Le date
Note
M° Alberto Martini
Direttore d’ orchestra
Alberto Martini si è diplomato a pieni voti presso il Conservatorio Dall’Abaco di Verona; si è poi perfezionato con il Maestro Corrado Romano al Conservatorio di Ginevra. Ha collaborato stabilmente come Primo violino di Spalla con molte e importanti orchestre tra cui quella del Teatro alla Scala di Milano, dei Pomeriggi Musicali, del Teatro Comunale di Bologna, del Teatro Lirico di Cagliari, collaborando con i più grandi direttori d’orchestra quali: Riccardo Muti, Riccardo Chailly, Valery Gergiev, Dmitri Yurovsky, Myun Whun Chung, Giuseppe Sinopoli, Yuri Temirkanov, ecc. Nel giugno del 2009 ha fatto il suo esordio come solista nella prestigiosa sala Isaac Stern nella Carnagie Hall di New York interpretando il Concerto in Re maggiore per violino e orchestra di Mozart, riscuotendo un eccezionale successo personale in un auditorium completamente esaurito. Con I Virtuosi Italiani, di cui è il direttore artistico e il Primo violino dal 2006, ha collaborato con solisti di fama internazionale tra i quali ricordiamo: Mariella Devia, Barbara Hendricks, Giuliano Carmignola, Fabio Biondi, Maxence Larrieu, Enzo Dara, Claudio Desderi, Katia Ricciarelli, Cecilia Gasdia, Vincenzo La Scola, Misha Maisky, Andres Mustonen, Ilya Grubert, Lazar Berman, Pavel Vernikov, Bruno Giuranna, Lev Markiz, Patrick Gallois, Natalia Gutman e Julian Rachlin. Ilya Gringolts, Dmitry Sitkovetsky e molti altri. Significativo poi l’interesse da sempre dimostrato per il repertorio di confine che ha portato alla realizzazione di importanti progetti molto apprezzati da un pubblico eterogeneo e molto numeroso, con Chick Corea, Goran Bregovic, Michael Nyman, Franco Battiato, Ludovico Einaudi, Philipp Glass, Giovanni Allevi, Elio e altri. L’attività discografica, che lo vede protagonista come direttore e concertatore è ricchissima con più di cinquanta CD registrati per le case discografiche più importanti del mercato, come Chandos, Emi, Naxos, Dynamic, Verany e Tactus ed oltre quattrocentomila mila dischi venduti in tutto il mondo. Ha ricevuto vari premi discografici, tra i quali: Cinque Stelle premio Goldberg della omonima rivista tedesca, il Diapason d’Oro della rivista francese “Diapason”; Choc de la Musique della rivista francese “Le Monde de la Musique”, oltre a varie 5 stelle della rivista italiana “Musica”. È titolare della cattedra di Violino presso il Conservatorio Statale di Musica Luca Marenzio di Brescia. È docente ospite del Master sul Marketing dello spettacolo organizzato dal Conservatorio Bonporti di Trento. Regolarmente è invitato a tenere masterclass in varie Istituzioni Italiane e estere, e da qualche anno ha avviato una importante collaborazione con l’Università TCU di Fort Worth in Texas (USA), sede della prestigiosa competizione musicale Van Cliburn. Suona su un prezioso strumento costruito da Joseph Gagliano a Napoli nel 1765 e su un magnifico violino costruito da Marino Capicchioni nel 1967.
Stefan Milenkovich
Violino solista
Nativo di Belgrado, ha iniziato lo studio del violino all’età di tre anni, dimostrando subito un raro talento che lo porta alla sua prima apparizione con l’orchestra, come solista, all’età di sei anni ed incominciando una carriera che lo ha portato ad esibirsi in tutto il mondo. È stato invitato, all’età di 10 anni, a suonare per il presidente Ronald Reagan in un concerto natalizio a Washington, per il presidente Mikhail Gorbaciov quando aveva 11 anni e per il Papa Giovanni Paolo II all’età di 14 anni. Ha festeggiato il suo millesimo concerto all’età di sedici anni a Monterrey in Messico. S.Milenkovich è stato vincitore di molti premi partecipando ai più importanti concorsi internazionali: il Concorso di Indianapolis (USA), il “Tibor Varga” (Svizzera), il “Queen Elizabeth” (Bruxelles), lo “Yehudi Menuhin”(Gran Bretagna), il “Ludwig Spohr” di Weimar ed il Concorso di Hannover (Germania), il “Lipizer”di Gorizia ed il “Paganini” di Genova in Italia. Riconosciuto a livello internazionale per le sue eccezionali doti tecniche ed interpretative, ha suonato come solista con l’Orchestra Sinfonica di Berlino, l’Orchestra di Stato di San Pietroburgo, l’Orchestra del Teatro Bolshoj, la Helsinki Philharmonic, l’Orchestra di Radio-France, l’Orchestra Nazionale del Belgio, la Filarmonica di Belgrado, l’Orchestra di Stato del Messico, l’Orchestra Sinfonica di Stato di San Paolo, l’Orpheus Chamber Orchestra, le Orchestre di Melbourne e del Queensland in Australia, l’Indianapolis Symphony Orchestra, la New York Chamber Symphony Orchestra, la Chicago Symphony Orchestra, collaborando con direttori del calibro di Lorin Maazel, Daniel Oren, Lu Jia, Lior Shambadal, Vladimir Fedoseyev, Sir Neville Marriner. La sua discografia include tra l’altro le Sonate e le Partite di J.S.Bach, e l’integrale per la Dynamic (2003) delle composizioni di Paganini per violino solo. Stefan Milenkovich è impegnato anche in cause umanitarie: tra l’altro nel 2003 gli è stato attribuito a Belgrado il riconoscimento “Most Human Person”. Ha inoltre partecipato a numerosi concerti patrocinati dall’UNESCO a Parigi, esibendosi al fianco di Placido Domingo, Lorin Maazel, Alexis Weissenberg e Sir Yehudi Menuhin. Dedito anche all’insegnamento, dal 2002 è stato assistente di Itzhak Perlman alla Juilliard School di New York, prima di accettare l’attuale incarico di Professore di violino all’Università dell’Illinois,USA.
I Virtuosi Italiani
I Virtuosi Italiani, complesso nato nel 1989, è una delle formazioni più attive e qualificate nel panorama artistico internazionale. L’internazionalità e la versatilità dell’attività de I Virtuosi Italiani vedono in questi ultimi progetti: MOZartoons (una famosa opera mozartiana resa multimediale con una messa in scena attraverso dei cartoni animati disegnati ad hoc), Evolution con Giovanni Allevi, Jazz Lightning con il pianista jazz Uri Caine, un progetto in esclusiva con Cesare Picco dedicato al più antico e importante romanzo della cultura giapponese Genji Monogatari, Back to Bach con il famoso trombettista jazz Paolo Fresu e altri. Tra gli impegni recenti più rilevanti dell’ultimo triennio si segnalano il Concerto per il Senato della Repubblica Italiana e trasmesso in diretta da RAI 1, il Concerto per la Vita e per la Pace eseguito a Roma, Betlemme e Gerusalemme e trasmesso dalla RAI in Mondovisione, il Concerto presso l’Aula Paolo VI (Aula Nervi) alla presenza del Santo Padre Benedetto XVI, il debutto alla Royal Albert Hall di Londra. I Virtuosi Italiani dal 2011 sono complesso residente con una Stagione Concertistica a Venezia nella Chiesa dell’Ospedale della Pietà. I Virtuosi Italiani si sono esibiti per i più importanti teatri e per i principali enti musicali italiani e stranieri quali il Teatro alla Scala, I Pomeriggi Musicali e la Sala Verdi a Milano, il Maggio Musicale Fiorentino, il Teatro La Fenice, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, il Teatro Comunale di Modena, il Teatro Regio di Parma, il Teatro Filarmonico di Verona, l’Arena di Verona, l’Associazione Barattelli di L’Aquila, l’Unione Musicale di Torino, l’Istituzione Universitaria dei Concerti di Roma, il Teatro alla Pergola di Firenze, la Società Filarmonica di Roma e molti altri.
Direttore: Alberto Martini
Violino: Stefan Milenkovich
I Virtuosi Italiani
Biglietteria
DIVERSE SOLUZIONI DI ABBONAMENTI
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BIGLIETTI
(ingressi singoli)
Interi:
Primo Settore (Platea, da fila 1 a fila 30) € 20,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, da fila 31 a fila 40) € 14,50 + prevendita
Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotti*
Primo Settore (Platea da fila 1 a fila 30) € 16,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea da fila 31 a fila 40) € 12,50 + prevendita
Balconata € 9,00 + prevendita
*(Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Associazioni Culturali; Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Il Cast
Direttore: Alberto Martini
Violino: Stefan Milenkovich
I Virtuosi Italiani
Note di sala
Gioachino Rossini (1792-1868)
Sonata n. 3 in do maggiore per archi
Allegro
Andante
Moderato
Niccolò Paganini (1782-1840)
Concerto n. 2 per violino e orchestra in si minore op. 7 “La campanella”
Allegro maestoso
Adagio
Rondo “La Campanella”
* * *
Antonín Dvořák (1841-1904)
Serenata per archi in mi maggiore op. 22
Moderato
Menuetto: Allegro con moto
Scherzo: Vivace
Larghetto
Finale: Allegro vivace
Note di sala a cura di Guido Barbieri
A quattordici anni lo chiamavo il “tedeschino” perché studiava con accanimento la musica da camera di Haydn e Mozart. Ma a dodici Gioachino Rossini non era ancora uno studente di conservatorio e la sua cultura musicale, per quanto precoce, era ancora legata ai modelli della sinfonia italiana. Più che ai Divertimenti di Mozart o ai Quartetti di Haydn le sei Sonate a quattro composte nel 1804 per la famiglia Triossi di Ravenna, sembrano guardare dunque alle Sinfonie di Giovanni Battista Sammartini, autentico precursore della tradizione sinfonica italiana. Lo conferma non soltanto l’organico originale (due violini, violoncello e contrabbasso) che non richiama certo quello del quartetto, ma anche la suddivisione in movimenti: tre – secondo la successione veloce-lento-veloce – che ricalca appunto l’architettura delle 69 opere sinfoniche di Sammartini. Alla tradizione italiana – più che a quella austriaca – guarda del resto anche il linguaggio compositivo del giovanissimo Rossini: un vocabolario armonico basato sui gradi fondamentali, un tematismo generoso, ma non ingabbiato negli schemi della forma sonata, una sostanziale indipendenza tra le parti, mai sottoposte ad un trattamento contrappuntistico troppo rigido e scolastico.
Una eco invece del Rossini maturo, quello delle febbrili opere comiche degli anni Dieci, si coglie, un po’ a sorpresa, nel Concerto n. 2 per violino e orchestra in si minore op. 7 “La campanella” di Niccolò Paganini, composto a Napoli nel 1826: una prima “evocazione” si coglie ad esempio nella seconda metà dell’introduzione orchestrale dell’Allegro maestoso, molto simile all’andamento di una tipica aria buffa rossiniana. Ma non è l’unica citazione più o meno esplicita che si trova in partitura: l’attacco del secondo movimento, ad esempio, sembra un calco quasi letterale di un Concerto per violino di Giovanni Battista Viotti. Una conferma del fatto che Paganini, pur conoscendo a fondo l’arte della strumentazione, tende, nella scrittura orchestrale, ad un certo disinvolto eclettismo stilistico. Personalissima e inimitabile invece la scrittura solistica. L’intero Concerto è attraversato da una irresistibile e travolgente carica improvvisativa che la notazione grafica riflette solo parzialmente. Il movimento inziale, il più ampio, esibisce, quasi provocatoriamente, le figure virtuosistiche che Paganini improvvisava durante le sue leggendarie esibizioni e che poi metteva sulla carta, approssimandole, probabilmente, per difetto: corde doppie e triple, suoni armonici scovati nel registro sopracuto, arpeggi, suoni gravi sulla quarta corda, passaggi repentini tra registro acuto e registro grave. Una esuberanza parossistica di effetti sonori che travolge la classica struttura sonatistica in favore della giustapposizione irrelata di tre temi diversi. Più canonica l’architettura degli altri due movimenti: l’Adagio centrale è un’aria d’opera (di opera seria, questa volta) ricca di fioriture tipicamente vocali, mentre il Rondò conclusivo è segnato, nei tre refrain che si alternano ai due regolari couplet, dall’imitazione orchestrale di una vitrea, irreale “campanella” in dialogo con gli armonici del violino. È invenzione che attribuisce al Concerto la sua leggendaria denominazione “La campanella”, appunto, e che verrà sottoposta, durante tutto l’Ottocento, a innumerevoli tentativi di imitazione. Liszt e Strauss in testa.
Nonostante sia nata nel 1875 la Serenata per archi in mi maggiore op. 22 di Antonin Dvorak si richiama esplicitamente – ben più delle Sonate di Rossini – al modello del divertimento, della cassazione o della serenata (termini spesso intercambiabili) di matrice settecentesca. Il riferimento ad un modello classico non è soltanto l’omaggio di Dvorak ad una tradizione arcaica, ma determina il carattere stilistico della Serenata. La scrittura strumentale, infatti, rimane prodigiosamente in bilico tra l’astrattezza dei procedimenti formali dei cinque movimenti (l’uso del contrappunto, la simmetria delle forme ternarie, il ricorso a temi di carattere ciclico, ecc…) e gli insopprimibili impulsi che discendono invece dalla musica folclorica boema: ritmi e metri di danza, una certa, febbrile impulsività ritmica nei movimenti veloci, melopee esplicitamente popolari in quelli lenti. Una perfetta sintesi stilistica che appartiene – come si sa – anche alle opere maggiori di Antonin Dvorak.