Le date
Strauss: Il Pipistrello, Ouverture
Brahms: 3 Danze Ungheresi (orch. Brahms)
Otto Nicolai: Le allegre comari di Windsor, Ouverture
Strauss: Lo Zingaro Barone, Ouverture
Dvorak: 3 Danze Slave op. 46 (6-7-8)
Strauss: Il bel Danubio blu
Guida all’ascolto a cura di: Mariateresa Dellaborra
Pur destinato dal padre a una carriera da esperto di tecnica bancaria, Johann Strauss junior (1825-1899), riuscì a coltivare la passione per la musica studiando sia il pianoforte che il violino e, formata una sua orchestra nel 1844, iniziò a farsi conoscere come compositore di marce e di musica da ballo. Il successo internazionale gli arrise con la trionfale esecuzione a Boston di An der schönen Donau eseguito con 20.000 musicisti: da quel momento l’epiteto di “re del walzer” iniziò a circolare costantemente e si mantenne sino alla fine della vita. Oltre 480 sono i numeri d’opera attraverso i quali Strauss definisce la forma del walzer da concerto, risentendo in particolare dell’influsso di Jacques Offenbach, in quegli anni spesso presente a Vienna. An der schönen Donau op. 314, composto nel 1867, in origine era dotato di un testo. Come tutti gli altri walzer, si apre con un’introduzione che si avvia con un ritmo non di danza e prosegue con una serie collegata di movimenti di walzer numerati separatamente (cinque era il numero preferito) e da una coda che attinge a temi precedenti. I singoli movimenti sono in forma binaria o ternaria, talora collegati tra loro per ambito tonale o per echi motivici e ciascuno presenta di solito al proprio interno un contrasto tematico. Le melodie si fondano su ampie frasi, seguono movimentati giri melodici ritmicamente flessibili e differenziati per l’impiego di schemi sempre diversi. Gli andamenti per terze e seste parallele nell’accompagnamento conferiscono il tipico tono viennese, mentre la strumentazione ricca e spesso sorprendente palesa la profonda conoscenza del repertorio di tradizione romantica. Wagner elogiò «le grazie, la finezza e la sostanza musicale» dei walzer e Schoenberg arrangiò il Kaiser-Walzer op. 437 per gruppo da camera. Brahms disse di Strauss che «traboccava di musica» e Cornelius sostenne di «amare molto queste cose» di lui («Ich liebe diese Dinge sehr»). Felicità e sapienza di strumentazione sono ancora più evidenti nel repertorio dell’operetta, genere al quale il musicista si avvicinò nel 1871, dopo aver assistito a una trascinante esecuzione di una composizione di Offenbach. L’esordio con Indigo oder die vierzig Räuber non fu fortunato, ma con i lavori successivi e in particolare con Fledermaus nel 1874 e con Zigeunerbaron del 1885 il compositore innalzò la forma al livello di vera e propria opera e determinò la nascita del nuovo genere di operetta viennese. Partendo da un’impostazione classica, egli impresse uno sviluppo considerevole non soltanto nell’armonia, ma anche nella scelta dei timbri (pregevole la scrittura dei legni e degli ottoni spesso suddivisi in sezioni), nella chiarezza e dolcezza dei temi e nel fantasioso impiego dei ritmi di danza. Il pensiero di Richard Strauss sintetizza i tratti fondamentali del suo stile: «di tutti i grandi talenti è per me il più amabile dispensatore di gioia. Lo considero uno degli ultimi musicisti capaci di avere trovate “primitive”. Sì, si tratta di primitività, di melodie primitivamente originali»
Le danze ungheresi di Johannes Brahms furono portate a termine in un ampio periodo di tempo (1852-1869) e pubblicate senza numero d’opus in quanto adattamenti per pianoforte e per orchestra di materiale appartenente al repertorio musicale popolare. L’elemento ungherese che si trova in molte opere brahmsiane non deriva da influenze databili all’epoca del soggiorno a Vienna, dove il musicista poté ascoltate quotidianamente gli zigani nelle birrerie che frequentava, ma si deve intendere come esercizio speculativo, praticato fin dai tempi della giovinezza, su un corpus di brani conosciuti tramite il violinista ungherese Ede Reményi. Le melodie e i ritmi delle orchestre zigane, trasmesse oralmente di padre in figlio, suscitarono un grande interesse nel compositore che pensò bene di fissarli sulla carta, mantenendoli quanto più possibili intatti. Non ne accentuò pertanto l’aspetto virtuosistico, ma cercò di conservare il sapore e il carattere espressivo originale, riuscendo a “imprigionarli” nella notazione musicale occidentale. Riscoprendone lo spirito, seppe mantenere in queste musiche la peculiare intensa vitalità, la leggerezza e la varietà ritmica. In certi casi tuttavia non si accontentò di fare una semplice trascrizione, ma vi aggiunse frammenti di propria invenzione, sempre però utilizzando modi, ritmi, formule tipici di quella che considerava musica zigana. In effetti a quell’epoca l’autentica musica magiara era sconosciuta: essa era relegata nelle campagne, mentre in città si ascoltava solo musica zigana. Soltanto in tempi recenti, grazie a un lungo lavoro entomusicologico avviato da Bartók e Kodály, si sono potute discernere le peculiarità dell’uno e dell’altro repertorio. Nella sua “traduzione”, l’autore ha saputo cogliere anche l’aspetto più difficile e recondito di questi pezzi e cioè la fantasiosità e la libertà totale nell’esecuzione, spesso fondata sull’improvvisazione. Tale elemento si coglie in modo perfetto nella versione orchestrale che Brahms ha curato personalmente per tre danze: 1, 3 e 10, partendo dalla versione originale per pianoforte a quattro mani. La prima danza, che deriva dalla Isteni Czardas, si fonda proprio sull’estrema libertà esecutiva: occorre utilizzare un rubato leggero o più marcato nel caso di passaggi vivaci, ritmicamente impetuosi oppure adottare un andamento più lento per le sezioni dal carattere malinconico. Il terzo numero discende da Tolnai Lakadalmas, danza nuziale di Rizner, e si compone di due momenti ben differenziati: l’Allegretto dal tono piacevolmente melodico e il Vivace assai ritmato, con il richiamo alle percussioni. Anche la decima danza deriva da un’altra danza nuziale, Tolnai Lakadalmas, che riveste molta importanza all’interno dei riti zigani e ne costituisce una categoria particolare di folclore. Come le precedenti è fondata su violenti contrasti ritmici e espressivi.
Otto Nicolai (1810-1849) allievo del Reale istituto di musica da chiesa di Berlino e membro della Singakademie, fu nominato dal 1833 organista a Roma presso la cappella dell’ambasciata di Prussia e qui poté studiare i grandi maestri della polifonia italiana. Interessatosi all’opera, ottenne un posto di direttore d’orchestra al Hoftheater di Vienna, dove divenne direttore principale nel 1841, ma nel frattempo tornò in Italia, riscuotendo successo a Torino nel 1840 con Il templare, poi portato sulle scene a Vienna nella traduzione in tedesco. Proprio grazie al suo traduttore, Siegfried Kapper, Nicolai si avvicinò al personaggio shakespeariano di Falstaff, già sfruttato negli anni immediatamente precedenti come protagonista di opere, ma fu soltanto a seguito della collaborazione con il drammaturgo viennese Salomon von Mosenthal che poté comprendere a fondo lo spirito puntuale dell’opera originaria e dei singoli caratteri. Lustingen Weiber von Windsor (Le allegre comari di Windsor), rappresentata in prima a Berlino nel 1849, si accosta a Shakespeare trovando un peculiare linguaggio per le comiche vicende di Falstaff e delle comari. La struttura dell’opera si fonda sulla successione di pezzi chiusi (recitativi, arie, concertati) secondo i principi di un’efficace progressione drammatica e con un’invidiabile continuità di tono, senza proporre alcuna sperimentazione. Come nell’intero corso della vicenda si alternano in un modo molto spontaneo e scorrevole il comico, il sentimentale, il fantastico, così nell’ouverture si concentrano situazioni diversificate e svariati riferimenti colti (Mozart, Rossini, Weber, Mendelssohn e anche Strauss) inseriti in un tutto organico e con il sostegno di una raffinata orchestrazione.
Al pari di quelle brahmsiane, le Danze slave op. 46 di Antonin Dvorak furono originariamente destinate al pianoforte a quattro mani e nello stesso anno della loro creazione, 1878, adattate per orchestra. La nuova versione contribuì ad arricchire di una veste timbrica smagliante e fascinosa la primitiva deliziosa invenzione melodica e la qualità ritmica peculiare fondata, molto spesso, su vere e proprie forme di danza: furiant, dumka, polka, sousedská, skočna, odzemek, kolo, starodávný, špacirka e mazurka. In alcuni casi meno felici, l’adattamento all’orchestra ha attenuato o eliminato completamente il sapore intimo e spirituale dell’ideazione originaria, ma nel caso dei numeri finali della prima raccolta (6, 7, 8) l’effetto strumentale è efficacissimo e grandioso. All’interno del catalogo del compositore céco, le danze rappresentano senza dubbio una pietra miliare. Non si fondano su autentici temi popolari, se non in rarissimi casi (quale quello del tema iniziale della n. 7) ma su melodie slave ricreate sapientemente a tavolino in quanto il musicista ne padroneggia i procedimenti e le caratteristiche più reconditi. Proveniente da una famiglia numerosa, Antonin già dai tempi degli studi con Anton Liehmann dovette infatti avvicinarsi alla musica folcloristica e la seppe praticare anche in prima persona come violinista di un’orchestra da ballo. Dopo un periodo di adesione al wagnerismo, dal 1873 impresse una radicale trasformazione al suo stile, ritornando ai vecchi ideali classici – desunti dalle musiche di Beethoven e di Schubert – e avvicinandosi sempre più agli stilemi slavi. Col tempo ricevette riconoscimenti internazionali e fu considerato, insieme a Smetana e più tardi a Janacek, il rappresentante maggiore della corrente musicale nazionalistica. Nella sua musica si manifesta il lato borghese e rustico del suo popolo e vi emergono nel contempo una forza inventiva e una ricchezza musicale spontanea. Tali sono i caratteri che Brahms apprezzò maggiormente di lui e a questi aggiunse l’originalità, la freschezza, l’impetuosa pienezza del canto e il fascino sonoro e sensuale della sua orchestra oltre al sottofondo folcloristico che nasceva dalla commistione non più e soltanto di musiche ceche o morave, ma anche slovacche e russe.
Il Cast
Direttore: Gilberto Serembe
Orchestra: I Pomeriggi Musicali