Le date
Johann Sebastian Bach (1685 – 1750)
Concerto per pianoforte e orchestra BWV 1058 in sol minore – durata 14’
(senza indicazione di tempo, Andante, Allegro assai)
Concerto per due pianoforti e orchestra BWV 1060 in do minore – durata 15’
(Allegro, Adagio, Allegro)
Concerto per tre pianoforti e orchestra BWV 1063 in re minore – durata 19’
(senza indicazione di tempo, Alla Siciliana, Allegro)
Concerto per pianoforte e orchestra in re minore BWV 1052 – durata 23’
(Allegro, Adagio, Allegro)
Concerto per quattro pianoforti e orchestra BWV 1065 in la minore – durata 11’
(senza indicazione di tempo, Largo, Allegro)
Guida all’ascolto: di Andrea Dicht
Pianoforte ed orchestra sono due concetti piuttosto estranei all’epoca storica durante la quale Bach operò e questo per diverse ragioni. I Concerti oggi in programma furono concepiti per il clavicembalo e, se è vero che Bach scrisse molto per questo strumento e per l’organo, è altrettanto verificato che gran parte delle sue composizioni nacquero destinate genericamente per la tastiera, quindi per i due strumenti sopracitati o per il clavicordo (vero progenitore del moderno pianoforte) o ancora per il nascente pianoforte. In effetti, seppure i primi esemplari di pianoforte furono costruiti all’inizio del 1700 ed in Italia, ad opera del padovano Bartolomeo Cristofori, cembalaro presso la corte medicea di Firenze, essi non conobbero inizialmente grande successo. Bach ne suonò qualcuno e non espresse mai un particolare apprezzamento nei confronti di questa novità, destinata alla più universale diffusione nel secolo a venire. Ciò può essere dovuto, tra le varie ragioni, alla grande perfettibilità di questi primi esemplari di pianoforte o anche ad una certa ritrosia del tradizionalista Bach nei confronti del nuovo così come delle nuove estetiche galanti e “sentimentali” che ne saranno corollario. Se è vero che i Concerti per cembalo e orchestra di Bach e quelli dei suoi figli conducono direttamente ai Concerti per pianoforte del giovane Mozart, l’esecuzione dei primi sul pianoforte rappresenta un’opzione possibile e storicamente accettabile. Anche il termine orchestra è improprio poiché la totalità dei Concerti solistici di Bach prevedono un accompagnamento di ripieno composto da soli archi con basso continuo. Nonostante la pochezza di questi mezzi espressivi si vedrà quanta fantasia potrà essere espressa nel gioco delle voci e delle sonorità immaginabili per un ensemble di soli archi.
Contrariamente a quanto si possa pensare, vista la grande popolarità e diffusione dello strumento, la forma “concerto per cembalo e orchestra” nacque sostanzialmente con questi lavori di Bach. Egli, dopo il florido periodo passato a Köthen (1717 – 1723), prese dimora in Lipsia ove andò ad occupare il posto di Kantor nella Chiesa di San Tommaso sino al 1750, anno della sua morte. Una volta insediatosi, le attività dell’instancabile Bach non potevano riassumersi nell’insegnamento nell’annesso collegio, nella composizione di sempre nuove musiche per i servizi liturgici o nella sorveglianza degli allievi durante i pasti nel convitto (ebbene anche questa era una delle mansioni previste dal contratto): nel 1729 egli assunse l’incarico di direttore del Collegium Musicum locale, fondato nel 1702 da Telemann, e mantenne la sua posizione fino alla fine del 1741. Questa istituzione, che proponeva concerti pubblici settimanali presso il Caffè Zimmermann, testimonia un importante cambio sociale nel pubblico dei fruitori di musica: dalla corte o chiesa nella quale nasce il concerto solistico barocco passiamo ad un uditorio di borghesi e l’intrattenimento artistico assume la funzione di elevazione sociale di questa classe di nuovi ricchi. In Germania era già diffusa l’abitudine dell’Hausmusik, ovvero della serata musicale all’interno delle abitazioni borghesi. Questa Kaffeemusik conduce all’esterno le esecuzioni donando loro i caratteri della professionalità.
Tutti i Concerti di Bach per cembalo ed archi nascono in un periodo compreso tra il 1727 ed il 1736. Complessivamente la sua produzione per questa forma comprende sei concerti per un cembalo, uno per cembalo con due flauti dolci, uno per cembalo con violino e flauto solisti, tre concerti per due cembali, due per tre cembali ed un solo concerto per quattro cembali ed orchestra. Molti di questi lavori sono rielaborazioni di opere precedenti, sue o di altri autori, in linea quindi con l’abitudine di Bach di considerare la musica in termini a-strumentali o meglio passibile di diverse possibilità di realizzazione esecutiva.
Un primo esempio della straordinaria capacità di Bach di donare una nuova veste a brani già composti e destinati a diversi organici può essere rilevato già dal Concerto che apre la serata, il BWV 1058, nuova strumentazione del celebre Concerto per violino in la minore, composto nel periodo passato al servizio della corte di Köthen, 1717-23, gli anni d’oro contrassegnati dai Concerti Brandeburghesi. Proprio dalla libera e pressoché astratta forma di questi ultimi nasce la struttura di questi nuovi concerti solistici, una sorta di normalizzazione e nuovo ordine di un materiale inteso come autorigenerante. Le idee sono semplici ed essenziali, e vengono sottoposte a continue metamorfosi secondo logiche sottili di elaborazione del profilo melodico e ritmico, ma sempre sotto la guida della fantasia più libera e comunque con l’obbiettivo della massima varietà possibile del discorso musicale. Sotto ogni punto di vista questo Concerto può essere considerato paradigmatico di un certo modo di procedere dell’eloquenza bachiana, sia in termini di sviluppo drammatico del portato musicale, sia per quanto riguarda la struttura (e ciò che ne consegue: strumentazione, avvicendamento solo-tutti, taglio formale generale). Il primo movimento è incentrato sulla creazione di un discorso musicale che compenetri il più possibile il solista e l’orchestra, caratteristica che proietta nel futuro l’esempio vivaldiano sul quale Bach si era formato. Il secondo movimento, in forma di cantilena, presenta una figura ostinata del basso che si ripresenta per ben 26 volte, ma non semplicemente a costituire uno sfondo alle volute del solista, quanto a proporre una continua alimentazione fantastica delle figure ornate del pianoforte. Nel movimento finale, invece, è una ronda e imprimere vivacità alla musica, una fuga concertante alla quale orchestra e solista partecipano in una sorta di staffetta.
Il Concerto BWV 1060 per due pianoforti consiste nella rielaborazione del Concerto per violino, oboe, archi e continuo BWV 1060a, perduto e ricostruito, dello stesso Bach. Nella sua forma presenta svariate analogie con il noto Concerto per due violini BWV 1043, ed una sottilmente diversa scrittura delle due parti solistiche potrebbe derivare dalla differente natura del violino e dell’oboe. In ogni caso il peso dei due solisti è il medesimo ed il loro discorso si articola in passaggi di natura dialogica o in forme quasi responsoriali di scambio col complesso degli archi.
Il Concerto BWV 1063 per tre pianoforti, così come quello per quattro pianoforti, appartiene con certezza al biennio 1735-36. Molte fonti indicano come possibili destinatari per le esecuzioni di questi concerti i figli musicisti di Bach, in primo luogo Carl Philipp Emanuel, ma anche Wilhelm Friedemann o la primogenita Catharina Dorothea. In realtà il primo, Carl, lasciò Lipsia per Francoforte sull’Oder nel 1734, in ritardo di un anno rispetto a Wilhelm che si trasferì a Dresda e nel 1733 compose il suo primo Concerto per cembalo ed orchestra, primo esempio in questo genere dopo quelli del padre. Händel, per esempio, scrisse nel 1735 il suo primo concerto per organo ed archi ma l’esempio che venne seguito posteriormente fu quello bachiano.
Nella ricerca delle fonti per questo Concerto per tre pianoforti, si era ipotizzato che provenisse da un altro brano per tre violini (Schering) ma studi recenti hanno escluso questa possibilità con un’altra ipotesi che prevede violino, flauto ed oboe come solisti. Ciò potrebbe essere confermato dal peso minore che il secondo ed il terzo pianoforte rivestono in questo Concerto.
Il Concerto BWV 1052, invece, è il più famoso dei concerti per pianoforte di Bach, ed il più frequentato sin dall’epoca romantica. Questo probabilmente per via del solido impianto drammatico che lo pervade, di un’architettura complessiva più ampia che negli altri esempi, costruita su campate di eccezionalmente ampio respiro, e per un virtuosismo molto pianistico (o tastieristico) che domina la parte del solista. L’enfasi perentoria del Concerto è percepibile sin dalle prime note e costituisce una cifra inconfondibile del brano: solista ed orchestra all’unisono disegnano una melodia elaborata, di grande vigore ritmico ed efficacia drammatica. L’unisono, improvviso, ricomparirà in ogni successivo episodio, perfino a concludere il movimento, mostrando così quella compenetrazione tra le parti spesso inseguita negli altri concerti. L’Adagio, aperto e chiuso da due ampi ritornelli orchestrali, si esprime in una grande perorazione del solista su una figura obbligata dei bassi, qualcosa di non dissimile da quanto ascoltato nell’Andante del BWV 1058. Il Finale, caratterizzato dal metro anapestico (che ci permette di escludere, insieme ad altri elementi, quella paternità vivaldiana paventati da molti in passato), si basa sul più acceso virtuosismo della tastiera, secondo stilemi che ricordano molte opere di Bach per il solo cembalo. L’atmosfera generale è vitale, un fitto contrappunto e improvvise aree di sviluppo del disegno solistico creano una tensione perfettamente controllata dal compositore, secondo una logica teatrale di controllo emozionale di sicuro effetto.
Vera star del programma odierno è il Concerto BWV 1065 per quattro pianoforti, archi e continuo. In questo caso, però, siamo di fronte alla trascrizione di un Concerto di un altro autore, Vivaldi per l’esattezza. La fonte è il Concerto per quattro violini, archi e continuo in si minore, n. 10 dell’opera III. E’ nota la predilezione di Bach per Vivaldi: trascrisse molti dei suoi lavori per cembalo solo e ne studiò attentamente le partiture. Bach fu un ricercatore stanziale, poco avvezzo ai viaggi di istruzione, e gran parte della sua formazione si consumò nell’analisi a tavolino delle opere dei suoi contemporanei così come di quelle dei compositori che lo precedettero. Com’è ovvio, la forma complessiva di questo brano differisce dal modello dei precedenti poiché il Concerto su cui si basa la trascrizione non è del medesimo autore. I quattro pianoforti vengono utilizzati come solisti singolarmente o in tutti i possibili accostamenti di due o tre pianoforti, o ancora tutti insieme con o senza ripieno orchestrale. Le possibilità coloristiche offerte da questo concerto sono tanto varie quanto l’abilità di Bach di concertare insieme in contrappunto quattro strumenti polifonici (e non sostanzialmente monofonici come i violini dell’originale) creando una sorta di contrappunto di contrappunti: non esiste una gerarchia di importanza tra i solisti, tutti conoscono il loro momento di singolare gloria e spesso un assolo passa dalle mani di un solista a quelle di un altro dando così origine anche ad un gioco di movimento fisico della sorgente sonora. Particolarmente interessante è il secondo movimento, Largo, di questo Concerto: introdotto e concluso da un ritmo puntato alla francese, nel suo centro esso vede come protagonisti i soli quattro solisti senza orchestra, impegnati in un episodio di arpeggi senza alcuna melodia, quasi minimalista nella sua concezione, ove le uniche variazioni sono quelle dell’armonia e di qualche figura nel basso.
Per concludere mi sembra interessante sottolineare che, nonostante questi Concerti siano all’origine di un’evoluzione che conduce al Concerto di epoca classica, essi non furono pubblicati che intorno alla metà del 1800, dall’editore Peters e nella stessa Lipsia che li vide nascere. Ciò accadde anche per quei cinque cicli annuali completi di Cantate che egli scrisse per i servizi della Chiesa di San Tommaso, ovvero nessuna di esse fu stampata durante la vita del compositore. Dopo la sua morte Bach rimase un nome ma la sua opera conobbe un periodo di oblìo. La riscoperta cominciò in epoca romantica ma di certo continua tuttora, in senso interpretativo, anche se le fonti musicologiche sembrano accertate per la maggioranza dei suoi lavori.
Il Cast
Direttore: Wolfram-Maria Maerting
Pianoforte: Eugeny Koroliov – Ljupka Hadzi-Georgieva – Anna Vinnitskaya – Stepan Simonyan
Orchestra: I Pomeriggi Musicali