Le date
Andry Yurkevych, direttore
Alexey Chuksin, pianoforte
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Sergej Vasil’evič Rachmaninov
(Oneg, Novgorod, 1° aprile 1873 – Beverly Hills, California, 28 marzo 1943)
Concerto per pianoforte e orchestra n.2 op.18 in do minore
Moderato
Adagio sostenuto
Allegro scherzando
Aleksandr Porfir’evič Borodin
(Pietroburgo, 12/24 novembre 1833 – ivi, 27 febbraio/11 marzo 1887)
Sinfonia n.1 in mi bemolle maggiore
Adagio – Allegro – Andantino
Scherzo: Presto – Trio: Allegro
Andante
Allegro molto vivo
Note di sala:
a cura di Andrea Dicht
Sul talento di Rachmaninov non ci sono dubbi: un ampio catalogo di opere ed un successo incontrastato e duraturo ne sono i caposaldi. Sulle ragioni della sua fama, invece, la critica non cessa di porsi domande: fu un genio? Se decidiamo che lo fu, quale fu la portata della sua arte e di cosa la musica gli è debitrice?
A volte, forse, bisogna avere del coraggio e superare gli schemi critici nei quali siamo soliti ingabbiare gli artisti, per tornare a quella domanda che inevitabilmente balza alla nostra immaginazione: mi piace? E’ una domanda lecita, oggi più che mai, e altrettanto lo è il chiedersi le ragioni di un gradimento.
Rachmaninov fu un artista di talento, sia come pianista (e non solo le memorie di chi lo ascoltò, ma anche numerosi rulli registrati lo testimoniano), sia come compositore. Fu però un artista pigro. Lavorava, sì, di buona lena, ma apparentemente senza conservare negli anni della maturità quell’urgenza esistenziale e giovanile che altri mantennero. Amava essere apprezzato, forse aveva troppo bisogno dell’approvazione altrui, e fu proprio questo a portarlo ad una crisi creativa dalla quale si rialzò con fatica.
I fatti sono noti: la sua Prima Sinfonia (1897) viene eseguita per la prima volta. Il direttore, Glazunov, è ubriaco, l’orchestra non ha provato abbastanza il brano, Cesar Cui su un giornale scrive che è “perversa e malvagia”. E’ un totale insuccesso. Rachmaninov non riesce più a comporre per i successivi tre anni. Il suo fidato amico Šaljapin, cantante già allora di grande successo e appena scritturato dal Teatro alla Scala di Milano per il ruolo principale nel Mefistofele, lo accompagna ad esibirsi presso la dimora del venerato Tolstoj il quale, privo di ogni tatto, così lo apostrofa: “C’è qualcuno che necessiti di musica come questa? Nulla mi è piaciuto; non ha senso, come Beethoven, Lermontov e Puškin”.
Rachmaninov sprofonda della depressione più nera. Aveva lasciato il pubblico londinese, che tanto successo gli aveva decretato, con la promessa di un nuovo concerto per pianoforte e orchestra, ritenendo il già esistente n.1 inadatto alla grande occasione. Davanti ad un blocco creativo tanto persistente un amico di famiglia, medico, decise di far visitare Sergej dal collega Nikolaj Vladimirovič Dahl, un medico internista pratico di sedute di ipnosi, appassionato musicofilo e violoncellista dilettante. Rachmaninov accettò di buon grado la proposta e le sedute quotidiane (e gratuite) si protrassero per un’intera estate, al termine della quale cominciò una fase compositiva estremamente fertile che comprese il Concerto stasera in programma, la Sonata op.19 per violoncello e pianoforte, la cantata “Primavera” per baritono e orchestra e alcuni schizzi della Suite per due pianoforti.
Rachmaninov, nonostante la cura, rimase comunque sempre un compositore fragile, il cui equilibrio poteva essere disturbato dagli eventi più trascurabili. “La musica dev’essere l’espressione della complessa personalità del compositore. Deve esprimere il suo paese di nascita, i suoi amori, la sua religiosità, i libri che l’hanno influenzato, le pitture che ama. La somma totale delle sue esperienze”. Questo era il credo di Rachmaninov, e questa sua affermazione può essere un buon punto di partenza per tornare all’indagine da cui eravamo partiti, quella riguardo al giudizio di valore che vogliamo emettere su questa complessa personalità ed il suo talento.
L’estetica a cui si riferisce la sua musica è indiscutibilmente tardo-romantica, radicata nell’Ottocento e piuttosto immune dagli slanci espressionistici tedeschi ed austriaci o dalle teorie della Scuola di Vienna. Affermare che Rachmaninov creò un linguaggio suo proprio è eccessivo, nondimeno è indiscutibile che il suo tratto si scorga sempre chiaramente e ne riveli la paternità di ogni nota che ci ha lasciato.
Ciò che rende indimenticabile il suo Secondo Concerto è forse proprio la “sincerità” quasi infantile che caratterizza l’incedere del brano, nell’arco dei tre movimenti. Pur se sorretto da un’architettura ben strutturata e da una coesione formale eccellente, è proprio l’elemento discorsivo ad avvincere l’ascoltatore, conducendolo in un mondo nel quale c’è tempo per ascoltare, una dimensione che ricorda la durée di Bergson, il luogo della percezione libera e senza barriere. Un mondo, però, che per svelarsi richiede tutta l’attenzione dell’ascoltatore e la più ampia libertà di giudizio.
Il primo movimento, Moderato, si apre con il pianoforte solo impegnato in una serie di accordi che ricordano il suono di campane distanti. È una sonorità tipica di Rachmaninov, che richiama l’antico amore tutto russo per il timbro scuro di campane di grandi dimensioni, dal suono grave e pieno. I rintocchi aumentano la loro intensità fino all’unirsi dell’orchestra con passione nell’enunciazione del tema principale di questo primo movimento e dell’intero brano. Gli archi intonano una melodia severa e malinconica, cupa ma non disperata, pronta ad aperture, in cerca di un elemento di stimolo. I violoncelli prendono le fila del discorso e la melodia acquista quota, mantenendo sullo sfondo il solista, fino ad un episodio della sola orchestra che conduce alla presentazione del secondo tema, da parte del pianoforte. Il materiale melodico verrà d’ora in poi sviluppato in maniera molto lirica, con il successivo riapparire del primo tema, su un contrappunto marziale del solista, ed il ritorno del secondo, affidato al corno su un impercettibile tremolo degli archi. Una concisa coda ed un’improvvisa ritmica conclusione incorniciano il brano.
L’Adagio sostenuto (un Andante secondo le intenzioni del manoscritto di Rachmaninov) è una breve pagina sullo stile del notturno, che si apre con gli archi in sordina che fanno da sfondo a piccole frasi (flauto, clarinetto e oboe) legate al secondo tema del precedente movimento e abbellite dalla mano destra del pianoforte. Dai legni si passa ai timbri scuri di fagotto e viole, che tanta parte hanno in questo Concerto. Per un breve momento il pianoforte sembra esplodere in una girandola di fuochi di artificio, in un episodio di Cadenza che però rapidamente torna ad acquietarsi nei modi lunari dell’inizio.
Il finale, Allegro scherzando, inizia con un ritmico parlottare degli strumenti gravi dell’orchestra, ai quali risponde un’improvvisa e guizzante Cadenza del pianoforte che introduce il ritmo portante di questo movimento. Nonostante l’ambito emozionale diversissimo dal lirismo che lo ha preceduto, anche questa sezione ritmica appare imparentata melodicamente ai temi dei tempi precedenti. Una volta sedato il ritmo, è di nuovo il canto a tornare con quella che forse è la melodia più famosa del concerto, intonata dalle viole e dall’oboe. Il solista la riprende in un appassionato sviluppo che conduce con sorpresa ad un episodio di calma quasi serafica. Ma le atmosfere dello Scherzo tornano e conducono rapidamente ad un precipitoso Presto. Nonostante la forza ritmica, le frasi melodiche continuano ad apparire fino ad arrivare ad una girandola finale di grande efficacia.
Collegare la biografia di un compositore alla sua opera è sempre un’operazione pericolosa, ed in queste pagine ne abbiamo parlato spesso. Rachmaninov, però, con le sue parole ha gettato un ponte di comunicazione tra le due sfere, rendendo così lecito, anzi, obbigatorio, un rapporto tra vita ed arte. E allora come resistere alla tentazione di leggere psicanaliticamente le eroiche ed improvvise uscite del pianoforte, la stasi di certe armonie sospese, come non conferire un senso teatrale e drammatico alla sua musica? Dahl, lo psichiatra, era ancora agli albori della terapia ipnotica, e spesso si è detto che la sua cura risiedette più nelle lunghe conversazioni con il compositore che sulle sedute in studio. Freud risolse i problemi matrimoniali di Mahler con una passeggiata di quattro ore. I compositori sono uomini, e probabilmente una parte del successo imperituro di questo Concerto è proprio nella disperata e irriducibile umanità che esprime.
Il rapporto tra l’equilibrio mentale e l’attività creativa è un argomento che da sempre attrae il pubblico, dalle premesse faustiane alle moderne sottigliezze psicanalitiche. Periodicamente gli studiosi ci propongono chiavi di lettura volte ad interpretare il mistero della creazione musicale in termini magici o paranormali piuttosto che come il divino connubio tra solidità tecnica, capacità di sintesi e fantasia (ed in questo contrasto irrisolto riposa un’irriducibile dilemma filosofico tra essere e divenire).
Non tutti i compositori, però, furono anime tormentate o particolarmente sensibili. Borodin, ad esempio, nonostante ci abbia lasciato un corpus di musiche sempre di alto livello, visse la sua arte con il distacco e la serenità di un dilettante dotato di preparazione tecnica ed entusiasmo e, sorprendentemente, senza l’insicurezza dell’autodidatta quale egli fu.
Borodin fu un medico, laureato brillantemente a 21 anni, professore di chimica a soli 28 presso l’Accademia di Medicina di Pietroburgo, fondatore della scuola femminile di medicina, uno scienziato impegnato nella carriera e nell’attività filantropica. “Un compositore domenicale che si sforza di restare oscuro” si definì presentandosi a Balakirev, un incontro destinato a renderlo suo malgrado famoso. Balakirev stesso, seppur ammirato dal caposcuola Glinka, era un personaggio bizzarro: creò il famoso Gruppo dei Cinque (al quale aderì con poco entusiasmo anche Borodin) con l’intento di stimolare la nascita di uno stile musicale russo scevro dagli italianismi e francesismi che tanta parte avevano avuto nella vita artistica del Settecento e della prima metà del secolo successivo, con l’aiuto del Granduca Reggente fondò una scuola musicale gratuita in opposizione all’europeista appena fondato Conservatorio, si ritirò dall’attività musicale per un periodo andando a svolgere l’attività di capostazione vicino a Pietroburgo, insomma, uno spirito libero e anche un po’ selvaggio. Borodin non era così. Era metodico, preciso, interessato ad aprire i propri orizzonti culturali, forse in cuor suo nutriva ambizioni, ma preferì l’intimità del suo studio alle scomode e fragili glorie pubbliche.
Proprio a Balakirev dobbiamo la nascita della Prima Sinfonia di Borodin. Erano i tempi del Gruppo dei Cinque, e tra i compiti che il fondatore vi svolse era quello di stimolare la creazione di musiche che obbedissero ai precetti condivisi dal Gruppo: russità, celebrazione dell’epica orientale, autonomia dalle correnti tedesche ed europee occidentali in genere. A Borodin venne richiesta una sinfonia, ed egli vi lavorò dal 1862 al 1867, con l’alacrità che gli abbiamo riconosciuto. Il risultato fu eccellente anche se va detto che i modi e l’estetica di riferimento era ancora quella dei suoi studi, quindi europeista.
La costruzione del primo movimento Allegro, preceduto una quieta introduzione in tempo Adagio, è nella consueta forma-sonata, con due temi principali sorretti da una vitalità ritmica sapientemente costruita sull’uso della sincope, ovvero attraverso lo spostamento dell’impianto metrico tradizionale. Il risultato è quello di una struttura dotata di grande coesione, all’interno della quale il tessuto connettivo è dato proprio da quell’epos che tanto stava a cuore a Balakirev. La forma generale di questo primo movimento è però resa più preziosa dalla giustapposizione di un episodio Andantino in coda all’Allegro di prammatica, nel quale, immerso in un clima di reminiscenza e privato della vis ritmica originaria, torna il tema principale con una forza melodica più convincente.
Lo Scherzo è forse il più bel brano della Sinfonia. Pezzo di virtuosismo per l’orchestra intera, archi e strumentini solisti, ricorda un certo Mendelssohn per la leggerezza e la trasparenza della sua trama sinfonica. Strumentato con grande attenzione verso i pesi sonori e gli equilibri tra sezioni orchestrali, è una danza degli Elfi, è lo schiudersi di un mondo magico, sereno e spensierato, dov’è il gioco a condurre le fila del discorso. Si tratta di una dimensione in realtà molto cara alla Russia, è lo sfrecciare di slitte sulla neve in un clima privo di contrasti, pervaso da quell’ottimismo tutto positivista che caratterizza Borodin. Tutto occidentale è invece il Trio incastonato nello Scherzo, in tempo Allegro, che vede protagonisti come da tradizione gli strumentini dell’orchestra, in particolare l’oboe ed il flauto. L’atmosfera è pastorale e costituisce il momento di riposo rispetto alla girandola che lo precede. Esso si basa su un semplice tema cantabile, desunto comunque dallo Scherzo.
Con l’Andante ci troviamo invece nel miglior Borodin, quello che ci ricorda la sua musica a programma, la sua musica da camera, gli episodi di lirismo puro che gli hanno decretato la notorietà di cui gode. Si tratta di una pagina di grande ispirazione melodica, tutta informata da un tema principale, enunciato in apertura, e costituita da un incedere lento ma inarrestabile, uno di quei brani che vorremmo non finisse mai. Qui il clima è contemplativo, non vi sono drammi, è un affresco da percorrere con lo sguardo, lasciando che esso si posi sui dettagli, in un disegno di ampio respiro tutto melodico.
La Sinfonia si chiude con un celebrativo Allegro molto vivo che mette da parte ogni indugio e ci trasporta con la sua vitalità ritmica attraverso episodi di carattere contrappuntistico. Siamo di nuovo in Europa, Schumann e la Germania hanno insegnato molto a Borodin (che intratterrà una solida amicizia anche con Liszt, conosciuto a Weimar), e un andamento così vitale è il protagonista di questo Finale, forse il movimento meno interessante della Sinfonia, ma altrettanto ben confezionato. Un stretta accelerata conclude il brano, che conobbe un immediato successo subito dopo la prima esecuzione presso la Società Musicale Russa, e che convinse il riluttante Borodin a mettere subito mano alla sua Seconda Sinfonia, oggi la più frequentata delle tre che compose tra un’aula universitaria, il suo gabinetto medico e qualche sala da concerto.
Biografie:
Andriy Yurkevych, direttore d’orchestra
Nato in Ucraina, Andriy Yurkevych si è diplomato nel 1999 in direzione d’orchestra all’Accademia Statale di Musica M. Lyssenko di Lviv (Leopoli) sotto la guida di Yuriy Lutsiv. Si è perfezionato con Jacek Kaspszyk al Teatro Lirico Nazionale Wielki di Varsavia e successivamente con Alberto Zedda e con Gianluigi Gelmetti all’Accademia Chigiana di Siena. Vincitore del premio speciale al Concorso Nazionale di Direzione d’Orchestra Turchak di Kiev, nel 1996 – ancora studente – inizia a lavorare come direttore d’orchestra stabile presso il Teatro Lirico Statale d’Opera e Balletto di Lviv. Qui ha diretto opere del repertorio russo e italiano, operette e balletti classici. Tra i titoli operistici si distinguono Aida, Nabucco, Il Trovatore, La Traviata, Rigoletto, Don Carlo e Otello, La Bohème, Madama Butterfly, Tosca, Cavalleria rusticana, Pagliacci, Carmen; tra i balletti Lo Schiaccianoci e Il lago dei Cigni di Cajkovskij, Coppélia di Delibes, La Bayadère di Minkus, Roméo et Juliette di Prokofiev; tra le operette La Vedova Allegra di Lehár, Die Fledermaus e Der Zigeunerbaron di J. Strauss.
Dopo aver preso parte in qualità di maestro collaboratore a diverse nuove produzioni del Festival della Valle d’Itria di Martina Franca, nel 2005 ha diretto Romeo e Giulietta di Marchetti (registrazione CD “ Dynamix-2005”).e un concerto sinfonico.
Ha debuttato al Teatro dell’Opera di Roma con Il lago dei Cigni di Cajkovskij nel 2005; e vi è ritornato nel 2006 per dirigere La bella addormentata di Cajkovskij. E’ stato impegnato poi all’Opéra di Montecarlo ne Il viaggio a Reims e successivamente invitato al Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles per Boris Godunov, al Teatro Municipale di Santiago del Cile per La figlia del reggimento, a Parma e a Palermo per concerti sinfonici con l’Orchestra Filarmonica Toscanini e con l’Orchestra Sinfonica Siciliana. Ha diretto Carmen e Nabucco in una tournée nel Regno Unito.
Il 22 settembre 2007 ha diretto il concerto di riapertura dopo la ricostruzione del Teatro Nazionale di Odessa, di cui è da marzo 2008 Direttore Musicale.
Tra i recenti impegni segnaliamo Norma con Edita Gruberova e l’orchestra della Deutsche Oper alla Berliner Philharmonie; La Forza del destino al Théâtre Royal de la Monnaie a Bruxelles, Il Barbiere di Siviglia alla Staatoper di Monaco. A dicembre 2008 ha diretto Lo schiaccianoci al Teatro dell’Opera di Roma, ultimamente è stato in Svizzera, a San Gallo, con La Dama di Picche.
Tra gli impegni della stagione 2009 segnaliamo, I Puritani alla Greek National Opera di Atene, Lucrezia Borgia con Edita Gruberova alla Konzerthaus di Dortmund e a Dresda, La fille du regiment a San Francisco con J.D.j Florez. Dirigerà concerti sinfonici con l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, al Menuhin Festival di Gstaad e al Theater an der Wien di Vienna per le Wiener Festwochen, ed ancora a Monaco e Francoforte.
All’inizio del 2010 sarà a Duisburg per dirigere Norma.
Alexey Chuksin, pianoforte
viene da una famiglia di pianisti da cinque generazioni .
Il suo bisnonno, professore del Conservatorio di Mosca, morì nella seconda Guerra Mondiale. La sua bisnonna è una delle fondatrici della Central Music SChool, collegata con il Conservatorio di Mosca, dalla quale sono usciti celebri pianisti come N. Petrov, A.Gavrilov, N. Luganskiy.
Adesso Alexey studia in questa scuola nella classe del Professor A. Mndoyanz.
Alexey a soli quindici anni, ha ricevuto il Grand Prix Laureate all’ International Contests of Young Pianists. Da concerti e partecipa a festival e master class internazionali.
Il Cast
Direttore: Andriy Yurkevych
Pianoforte : Alexey Chuksin
Orchestra: I Pomeriggi Musicali