Le date
Fauré: Pelléas et Mélisande, Suite op.80
Bizet: L’Arlésienne, musiche di scena dal dramma di A. Daudet
Note di sala:
a cura di Oreste Bossini
Parola e musica hanno sempre vissuto una relazione tempestosa in palcoscenico, come i due amanti della Signora della porta accanto di Truffaut. L’epitaffio del film – né con te, né senza di te – sembra una morale adatta anche al rapporto tra il testo drammaturgico e la scrittura musicale. Il canto, tramite l’invenzione del melodramma, ha trovato solo in parte il punto d’equilibrio tra due linguaggi che hanno tentato di convivere in molteplici forme nel corso dei secoli.
La musica era un ingrediente essenziale dello spettacolo popolare sviluppatosi attorno alle sagre che si tenevano ogni anno a Parigi, sin dal Medioevo, nei pressi delle abbazie di Saint-Germain-des-Prés e Saint-Lazare. Nel primo Ottocento il théâtre de la foire si era spostato sul boulevard du Temple, in sale più borghesi come il Théâtre de la Gaité, le Folies-Dramatiques, il Théâtre des Délassements-Comiques. In questi locali venivano rappresentati molti generi di spettacolo, la maggior parte dei quali prevedeva l’intervento della musica, dalla commedia con l’aggiunta di canzoni a forme particolari di declamazione sostenuta da un accompagnamento strumentale. L’invenzione del cosiddetto mélodrame risale a Rousseau, che scrisse nel 1762 una scène lyrique intitolata Pygmalion, con musiche di Horace Coignet. Il mélodrame, la pantomima musicale, le commedie musicali di vario genere furono l’alimento principale del théâtre du boulevard nel primo Ottocento. Nel corso del tempo, però, il livello di questi spettacoli era caduto molto in basso. La fotografia dell’orchestra del boulevard la troviamo in un passo del Cousin Pons di Balzac: «Di solito Pons si recava dall’orchestra del suo teatro verso le otto, orario in cui si davano i pezzi di repertorio, e in cui le ouvertures e gli accompagnamenti esigevano la tirannia della bacchetta. Questa tolleranza esiste nella maggior parte dei piccoli teatri; ma Pons era a questo riguardo in proporzione più a suo agio, ché metteva nei suoi rapporti con l’amministrazione un grande disinteresse. Schmucke peraltro sostituiva Pons, in caso di bisogno. Con il tempo, la posizione di Schmucke in orchestra si era consolidata. L’illustre Gaudissart aveva riconosciuto, senza dir niente, sia il valore che l’utilità del collaboratore di Pons. Era stato obbligato a introdurre in orchestra un pianoforte come nei gran teatri. Il pianoforte, suonato gratis da Schmucke, fu piazzato vicino al podio del direttore d’orchestra, dove si sistemava il soprannumerario volontario. Quando si conobbe, questo buon tedesco, senza ambizioni né pretese, venne accettato da tutti i musicisti. L’amministrazione, per un modico compenso, incaricò Schmucke di suonare gli strumenti che non sono rappresentati nell’orchestra dei teatri del Boulevard, e che sono spesso necessari, come il pianoforte, la viola d’amore, il corno inglese, il violoncello, l’arpa, le nacchere della cachucha, i campanelli e le invenzioni di Sax, eccetera.».
Questo era lo standard della commedia musicale all’epoca in cui Alphonse Daudet e Georges Bizet scrissero L’Arlésienne per Léon Carvalho. Il controverso impresario era una figura intraprendente, ai limiti dell’azzardo, ma anche coraggiosa nel promuovere nuovi artisti e progetti alla Fitzcarraldo. Carvalho, assunta la direzione del Théâtre du Vaudeville, aveva deciso di far rinascere il vecchio genere del mélodrame. Il dramma di Daudet, allora poco più che trentenne, venne rappresentato il 1 ottobre 1872, con esiti disastrosi. «Lasciai il teatro – ricordava lo scrittore – scoraggiato, sconfortato, con nelle orecchie le sciocche risate che contrappuntavano le scene tragiche». Il soggetto era tratto da una storia realmente accaduta raccontata dallo stesso Daudet in una delle sue Lettres de mon moulin. Un giovane fattore della Provenza è deciso a sposare una ragazza di Arles. Un altro pretendente respinto, per vendetta, rivela alla famiglia del giovane che la ragazza è stata la sua amante per due anni. Malgrado gli sforzi per dimenticare la donna, il giovane si toglie la vita dopo la festa di Saint Éloi. La storia, trasformata in un dramma in cinque quadri, si staglia sullo sfondo del mondo provenzale, che rappresenta un elemento narrativo analogo a quello della Sicilia nelle novelle di Verga. Per le musiche di scena Carvalho non si rivolse a uno dei soliti musicisti di mestiere, bensì a uno dei migliori talenti della nuova generazione, Bizet, che aveva già fatto parlare di sé con opere come Les Pêcheurs de Perles e La Jolie Fille de Perth. I due artisti lavorarono in piena armonia e la reciproca stima non venne incrinata dal fiasco toccato al loro spettacolo. Per la prima volta Bizet aveva l’occasione di collaborare con un vero scrittore e sentì profondamente tanto il dramma psicologico raccontato nell’Arlésienne quanto lo sfondo antropologico della vicenda. Il tema dell’amor fou era congeniale alla sensibilità di Bizet, che nel personaggio invisibile dell’arlesiana intravede già quello di Carmen. Mitifio, il rivale di Frédéri, descrive infatti una femme fatale della stessa pasta: «Elle est comme ces oiseaux de la mer qui ne chantent que dans les orages…». Allo stesso modo, le idee di Carmen sull’amore nella habanera rispecchiano la passione di cui è prigioniero Frédéri: «Tu crois le tenir – il t’évit!/ Tu crois l’éviter – il te tient!».
La musica esprime le sottigliezze psicologiche del dramma con grande finezza, grazie all’eccezionale talento teatrale di Bizet. Un compositore non certo prodigo di complimenti verso la musica francese come Richard Strauss mormorò, dopo aver assistito a una rappresentazione dell’Arlésienne all’Odéon: «Nessuno sarà mai più capace di comporre un adagio così perfetto».
Le musiche di scena dell’Arlésienne oggi sono conosciute quasi esclusivamente grazie alle due Suites da concerto, la prima preparata da Bizet poco dopo la rappresentazione, la seconda, molto più lontana dallo spirito del dramma, dall’amico Ernest Guiraud nel 1876, dopo la scomparsa dell’autore. È un peccato, perché nella dimensione originale il lavoro a quattro mani di Daudet e Bizet acquista quel carattere unico, a metà strada tra opera e commedia, che aprì la strada a una nuova fioritura del rapporto tra parola e musica.
Altre collaborazioni importanti tra drammaturghi e musicisti seguirono infatti il solco di quell’esperimento, forse un po’ troppo in anticipo sul suo tempo. Tra queste figurano le musiche di scena scritte da Gabriel Fauré per la versione inglese di Pelléas et Mélisande allestita a Londra nel 1898. Il lavoro di Maeterlinck era stato voluto con tutte le sue forze dall’attrice Patrick Campbell, che consacrò buona parte della sua vita artistica al personaggio di Mélisande. Patrick Campbell era convinta che le musiche di scena fossero un elemento fondamentale e che Fauré sarebbe stato il musicista adatto a tradurre in suoni le misteriose atmosfere simboliste del lavoro. Lo spettacolo, con l’orchestra diretta dall’autore, riscosse un grandissimo successo il 21 giugno 1898 al Prince of Wales Theatre. Il poeta Charles Van Lerberghe riferisce della serata come di “un sogno incantato”. Fauré ebbe pochissimo tempo per portare a termine l’incarico, tanto da ricorrere all’aiuto di un allievo, Charles Kœchlin, per strumentare il lavoro. Negli anni successivi, con più calma, Fauré arrangiò una Suite da concerto tratta dalle musiche di scena. La nuove versione di Pélleas et Mélisande fu eseguita il 3 febbraio 1901 ai Concerts Lamoureux diretti da Camille Chevillard. La Suite contiene solo quattro numeri, dei diciannove del lavoro originale, lasciando fuori parecchia musica importante. Fauré rivide anche la prima orchestrazione di Kœchlin, cesellando finemente tutti i dettagli. Debussy, che stava lavorando negli stessi anni alla versione operistica del testo, usò parole corrosive per la musica di Fauré, “il portavoce di un gruppo di snob e d’imbecilli che non avranno mai niente a che vedere e a che fare con l’altro Pelléas”. I due artisti sentivano la poesia di Maeterlinck in modo molto diverso. Fauré vedeva nel personaggio di Mélisande, che rappresenta il vero soggetto della Suite, una figura profondamente umana e segnata da un destino di sventura, mentre Debussy percepiva nella sua natura gli echi di un abisso oscuro e spaventoso. Prélude, Fileuse e La Mort de Mélisande rispecchiano pienamente la visione di Fauré, mentre la Sicilienne offre un’immagine più leggera e sorridente della nostalgica fanciulla.
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Il Cast
Direttore: Francesco Colombo
Voce recitante: Anna Nogara
Direttore del coro: Giovanni Duci
Coro: Chor. U.M.70
Coro: Antiche Armonie di Bergamo
Orchestra: I Pomeriggi Musicali