Le date
Boccherini: Sinfonia op.12 n.4 La Casa del Diavolo
Rodrigo: Concerto di Aranjuez per chitarra e orchestra
Mendelssohn: Sinfonia n. 5 op. 107 (La Riforma)
Guida all’ascolto
a cura di: Oreste Bossini
Luigi Boccherini, Sinfonia in re minore G 506 “La casa del diavolo”
Mentre era al servizio dell’Infante di Spagna Don Luigi, dopo il 1768, Boccherini scrisse alcuni dei suoi lavori di maggior successo, tra i quali spicca un gruppo di Sinfonie per orchestra. La musica strumentale, verso la metà del Settecento, attraversava una fase di trasformazione, all’interno di una koiné linguistica che coinvolgeva le principali scuole nazionali. Boccherini aveva sperimentato, in questo gruppo di lavori, un tipo di Sinfonia di solido impianto formale, ma ricco di spunti melodici alla maniera italiana. La Sinfonia in re minore G 506 risale al 1771 e prende il titolo dall’idea di dipingere nell’Allegro finale, in forma di ciaccona, i recessi sulfurei degli Inferi. Di qui le violente volate degli archi e le aspre armonie, rese più aggressive da pungenti sforzati. La Sinfonia è divisa in tre movimenti, che in parte provengono da composizioni precedenti. L’Allegro iniziale, per esempio, introdotto da un Andante sostenuto, era in origine una Sonata per pianoforte e violino. Al centro del lavoro si trova un cauto Andantino con moto, in si bemolle maggiore, orchestrato per i soli strumenti ad arco. La musica avanza con circospezione, al passo di un ritmo pulsante a note staccate. Nel Finale, preceduto da un’introduzione che riprende quella del primo movimento, l’estro di Boccherini si scatena in una girandola di situazioni tipiche della musica teatrale, che sin dall’epoca di Monteverdi ha sfruttato le metafore del linguaggio sonoro per evocare le impressioni dell’Inferno.
Joaquín Rodrigo, Concierto de Aranjuez
Nei primi decenni del Novecento la Spagna era diventata la patria della chitarra, con musicisti di prestigio internazionale come Miguel Llobet, Emilio Pujol e Andrès Segovia. Joaquín Rodrigo tuttavia non ne sapeva molto. Lui stesso dichiarò di “non saper suonare quattro note in fila” su questo strumento. Il musicista valenzano, cieco dall’età di tre anni, vantava una formazione più classica. Pratico di violino e di pianoforte, Rodrigo aveva studiato a Parigi, musicologia e composizione con Paul Dukas. Mentre in patria il governo repubblicano cercava di svecchiare le ammuffite istituzioni del paese, il giovane Rodrigo trascorreva gli anni Trenta nei café del Quartiere Latino. Lo scoppio della guerra civile nel 1936 gli impedì di tornare in Spagna fino alla fine del conflitto. Nel 1940 Rodrigo si stabilì a Madrid, trovando un paese ridotto a un deserto culturale. Il rientro tuttavia coincise con il maggiore successo della sua carriera. Il 9 novembre 1940 il chitarrista Regino Sainz de la Maza, accompagnato dall’orchestra diretta da Mendoza Lasalle, tenne a battesimo al Palau de la Musica di Barcelona il Concierto de Aranjeuz. “A essere onesto non so spiegare il suo successo – confessò l’autore al biografo Vicente Vayá Pla – Se lo sapessi, avrei scoperto la panacea”. I successivi tentativi di rinnovare il binomio chitarra-orchestra ottennero esiti assai più modesti. La Fantasia para un Gentilhombre, per esempio, composta per Segovia, non ebbe pari successo. Il grande chitarrista, infatti, offeso dal fatto di non essere stato il primo interprete, non suonò mai Aranjuez. La fama universale del lavoro è dovuta anche a una canzone degli anni Sessanta, Mon amour, scritta sul motivo dell’Adagio. Tradotta in tutto il mondo (in Italia la cantava Fabrizio de André con il titolo Caro amore), la canzone ha generato una lunga serie di metamorfosi, dalle versioni jazzistiche del Modern Quartet e di Miles Davis a trascrizioni Kitsch per i più svariati organici.
Il titolo rende omaggio alla residenza estiva dei Borboni, eretta nel Seicento nei pressi di Madrid e raffigurata anche da Goya e Velázquez. Sulla falsariga di Falla, Rodrigo esprimeva l’incanto dei giardini romantici del Palazzo ricorrendo all’autentica fonte della musica popolare spagnola, la tradizione gitana. L’Allegro con spirito iniziale è una tipica forma di danza flamenca, la seguiriya, che alterna il ritmo di 6/8 a quello di 3/4. La scrittura di Rodrigo risolve in maniera efficace il rapporto tra la gracile voce della chitarra e la sonorità dell’orchestra, trovando un equilibrio a prima vista impossibile. La struttura ricalca la forma tradizionale della sonata, con un secondo tema di carattere più gentile e grazioso, lasciando ampio spazio al solista per esibire la bravura.
La popolarità del concerto ha tuttavia origine nell’Adagio. Rodrigo ha fuso insieme elementi provenienti dal melisma arabo, dalla salmodia ebraica, dal canto liturgico bizantino, dal mondo gitano. L’anima della cultura spagnola trova in questa melodia un’eco profonda, ragione principale della sua forza d’espressione. Il conclusivo Allegro gentile riporta il concerto nella sfera della danza. Il tema principale, esposto dalla chitarra, si sviluppa su un piede ritmico irregolare, alternando una battuta di 3/4 a tre di 2/4. La forma somiglia a quella di un rondo, ma l’elemento più significatvo della pagina è la delicata trama di relazioni tra la chitarra e l’orchestra, che si disperde leggera in una polvere di figurazioni ritmiche. Contrariamente a ciò che si aspetta per convenzione da una musica “spagnola”, il pezzo si chiude senza colorati spargimenti di note. L’ultimo arabesco della chitarra infatti, ormai svincolato dal ritmo di danza, evapora nel silenzio.
Mendelssohn: Sinfonia n. 5 op. 107 “Reformation”
L’immagine convenzionale di Mendelssohn è quella di un artista apollineo e al riparo dai tormenti della creazione. Massimo Mila ha espresso quell’idea nella definizione di “romanticismo felice”. Questa pretesa condizione di serenità classica dovrebbe riflettersi per esempio nella Sinfonia in la maggiore op. 90, detta “Italiana” perché abbozzata durante il viaggio nel nostro paese del 1830/31. Nello stesso periodo Mendelssohn aveva cominciato a scrivere anche altri lavori sinfonici, come la Sinfonia detta Scozzese e quella in onore dei trecento anni della cosiddetta Confessione di Augusta (Reformations-Symphonie). Nessuno di questi lavori convinse l’autore, che rifiutò per ragioni diverse di pubblicare le tre sinfonie. Mendelssohn sviluppò in particolare nei confronti della Sinfonia della Riforma una vera insofferenza e non volle più eseguirla dopo il 1833. La partitura venne pubblicata molti anni dopo la scomparsa di Mendelssohn, nel 1868, ricominciando una vita tutto sommato fiorente nelle sale da concerto. Questa severa autocritica rivela da una parte la serietà artistica del musicista, ma dall’altra una certa tendenza autodistruttiva del suo carattere.
All’inizio tuttavia Mendelssohn non era stato così negativo. Durante il soggiorno a Parigi, nel 1830, tentò di farla eseguire dall’Orchestra del Conservatorio fondata da François-Antoine Habeneck, che in quegli anni era impegnato a far conoscere ai francesi le Sinfonie di Beethoven. Mendelssohn rimase molto deluso dal rifiuto dell’orchestra. La Sinfonia, dopo un paio di prove, sembrò ai musicisti pesante e noiosa, scritta con troppo contrappunto e strumentata in maniera stravagante. Altre delusioni vennero dalla Germania, dove Mendelssohn sperava di far eseguire il lavoro in occasione dell’anniversario della Riforma. Il giudizio severo degli anni successivi, tuttavia, non era legato soltanto a questi brutti ricordi, ma nasceva piuttosto dalla difficoltà di stabilire in maniera soddisfacente dei principi formali nuovi rispetto ai modelli sinfonici di Beethoven. La Sinfonia della Riforma cercava di conferire alla struttura generale un carattere coerente e uniforme, grazie al ritorno ciclico del materiale tematico. Il nucleo espressivo dei primi tre movimenti infatti è formato dal cosiddetto Amen di Dresda, un tema ben noto a tutti i tedeschi, luterani e cattolici. Si tratta di un frammento di scala ascendente che forma un intervallo di quinta. Wagner, per esempio, lo usò in Parsifal come tema del Graal. Sottoposta a varie trasformazioni e inversioni, questa figura conferisce una certa unità alla prima parte della Sinfonia. La partitura è indicata in re maggiore, perché inizia e termina in quella tonalità. La struttura tonale tuttavia presenta un disegno più complesso. Nel primo movimento infatti solo l’introduzione lenta è in re maggiore, mentre la forma sonata vera e propria si sviluppa nella tonalità di re minore. Anche la parte centrale della Sinfonia, formata dall’Allegro vivace e da un accorato Andante, sembrerebbe più in armonia con la tonalità di re minore che con quella di re maggiore. L’Allegro vivace, che rappresenta il tradizionale scherzo, si sviluppa infatti in si bemolle maggiore, mentre il tempo lento sembra esprimere il lato melanconico di questo grande torso centrale, con la tonalità relativa di sol minore. A questa prima parte della Sinfonia si contrappone il Finale, dove compare un altro solido punto di riferimento della musica luterana, il corale “Ein’ feste Burg ist unser Gott”. Forse in questo movimento conclusivo si avverte la difficoltà degli autori successivi a Beethoven di maneggiare le grandi forme della musica. I linguaggi più antichi, come la fuga e il contrappunto, appesantiscono il lavoro senza offrire nuove soluzioni ai processi compositivi, mentre la forza espressiva della prima parte sembra lasciare il posto a una maniera più generica e superficiale.
Il Cast
Direttore: Corrado Rovaris
Chitarra: Emanuele Segre
Orchestra: I Pomeriggi Musicali