A.V. - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 26 febbraio 2009
Ore: 20:30
sabato 28 febbraio 2009
Ore: 17:00

PROGRAMMA DI SALA:
a cura di Edgar  VALLORA

BEETHOVEN
–  Concerto per violino, violoncello, pianoforte e orchestra  Op.56
Universalmente conosciuto come “Triplo” e indiscutibilmente amato per l’intrigo di un organico decisamente singolare (rari, nella storia della musica, i concerti per due o più strumenti solisti) l’Op.56 è viceversa bollata dalla critica come un’opera “fragile” sotto il profilo artistico, se non addirittura “sbagliata” (colorita, e un poco crudele,  l’espressione di Carli Ballola che la considera una “buccia di banana del genere brillante”).
Iniziato nel 1803 ma messo a punto solamente dopo un anno, tra l’aprile e il settembre 1804, il Concerto Op.56 costituisce un lavoro “mirato”, in quanto destinato a tre esecutori conosciuti e prescelti in anticipo: precisamente il violoncellista Anton Kraft, solista di eccelso valore, il violinista August Seidler e, per ultimo, l’Arciduca Rodolfo, allievo di pianoforte di Beehoven e “dilettante” dal morboso amore per la musica.
In termini generali, il “Triplo” rappresenta fuori da ogni dubbio un intrigante esperimento stilistico sulle tracce delle sinfonie concertanti (ricordiamo, una su tutte, quel capolavoro di Mozart che è il K364, per violino e viola): un tentativo-soluzione di conciliare il vero e proprio concerto per strumento solista con la formula del “concerto grosso” di antica memoria (struttura sinfonica nella quale un gruppo di solisti si stacca dalla compagine orchestrale e dialoga autonomamente con essa). In campo specifico, invece, la disparità derivante dai differenti livelli tecnici dei tre esecutori (una gamma cha andava dalla sicura professionalità del virtuoso Kraft alla preparazione pressoché dilettantesca di Rodolfo) fu causa prima dello squilibrio formale dell’opera e di quel “piccolo fallimento” che la critica ha addebitato a Beethoven.
Appare subito evidente l’egoistica predominanza della parte del violoncello, soprattutto se comparata alla timida limitatezza della scrittura del pianoforte. Sono proprio questi  condizionamenti (scelti e imposti al tempo stesso) che hanno inferto certe piccole ferite alla partitura, accusata da più parti di essere “slegata”, “sommaria”, “disomogenea”, priva di sviluppi integrati e paritetici: una pagina, in conclusione, lontana anni luce dall’organico equilibrio delle Sinfonie concertanti di Mozart.
Dopo un Allegro che tende a rifugiarsi nella rassicurante cordialità della musica da camera (soprattutto a livello delle sonorità),  nel Largo che segue, pagina ispirata da composto e nobile lirismo, la parte del leone è decisamente affidata al violoncello, mentre violino e pianoforte si limitano a sostenere il collega “tenore” con interventi puntuali ma sempre subordinati.
Dove il Concerto prende decisamente quota è nel Rondò finale,  da tutti considerato “il movimento più risolto ed equilibrato”. Si tratta di un brano di accattivante seduzione (in parte dovuta al taglio di Polonaise che lo caratterizza), di convincente ispirazione, indimenticabile per certi couplets disinvolti, gustosi, ricchi di temperamento. In effetti, al di là delle scontate, piccole pecche su cui tutti si sono accaniti, è doveroso puntare l’attenzione su aspetti meno scontati dell’opera in generale: sulla cortese nobiltà dei temi, sulla raffinatezza di certe modulazioni,  sul riservato intimismo del tempo lento; sull’originale ponte di passaggio al Rondò, e soprattutto – al di là delle   insidie circa la disparità tecnica delle voci soliste – sul livello magistrale con cui viene risolto il dialogo dei tre “compari” con l’orchestra alle spalle.

Il “Triplo” fu presentato nel palazzo del principe Lobkowitz – al quale tra l’altro la partitura fu dedicata – dai tre esecutori candidatii, e cioè Kraft, Seidler e Rodolfo.
Uno dei più appassionati estimatori del compositore era proprio il principe Lobkowitz, il quale  ospitò molte volte  Beethoven nel suo palazzo per Accademie private (al Kunsthistorisches Museum di Vienna possiamo ammirare un dipinto di Bernardo Bellotto, nel quale è visibile il palazzo del principe.
Quando le condizioni finanziarie di Beethoven si fecero ingrate  fu proprio Lobkowitz – insieme a Kinsky e al fratello dell’Imperatore, appunto l’arciduca Rodolfo – a pagare una sorta di “pensione” che lo mettesse al riparo dall’indigenza e gli permettesse di continuare a vivere a Vienna.

MOZARTSinfonia K.551 (n.41) “Jupiter”
Composta nella tormentata estate del 1788, la Sinfonia viene a chiudere l’affresco delle tre ultime Sinfonie (K 543 del 26 giugno, K550 del 25 luglio e K 551 del 10 agosto), in genere esaminate come un unicum di inscindibile valore creativo: “opere complementari nello spirito, nello stato d’animo, e nel colorito orchestrale, che costituiscono il grande lascito sinfonico di Mozart” (Mila).
Come già per le due Sinfonie che precedono, sono avvolti nell’oscurità i motivi e le finalità di questo ciclo così imponente: pare che Mozart custodisse la speranza di presentarle in qualche Accademia viennese, ma al riguardo non si possiedono notizie certe (Robbins Landon è tra i pochi studiosi a sostenere che esse furono realmente eseguite). Così la K 551 – sintesi (nel significato hegeliano di tesi, antitesi e sintesi) dei due momenti precedenti, della luminosa saldezza della K 543 e dell’instabilità emotiva della K 550 – ha assunto la connotazione di coronamento finale dell’esperienza sinfonica, come se l’autore avesse avuto coscienza di affidare a queste pagine il proprio testamento spirituale.
In effetti si tratta di un’opera di smisurate dimensioni nella quale la sapienza musicale, legata a problemi contrappuntistici, armonici e timbrici si sciolgono nella più naturale e confortante delle espressioni. L’organismo – costruito con “antico spirito artigianale” (Paumgartner)  – è autorevolmente complesso: il linguaggio appare come una composita fusione di differenti linguaggi (il linguaggio delle sinfonie, dell’opera buffa, della musica da camera) mentre la sfera tematica affronta per la prima volta l’avventura dei “legami trasversali” e l’origine delle “cellule tematiche”, che concorrono alla formazione dell’edificio.
Nonostante l’elaborato impianto architettonico e l’olimpica monumentalità della Sinfonia (per merito della quale essa si guadagnò, da parte di qualche ignoto editore, la denominazione di “Jupiter”), la partitura non dimentica un’ideale di semplicità, di leggerezza, di trasparenza, che viene raggiunto attraverso l’inconsueta orchestrazione, a volte devota all’intimità della musica da camera.
La K 551 presenta i classici quattro tempi: un Allegro vivace, un Andante cantabile, un Minuetto; e si conclude in un immenso Finale nel quale il celebre “motto mozartiano” di quattro note (comparso innumerevoli volte nelle sue pagine) diventa il fulcro per una delle più imponenti edificazioni musicali mai concepite nel mondo musicale, “uno dei tre, quattro istanti di calor bianco in tutta la storia della musica”. A proposito di questa pagina, perfetta la chiosa di Pestelli: “Vuotato il sacco dell’umor nero, la K 551 trova nel sottotitolo “Jupiter” una giusta approssimazione alla sua natura solare, culminando in quella architettura in movimento che è il Finale, congiunzione perfetta di “fuga” e “forma sonata”, sbalzata con la divina allegria del compositore che sente di mettere un punto fermo alla forma raccolta vent’anni prima, come una pianticella sul nascere fra Londra; Vienna e la pianura padana”.

“Furono mai eseguite – si legge in una “fantasia” del musicologo-letterato Ghéon – queste tre meraviglie? Senza dubbio in uno dei concerti in quello scalcagnato Casinò di cui parla Mozart in una lettera a Puchberg, suo “invisibile aiutatore”. Furono comprese e applaudite dal pubblico? Non lo sappiamo. Il barone van Swieten, che era ricco e generoso, e solito a sovvenzionare importanti Accademie, questa volta si limitò a dare qualche spicciolo; e a commissionare qualche piccolo incarico al maestro, come la riorchestrazione di “Aci e Galatea” e, pochi mesi dopo, del “Messia” di Haendel…”.

Il Cast

Direttore: Antonello Manacorda
Trio: Trio Jean Paul
Orchestra: I Pomeriggi Musicali