Le date
GUIDA ALL’ASCOLTO
di Paolo Castagnone
«Ho sentito cantare un angelo !» [Franz Schubert dopo un concerto di Paganini]
L’arte di Niccolò Paganini è così indissolubilmente intrecciata alla figura del virtuoso sublime, geniale e demoniaco, che da lì conviene partire per cercare di comprendere cosa poterono provare i suoi fortunati ascoltatori. Di certo molti vennero impressionati – e non a torto! – dall’abilità a dir poco prodigiosa di un artista che già nell’aspetto comunicava una inquietante originalità: vestito rigorosamente di nero, con abiti tanto larghi da farlo sembrare ancora più emaciato e consunto di quanto fosse in verità, portava i capelli lunghi e scompigliati attorno al volto pallido e ossuto, con due profonde pieghe sulle guance simili alle effe del suo violino.
Tuttavia gli animi più sensibili seppero scorgere nel suo istrionico virtuosismo il simbolo della capacità dell’uomo di trascendere i propri limiti. Dallo stuolo degli ammiratori si stagliano emblematici i casi di Schumann – il quale risolse di dedicarsi alla musica dopo un suo pirotecnico concerto – e di Franz Liszt, indotto a scrivere gli Studi trascendentali dalla volontà di ricreare sul pianoforte le meraviglie dei Capricci paganiniani. Forse solo in quest’ottica può emergere a tutto tondo la rivoluzionarietà dell’eversivo autodidatta genovese, che già da adolescente non aveva più nulla da imparare da nessuna delle grandi scuole violinistiche europee e faceva emergere delle esigenze del tutto nuove riguardo allo strumento prediletto (ma non dobbiamo dimenticare che egli fu altrettanto straordinario sulla chitarra).
Certo la natura lo dotò di caratteristiche uniche: oltre a una impressionante facilità nell’assimilare le fonti musicali che incontrava sulla sua strada, era dotato di una mano assolutamente particolare. «Era – secondo quanto testimoniò il medico Francesco Bennati – non più grande di quanto deve essere, ma lui la raddoppiava con l’estendibilità di tutte le parti. Così ad esempio imprimeva alle prime falangi della mano sinistra, quelle che toccano le corde, un movimento di flessione naturale, e questo con la più grande facilità, precisione e rapidità». Ne conseguiva la capacità di eseguire accordi di quattro note in posizione lata e di suonare contemporaneamente in diversi registri, così da suscitare in molti modi l’impressione di un duetto.
Il senso del suo virtuosismo trascendente, realizzato nella perfetta fusione tra tecnica e fini comunicativi, è perfettamente inscritto nei Capricci, concepiti entro il 1817 e pubblicati nel 1820 da Ricordi, con una dedica “agli artisti” volta a sottolineare il carattere altamente professionale e serio di una raccolta che venne inizialmente considerata ineseguibile. I brani in essa contenuti sviluppano quasi tutta la gestualità violinistica paganiniana, trasfigurata qui in una varietà di atteggiamenti espressivi davvero innovativi. Ogni capriccio, basato su un materiale tematico molto scarno per lasciare libero sfogo alla fantasia creativa dell’artista, sviscera uno specifico problema strumentale: bicordi, trilli doppi all’unisono, pizzicati con la mano sinistra, colpi d’arco, arpeggi e suoni armonici si susseguono nel preciso intento di ottenere ogni possibile effetto. Il risultato è una sonorità completamente nuova, non soltanto per la spericolata audacia di certi passaggi, ma anche per l’intrinseca capacità di trasformare un complicato concatenamento di accordi in un fremito misterioso che già prelude all’afflato romantico.
L’importanza di queste composizioni per la storia della musica si può dedurre dalla fama che godettero fra le generazioni successive: esse furono fonte di ispirazione per Chopin, Mendelssohn, Liszt, Schumann, Brahms, per giungere sino a Rachmaninov, Dallapiccola e Casella. E qui si colloca anche il singolare progetto compositivo del musicista lituano Giedrius Kuprevichius, che evitando di mutare anche una sola nota del testo originale, ha creato una versione per violino e orchestra del capolavoro di Paganini, dedicando la partitura a Pavel Berman.
«Se le risorse di qualsiasi compositore potessero essere inesauribili, penso che questo sarebbe il caso di Haydn» [Thomas Twining]
Le ultime dodici sinfonie composte da Franz Joseph Haydn – dette “Londinesi” perché scritte durante un soggiorno di lavoro nella capitale britannica – si distaccano in modo evidente dalla restante produzione orchestrale del musicista austriaco, pur essendone il naturale e logico sviluppo. Alla corte degli Esterházy il ruolo di Kapellmeister limitava il suo campo d’azione, mettendo sempre in primo piano la necessità del servitore di soddisfare il principe. A Londra, invece, la situazione improvvisamente venne a mutare: egli si giocava la propria fama di fronte a un pubblico disposto ad acquistare un biglietto d’ingresso purché la musica eseguita ne appagasse pienamente le aspettative. Il risultato è una forma sinfonica di largo respiro, capace di esprimere tutte le molteplici esigenze intellettuali ed emotive dell’uomo nuovo uscito dalla Rivoluzione francese.
Molti di questi elementi innovativi appaiono con grande evidenza nella Sinfonia in sol maggiore n.94, soprannominata “La sorpresa” o “Il colpo di timpani” per un improvviso fortissimo di tutta l’orchestra che esplode inaspettatamente nel secondo movimento. Proprio questo “Andante” esemplifica molto bene la capacità haydniana di celare sotto un’ostentata semplicità soluzioni formali di sorprendente originalità. Poiché la sua impressionante profondità intellettuale è sempre rivestita da una naturale affabilità, apparentemente siamo di fronte a un tema con variazioni di una decoratività del tutto esteriore, secondo la migliore tradizione settecentesca. Al contrario, col suo costante approfondimento dei valori espressivi del tema, la pagina anticipa di un decennio la tecnica dell’elaborazione tematica beethoveniana.
Come è tipico dello stile maturo del musicista austriaco, la partitura è aperta da un “Adagio” di carattere pastorale, che sfocia in un “Vivace assai” che farebbe quasi pensare ad un movimento di danza popolare, se non fosse per la sontuosa veste timbrica e per gli ampi sviluppi sinfonici con cui sono trattati i due temi principali. Il “Menuetto” è una rivisitazione colta del Ländler, una tipica danza rurale che ispirerà celebri pagine sinfoniche a Schubert, Mendelssohn e Bruckner. La festosa letizia e la contadinesca spensieratezza di questo brano sono bilanciate da un delicatissimo Trio, tutto giocato sul timbro dei violini e del fagotto. Il tema del Finale, di un’apparente semplicità popolaresca, è impiegato per creare uno degli effetti maggiormente amati da Haydn: il ritorno a sorpresa. Il trucco consiste nel suggerire una ripresa, ma nel rimandarne la realizzazione a quando l’ascoltatore non se la aspetta ormai più. Questo brillante e gioioso “Allegro molto” è stato evidentemente composto con la mente rivolta a quel pubblico così amante dei giochi strumentali e incline a entusiasmarsi a un improvviso rallentando o a una pausa piena di mistero.
Il Cast
Direttore e violino: Pavel Berman
Orchestra: I Pomeriggi Musicali