca di botto il concerto, nella tragica tonalità di Re minore – quella che avrebbe scelto per il Requiem e per la stupefacente apertura del Don Giovanni – con accordi sincopati e il progressivo disvelarsi del primo tema, nel registro grave dell’orchestra. Mai eravamo stati presi così di petto e di sorpresa, tanto più in un con certo classico con le regole modellate dalle sapienti mani di Haydn. E il primo tempo è un contrastare di timbri e di melodie drammatiche. Il secondo, mentre ci aveva abituati ad un sei ottavi da berceuse e da paradiso terrestre, è nella tonalità vicina di si bemolle, ma “in due”, soave sì nella bellezza, ma senza nulla di delizioso o cullante, ma, per dirla con Massimo Mila “un miracolo di intimità espressiva”. L’ultimo dispiega energia che scatena a un tratto in scale vorticose del pianoforte, e quando pare chiudere in modo drammatico offre invece un congedo sereno. Cortesia? Ironia? Provvisoria consolazione come se ci lasciasse affettuosamente ai nostri pensieri turbati? Com,’è inutile tentare di definire Mozart: Mozart è Mozart e basta.
Tant’ è vero che esattamente tre anni dopo ci mette di fronte a un’altra scelta imprevedibile ed opposta: il Concerto per pianoforte e orchestra K 537, detto dell’Incoronazione, che prende il nome da un’esecuzione successiva in occasione dell’incoronazione di Leopoldo II Imperatore. Concerto brillantissimo, felice, confortante: un intrattenimento virtuosistico, lontano dalla svolta dei concerti pianistici precedenti, in si sente un dramma e uno spessore umano che li ha fatti definire “psicologici” dagli studiosi. E ci chiediamo, insieme ai musicologi: sarà un adeguamento alla facilità del gusto viennese, non ancora del tutto uscito dalla leggerezza Bidermeier, e destinato ad essere costantemente attratto dal gioco, dal buon gusto che alliscia i problemi, dall’eleganza che a teatro manda a casa tranquilli? Ancora pochi mesi, e la città avrebbe accolto quasi con freddezza il Don Giovanni che Praga aveva salutato con enorme entusiasmo. Sarà invece un bisogno di semplificazione, quasi di purificazione dal gorgo dei sentimenti passionali ed insondabili? O addirittura una specie di ripasso delle possibilità di stupire, di intrattenere, di scatenare gli esecutori in una splendida gara trascinante fra solista e orchestra? O tutt’insieme o ancora un’altra cosa?
Certo, si ritorna all’adescamento gioioso del primo tempo, alla tenerezza cullante del secondo, alla sfrenata sicurezza del movimento finale. Come se fosse anche una sfida, uno sberleffo, alla disattenzione che i tedeschi avevano in quei tempi per lui, Mozart porta al compimento le potenzialità del Bidermeir e dello spettacolo pianistico, e poi l’abbandona, avvicinandosi il periodo delle ultime sinfonie di intensità stupefacente, del concerto per clarinetto, del Così fan tutte, del Flauto Magico, del Requiem, e della morte.
Come si fa guardare dentro a Mozart, e come si può esser tanto poveri da credere che le sue creature si esauriscano nel realizzare intenzioni? Si mette in moto l’invenzione e coinvolge verità impreviste e forze misteriose. Non molti giorni dopo il nostro concerto, avrebbe preparato un’aria per Aloysia Weber, suo primo grande amore non corrisposto, Ah, se in ciel benigne stelle: ed è un’offerta al suo virtuosismo di canto, che troviamo lontana dagli affetti di altre arie più grandi; tanto che vien da dubitare che il rapporto con lei sia ormai un’utopia lontana. Ma se invece potesse giocare sui colori della voce, se suonasse come un’intesa in un gesto, un regalo prezioso anche se non intriso di elementi personali, come un gioiello o un mazzo di fiori?
Lasciatevi meravigliare e condurre dal Concerto dell’Incoronazione: e non perdete certi fatti importanti, ancora legati alla psicologia. Come l’attacco del secondo tempo, con quell’esitazione sulla nota iniziale ribattuta, quasi volesse sottolineare l’incertezza dell’improvvisazione; e notate come proprio su quell’incertezza costruisca il tema che guida il discorso. Come la confessione d’un personaggio moderno.
Il programma si apre con una curiosità, la piccola composizione del padre di Mozart, Leopold, Un viaggio in slitta, gioco didattico che oggi diremmo interattivo, per la possibilità sperimentata dei musicisti ragazzi di unirsi agli strumentisti dell’organico ufficiale ed emettere effetti descrittivi. Se fossimo in un grande palazzo settecentesco, il posto giusto per eseguirla sarebbe un salone accanto a quello dei due Concerti di Mozart vero, tenendo ancora ornato un grande albero di Natale.
Glossario
CADENZA. Formula musicale che consiste dell’affidare al solista, cantante o strumentista, il compito di accumulare la tensione creata dall’orchestra immediatamente prima del finale, quasi prolungando e sospendendo il tempo e facendoci sentire la necessità della conclusione in cui rientra l’orchestra. Di solito avviene esaltando un contrasto di armonie, che si oppongono fra loro o vagano fino a indugiare su quella che gravita verso gli accordi finali nella tonalità del pezzo, e cattura l’attenzione scatenando virtuosismi del canto o dello strumento solista. Propria delle forme organizzate, ha la massima sua fortuna nel Settecento e nell’Ottocento. Significativamente è affidata all’improvvisazione del solista, chiamato ad interpretare in prima persona, con uso raposdico dei temi fino a quel momento esposti e sviluppati, l’irrepetibilità di quel prezioso momento: Mozart soleva lasciarne una scritta nei concerti più facili e non inserirne alcun esempio nei più difficili, prova che si richiedevano ai maggiori esecutori le maggiori capacità inventive.