A.V. - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 14 gennaio 2010
Ore: 21:00
sabato 16 gennaio 2010
Ore: 17:00

Guida all’ascolto:
a cura di Sergio Casesi
Strauss – Quattro Lieder: Frühling, September, Zueignung, Morgen
Mahler – Sinfonia n. 4

Richard Strauss (11 June 1864 – 8 September 1949)
Lieder
Frühling
September
Morgen
Zueignung

“L’ispirazione melodica che mi coglie di sorpresa, all’improvviso, giungendo direttamente dall’etere, senza uno stimolo sensoriale dall’esterno né un’emozione spirituale, appare alla fantasia senza mediazioni, inconsciamente, senza che vi intervenga la ragione. E’ il più alto fra i doni divini, e non si può paragonare a nessun altro…. Quella melodica è rivelazione assoluta di misteri supremi”. Così, in uno scritto del 1940, Strauss rifletteva sulla melodia, sulla sua potenza e sulla sua natura, e continua: “Nessuno sa da dove provenga, neppure il loro creatore, portavoce inconsapevole dello spirito cosmico”. Se melodie dalla bellezza quasi soprannaturale si trovano sparse in quasi tutte le composizioni strumentali di Strauss, ed è sufficiente ricordare il poema sinfonico Morte e Trasfigurazione ad esempio, nel rapporto con la parola il compositore bavarese espresse il suo talento nella maniera più completa e sorprendente. Le numerose Opere che Strauss ha lasciato al teatro musicale ed il corpus di Lieder testimoniano la plasticità, l’intelligenza e la profondità della sua ispirazione. Un segreto inconoscibile dà il via alla creazione musicale, ma la capacità unica di Strauss nella lavorazione della  linea melodica, come dell’intera materia musicale relazionata al testo poetico, è bastante per permettere al compositore bavarese l’ingresso nell’olimpo dei grandi. Dotato di un talento smisurato, capace di riportare sul pentagramma qualsiasi esperienza e qualsiasi situazione, provvisto di un vertiginoso virtuosismo compositivo e di una fantasia irrefrenabile, Richard Strauss è paragonabile sotto questo aspetto, nel ’900, solo al lontanissimo Stravinskij. Ultimo consapevole erede della grande tradizione romantica tedesca, e come tale acclamato prestissimo dal pubblico, dalla critica e dalle istituzioni tedesche, coltivò la composizione di Lieder per tutto il corso della sua vita. Al contrario della produzione sinfonica, fin troppo legata  ai gusti ed ai bisogni di un’epoca della civiltà tedesca, i Lieder ci appaiono come una sorta di diario intimo, a volte persino domestico, redatto con costanza dagli anni degli esordi fino agli ultimi giorni. Nei Lieder, l’arte del madrigalismo, cioè la capacità di illustrare con mezzi musicali il testo cantato, viene elevata a commento del testo; il sostegno strumentale diventa il supporto ermeneutico con cui si illumina la parola poetica, svelandone i molti significati racchiusi in essa, mostrandone ora le rifrangenze ora le ombre, scegliendo fra i mille incerti risvolti della semantica.
Ultimo capolavoro di Strauss sono i Quatto Ultimi Lieder del 1948, da cui sono tratti Primavera e Settembre.

Frühling (Hermann Hesse)

In dämmrigen Grüften
träumte ich lang
von deinen Bäumen und blauen Lüften,
von deinem Duft und Vogelsang.

Nun liegst du erschlossen
in Gleiß und Zier
von Licht übergossen
wie ein Wunder vor mir.

Du kennst mich wieder,
du lockst mich zart,
es zittert durch all meine Glieder
deine selige Gegenwart!

Primavera

In caverne oscure
a lungo sognai
i tuoi alberi e i tuoi cieli azzurri,
il tuo profumo e il canto degli uccelli.

Ora sei là, rivelata
nel tuo glorioso splendore,
inondata di luce
davanti a me, come un prodigio.

Tu mi riconosci,
tu mi attiri con dolcezza.
Io sento fremere in tutte le mie membra
la tua estatica presenza.

Le prime battute della sola orchestra, archi divisi con fagotti e clarinetti, creano lo sfondo tenebroso su cui si innerverà il canto. Sui gelidi accordi, che come onde si spezzano tra archi e fiati, la voce incatena le prime parole nel registro più grave e oscuro. Quando il soprano porterà in dote alla musica il sogno e gli azzurri cieli, la melodia si innalzerà verso l’acuto, l’orchestra si illuminerà d’armonia e di colori, e sulla parola “Vogelsang”, al melisma della voce si affiancherà un flauto come tra sogno e realtà imitante il verso magico di un uccello.
Nell’intera composizione gli stessi elementi ritmici e melodici vengono sviluppati e variati interpretando i versi della poesia di Hesse. In un progressivo liberarsi dal giogo dell’oscurità i colori si faranno più chiari ed avvolgenti, la tessitura del canto, spesso sorretta dal violino solo, simbolo qui dell’intensa commozione dell’uomo incantato dal prodigio della vita, sottolineerà i salti dell’anima di fronte al miracolo della nuova primavera dello spirito. Si rinasce ogni volta, ci dice il compositore, l’amore riconosciuto ci fa tremare di emozione, sentiamo l’esistenza fecondarsi di un evento imponderabile. Con la presenza dell’altro in noi, dell’altro in noi riverberato, nasce la meraviglia: ecco che l’orchestra rifrange i mille colori dell’essere, riconosciuti, riscoperti, esplosi dolcemente. I timbri scivolano uno nell’altro come tremiti nel corpo di un’amante. La voce, colorata dall’orchestra, ci conduce dalle nostre stanze paurose, dai dubbi del nostro inverno privato, ai cieli eterni di una conquistata estasi dell’essere. I suoni di questa primavera, della sua incredibile meraviglia, chiudono il brano nella pace di una incrollabile speranza.

September (Hermann Hesse)

Der Garten trauert,
kühl sinkt in die Blumen der Regen.
Der Sommer schauert
still seinem Ende entgegen.

Golden tropft Blatt um Blatt
nieder vom hohen Akazienbaum.
Sommer lächelt erstaunt und matt
in den sterbenden Gartentraum.

Lange noch bei den Rosen
bleibt er stehn, sehnt sich nach Ruh.
Langsam tut er
die müdgeword’nen Augen zu.

Settembre

Il giardino è triste,
fredda cade la pioggia sui fiori.
Rabbrividisce l’estate,
silenziosa verso la sua fine.

In pioggia d’oro, una dopo l’altra,
si staccano le foglie dall’alta acacia;
l’estate sorride attonita e spossata
nel sogno morente del giardino.

A lungo ancora resta vicino alle rose,
sospirando il riposo.
Lentamente chiude [i grandi]
gli occhi stanchi

Un piano dell’intera orchestra apre Settembre, un’orchestra sospesa, senza gravità, che indurrà la voce in voli imponderabili, come fa il vento con una foglia senza peso.
Tutti gli elementi musicali esposti nelle prime battute di sola orchestra verranno usati dal compositore per filare con sapienza la nostalgia dell’intero brano. L’orchestrazione preziosissima e la linea melodica segretamente labile fanno di questo Lied un lungo sospiro prima della fine.
Tutto sembra in procinto di sfaldarsi, di decadere, ogni nota vive l’intensità dell’attimo finale. Scritto da Strauss a Montreaux il 20 settembre 1948, comunica tutta la nostalgia per un mondo perduto per sempre, per il tramonto di una cultura che era stata il nutrimento naturale del compositore ma che nell’ultimo decennio si era votata all’autodistruzione.
Il solo di corno alla fine rammenta che il tempo non si è fermato, che il presagio tremendo della fine si è avverato. Alla data apposta in calce alla partitura, tutto ormai fa parte del passato.
Il compositore vivrà gli ultimi anni in un mondo che da subito gli apparirà non essere più il suo. Con l’ultimo tutti in pianissimo, non resta che il rimpianto per ciò che si poteva essere e non si è stati.

Morgen  (J.H.Mackay)


Und morgen wird die Sonne wieder scheinen
und auf dem Wege, den ich gehen werde,
wird uns, die Glücklichen sie wieder einen
inmitten dieser sonnenatmenden Erde…
und zu dem Strand, dem weiten, wogenblauen,
werden wir still und langsam niedersteigen,
stumm werden wir uns in die Augen schauen,
und auf uns sinkt des Glückes stummes Schweigen…

Domani

Domani sorgerà di nuovo il sole,
e sul cammino che percorreremo
saprà, noi due felici, unirci ancora,
su questa terra che respira il sole,

e sulla spiaggia larga, azzurra d’onde,
scenderemo in silenzio, a passo lento.
Muti ci guarderemo poi negli occhi
su noi il quieto silenzio della gioia.

Solo l’amore, ci dice Strauss, sa farci avere delle visioni, delle allucinate premonizioni cariche di certezza, di verità. La sonorità bianchissima, di nuvola che si apre al raggio bianco della premonizione, è la caratteristica principale dell’intera composizione. Solo l’amore può tanto, la cui grandezza ci fa respirare l’idea di un eterno possibile, di un eterno umano, di una speciale eternità a cui da soli non riusciremmo ad accedere, l’amore che ci fa capaci di promettere, di giurare “per sempre”, cioè oltre il tempo, oltre il tempo che riusciamo a concepire come nostro.
E così il tempo di Morgen è evanescente, impalpabile, come oltre le nostre capacità, oltre la nostra finitezza. Il violino solo, luce pura su uno sfondo chiaro d’armonie inafferrabili, conduce il pensiero sino ai territori dell’impronunciabile, dell’incredibile. Forse di onde, di spiagge e di cieli altri, altissimi forse, ci narra il soprano dolcissimo, di luoghi dove in silenzio la Gioia scende su di noi come lo spirito santo sulla fronte dei primi santi degli atti apostolici. E se l’amore può rendere santi tutti gli uomini, sacri appaiono, nell’intensa ispirazione, gli intervalli che compongono le melodie intrecciate del canto e del violino solo, gradini rivolti all’assoluto. L’amore, dice Strauss, ci permette di pensare il nostro tempo troppo umano finalmente in altro modo, l’amore elude il tempo, lo sconfigge, lo supera. Ci è possibile lanciare lo sguardo oltre esso, in una visione umanamente celeste dell’esistenza. Il domani, per chi è certo d’amare, per chi sente l’amore in sé come una verità, è già nelle pupille pronte, scagliate oltre la finitudine. Nel canto dell’innamorato, dice Strauss, c’è l’inafferrabile certezza del divino.

Zueignung  (H.von Glim)

Ja, du weißt es, teure Seele,
daß ich fern von dir mich quäle,
Liebe macht die Herzen krank,
habe Dank.

Einst hielt ich, der Freihet Zecher,
hoch den Amethysten-Becher
und du segnetest den Trank,
habe Dank.

Und beschworst darin die Bösen
bis ich, was ich nie gewesen,
heilig, heilig an’s Herz dir sank,
habe Dank!

Dedica

Sì, lo sai, anima cara,
che lontano da te sto in pena,
l’amore fa soffrire i cuori
– ti ringrazio!

Una volta io, il franco bevitore,
levai alto il calice d’ametista,
e tu benedicesti la bevanda
– ti ringrazio!

E allontanasti con un sortilegio i malvagi
fin che io, come non avevo mai fatto,
santamente ti caddi sul cuore
– ti ringrazio!

Il giovane Richard compose questo Inno probabilmente affascinato dallo studio dei Lieder di Schumann, di cui sente lo spirito infaticabile e poetico, e forse dell’amato Brahms dei canti per voce  e pianoforte. Dedica fa parte di un ciclo di otto Lieder, l’op. 10, tratti dalle Ultime foglie del poeta austriaco Hermann von Gilm. Zueignung divenne subito molto popolare, e il suo carattere felicemente solenne rese subito celebre il ventunenne compositore. Strauss, sempre molto attento ai gusti del pubblico, amò spesso concludere i suoi recital con questo Lied e, sicuro del successo, lo volle incidere ben due volte come pianista per la radio del Reich tedesco, poco prima della sua, forse tardiva, presa di distanza dal regime.

Gustav Mahler (7 July 1860  – 18 May 1911)
Sinfonia N. 4 in sol maggiore
I:     Bedachting. Nicht eilen
II:    In gemachlicher Bewegung
III:  Ruhevoll. (Poco adagio)
IV: “Das himmlische Leben”

Benché i primi appunti risalissero all’estate precedente, occorsero poco più di tre settimane a Mahler per scrivere la sua Quarta Sinfonia, terminando la partitura il 6 agosto dell’anno 1900.
La prima esecuzione, il 25 novembre 1901 a Monaco, non fu un successo. La critica, abituata forse a più estesi impegni sinfonici, restò perplessa, e in alcuni casi risoluta nel definire la Quarta Sinfonia incomprensibile, priva di quel programma che avrebbe reso accessibili le immagini musicate dal compositore. Restando su posizioni sostanzialmente negative, solo il critico del Neues Wiener Journal, Max Groaf, in occasione della prima viennese il 12 gennaio 1902, ebbe un’intuizione fondamentale, anche se formulata con il tipico accento antisemita che caratterizzava la cultura e la stampa dell’epoca. Scrisse: “Questa sinfonia va letta dalla fine all’inizio, come una bibbia ebrea”.
In effetti solo una lettura a ritroso può svelare l’intimo programma che come linfa scorre all’interno della partitura. Il Lied per voce e orchestra che viene usato come ultimo movimento, Das Himmlische Leben, La Vita Celeste, è a tutti gli effetti un testo programmatico, luce per l’intera composizione. Composto nel 1892, contiene anche molti degli spunti tematici che reggeranno, anni dopo, l’edificazione dell’intera partitura. I versi de La Vita Celeste sono tratti dal Des Knaben Wunderhorn, Il Corno Magico del Fanciullo, antologia poetica medioevale redatta da Achim von Armin e Clemens Brentano, la cui ispirazione plasmò l’intera prima stagione creativa di Mahler, di cui la Quarta Sinfonia è l’ultimo grande tassello. In questo stesso periodo, tuttavia, un altro evento arricchì il genio del compositore. La fascinazione per il mistero cattolico, l’ansia introspettiva e la tensione mistica del suo animo lo portarono ad abbracciare intensamente e sinceramente il cristianesimo. Anche se la Quarta, al cospetto delle monumentali sinfonie che compongono il catalogo del compositore, appare labilmente modellata su un vago schema haydniano, altro e più intimo è il significato della forma in cui è iscritta questa musica.
Come si evince dai versi della Vita Celeste e dagli appunti del 1899, è il mito di Sant’Ursula a sottendere all’intera composizione. Naturalmente propenso alle “rivelazioni dell’inconscio”, Mahler  sembra utilizzare, più che il percorso narrativo in sé, l’aspetto archetipico del mito. Lasciando il testo alla fine, sembra spostare sullo sfondo gli elementi superficiali del racconto e voler filare il nettare stesso del mito, l’essenza più profonda di esso. Mahler compone sul conflitto fra Bellezza e Morte, fra le manifestazioni del Bene assoluto e il Male; per simboli inscena il combattimento fra la luce eterna e la tenebra umana.
Narra il mito che Ursula, giovane e bellissima donna dal forte carisma e dalla grande determinazione, figlia di un sovrano bretone, alla guida di undicimila vergini intraprese un lungo pellegrinaggio verso Roma. Arrivata a Colonia rifiutò di sposare Attila, padrone della città, invaghitosi della sua straordinaria bellezza. Ursula, insieme a tutte le undicimila vergini, pagherà con il martirio la decisione di non arrendersi al re pagano.
Con il “classicismo” del primo movimento abbiamo la raffigurazione stessa della purezza, della purezza che rende lontana la chiassosità dolorosa del mondo. Attraverso le danze e i canti popolari del primo tempo, assistiamo alla raffigurazione di un’anima posseduta dalla levità dell’innocenza, dalla dolce leggerezza della grazia divina vissuta in terra. I gesti armoniosi, sereni e limpidi del primo tempo, fanno una descrizione sinfonica precisa e luminosa del cosmo emotivo in cui vibra la scintilla dell’eterno, del cuore innocente che per innocenza non può aver paura di niente.
Solo i sinistri sonagli iniziali saranno d’avvertimento, ma non più che da lontano una risata malvagia e senza forza. Così inizia il primo tempo, con flauti e clarinetti a definire un ambiente sonoro antico e come sfocato nella memoria collettiva, su cui si innesterà il primo tema grazioso esposto dai violini. Così comincia il commovente romanzo agiografico in tre movimenti, a cui verrà apposto un riassunto finale intonato dal soprano.
Al primo tema faranno seguito almeno tre gruppi motivici che fioriranno uno sull’altro nel fitto contrappunto centrale. Contrappunto di variazioni melodiche e strumentali, di sonorità accecanti e preziosismi d’orchestrazione. Lo stile disciplinato di alcuni passaggi ricorda opere fondamentali della tradizione, viene alla mente l’Ottava Sinfonia o la sonata Op. 27 n. 1 di Beethoven, ma è anche possibile incrociare facilmente, fra malcelati echi rossiniani, lo sguardo compostamente malinconico e struggente di Schubert. Dopo lo sviluppo intenso ma sempre cristallino, si chiude il movimento tra piccole fanfare e falsi incendi dei legni giocosi, con gli archi impunemente invadenti o distaccati come discreti spettatori. Una piccola cadenza del corno riporterà per l’ultima volta gli archi al tema iniziale, stretto poi in una chiusa trionfale e festosa.
Il secondo movimento, “L’amica morte comincia a danzare”, così recita un appunto del compositore, si rivela subito come un possibile contrario al movimento precedente. L’orchestrazione sfibrata e vitrea, aderente a melodie ed armonie svilite, difficili ed ermetiche, descrive una forza del male dal volto oscuro ma dal fare malcerto. Un satanasso dantesco più che faustiano, reso inoffensivo dalla virtù che lo umilia e ne smonta la crudeltà, è recitato da un violino accordato un tono sopra, rozzamente fastidioso. I fiati soli o in trecce vaporanti, i trilli all’improvviso come fiamme sospesi in piena notte spaventosi, i colpi argentini dei corni con sordina nonché la scrittura frammentaria in cui è disciolta l’orchestra d’archi, fanno di questa danza lugubre un movimento senza peso, simile ad una nebbia in cui i contorni delle cose sfumano, dove anche le ombre più consuete fanno paura. Una nebbia il male, forse ci dice Mahler, una nebbia in cui per non perdersi occorre il lume dell’innocenza.
Ed è con il terzo movimento, con “il sorriso di Sant’Ursula”, che ogni paura può essere davvero sfatata. Scritto nella forma del Tema e Variazioni, sembra domandarsi quanti possibili siano i significati, quante sfumature nasconda il sorriso della beatitudine. Pietà, perdono, compassione, amore. Se l’ansia dell’eterno appare chiaramente fra le viole, i violoncelli e i bassi che per primi espongono il tema, se i secondi violini, aggiungendosi lentamente, sembrano dare coscienza di un nuovo e più alto cielo, se poi l’oboe di luce si apre in un radioso canto, se i primi violini, dalla vertigine dell’estremo acuto, rifrangono immani lontananze luminescenti, se i celli ed i bassi con l’arpa palpitano sereni come i cuori dei giusti, se il tempo nei rintocchi di fagotto e corno sembra non poter più graffiare sul viso degli uomini, quando i toni gelidi si sfanno in celesti armonie d’organo, quando in ogni glissando degli archi, in ogni accordo acido e notturno degli ottoni con sordina si raggruma la voragine dell’anima crollata in sé al cospetto del sublime, allora forse il ritratto di quel sorriso è compiuto, riuscito. Possibile anche se forse inarrivabile, inaccessibile, e come questa musica, composto d’estenuante distanze.
Le variazioni, che si susseguono candidamente scivolando una nell’altra, sembrano spegnersi nel pianissimo di clarinetti e flauti. E’ il momento, forse, in cui Ursula chiuse gli occhi sul mondo amaro per scoppiare lo sguardo d’improvviso al di là del cielo, nell’oltre in un baleno, come il fortissimo estatico e precipitoso che tutto avvolgerà d’infinita luce. Non c’è silenzio dice Mahler, non c’è silenzio fra noi e il cielo, non c’è frattura, il passaggio è meno, molto meno, di un attimo.
Quando poi gli accordi finali, raccolti appena dall’arpa piovosa ed increspati sul fondo dai contrabbassi pensosi e lenti, diraderanno nell’aria, il silenzio sarà pronto per accogliere la voce umana. Trasfigurata in canto, l’anima del compositore ripercorre il sentiero della grazia e della bellezza, fino alla Gioia. Sembra questa sinfonia, nella vita del compositore, una breve giornata di sole goduta dal fondo di un abisso. Altro saranno le sinfonie che verranno. D’altro parleranno e in altri modi.
Non sapeva Mahler che, con il cuore commosso di fiducia nell’esistenza e dalla speranza di una possibile innocenza, accettare l’invito di Klimt per la cena del 7 novembre 1901, avrebbe cambiato la sua vita. Non sapeva che l’anima illuminata per un giorno solamente corre il rischio di bruciarsi ed ardere di sé. Mahler, come Attila secoli prima, si sedette accanto ad una donna giovane e bellissima, dal forte carisma e dalla grande determinazione, Alma, e se ne innamorò perdutamente.

Das himmlische Leben  (da Des Knaben Wunderhorn)
Wir genießen die himmlischen Freuden,
D’rum tun wir das Irdische meiden.
Kein weltlich’ Getümmel
Hört man nicht im Himmel!
Lebt alles in sanftester Ruh’.
Wir führen ein englisches Leben,
Sind dennoch ganz lustig daneben;
Wir tanzen und springen,
Wir hüpfen und singen,
Sanct Peter im Himmel sieht zu.

Johannes das Lämmlein auslasset,
Der Metzger Herodes d’rauf passet.
Wir führen ein geduldig’s,
Unschuldig’s, geduldig’s,
Ein liebliches Lämmlein zu Tod.
Sanct Lucas den Ochsen tät schlachten
Ohn’ einig’s Bedenken und Achten.
Der Wein kost’ kein Heller
Im himmlischen Keller;
Die Englein, die backen das Brot.

Gut’ Kräuter von allerhand Arten,
Die wachsen im himmlischen Garten,
Gut’ Spargel, Fisolen
Und was wir nur wollen.
Ganze Schüsseln voll sind uns bereit!
Gut’ Äpfel, gut’ Birn’ und gut’ Trauben;
Die Gärtner, die alles erlauben.
Willst Rehbock, willst Hasen,
Auf offener Straßen
Sie laufen herbei!

Sollt’ ein Fasttag etwa kommen,
Alle Fische gleich mit Freuden angeschwommen!
Dort läuft schon Sanct Peter
Mit Netz und mit Köder
Zum himmlischen Weiher hinein.
Sanct Martha die Köchin muß sein.

Kein’ Musik ist ja nicht auf Erden,
Die unsrer verglichen kann werden.
Elftausend Jungfrauen
Zu tanzen sich trauen.
Sanct Ursula selbst dazu lacht.
Kein’ Musik ist ja nicht auf Erden,
Die unsrer verglichen kann werden.
Cäcilia mit ihren Verwandten
Sind treffliche Hofmusikanten!
Die englischen Stimmen
Ermuntern die Sinnen,
Daß alles für Freuden erwacht.

La Vita Celeste

“Noi delle gioie celesti godiamo,
e tutto ciò che è terrestre evitiamo,
Non un eco del frastuono del mondo
Può sentirsi qui in alto nel cielo!
Tutto vive in una pace dolcissima!
Noi viviamo una angelica vita!
Siamo sempre ed in tutto beati!
Danziamo e saltiamo,
balziamo e cantiamo!
San Pietro nel cielo ci guarda!

Giovanni lascia libero l’agnello
Il macellaio Erode osserva attento!
Noi rechiamo un paziente,
innocente e paziente,
grazioso agnellino alla morte!
San Luca manda il bue al macello
Senza darsene troppo pensiero,
il vino non costa niente
nella cantina celeste,
e gli angeli mettono il pane al forno.

Verdura buona di ogni tipo
Cresce qui nel celeste orto!
Ottimi asparagi, fagioli,
e tutto ciò di cui abbiamo bisogno!
Tutti i piatti sono già pieni e pronti!
Belle mele, uva e buone pere
che ci lascia raccogliere il giardiniere!
E se desideri lepri o caprioli,
ecco che quelli dalla strada là fuori,
si precipitano in cucina qui da noi.

E se il giorno di magro dovesse arrivare,
ecco allora i pesci, felici, a galla nuotare!
E San Pietro inizia la pesca
Con l’amo e con l’esca
Nel vivaio celeste.
E Santa Marta dovrà fare la cuoca.

Nessuna musica può ascoltarsi in terra
Che sia paragonabile alla nostra.
Undicimila giovani ragazze
Si fanno coraggio e iniziano le danze!
E perfino Sant’Orsola a ridere incomincia!
Cecilia con tutti i sui parenti
Sono musici di corte davvero eccellenti!
Gli angelici canti
confortano i sensi,
e ogni cosa alla gioia si desta”

Il Cast

Direttore: Antonello Manacorda
Soprano: Lisa Larsson
Orchestra: I Pomeriggi Musicali