Le date
Battistelli: Fair is foul, foul is fair (I° esecuzione italiana)
Thalberg: Concerto per pianoforte e orchestra, op. 5
Schumann: Sinfonia n.4 op.120
Guida all’ascolto:
a cura di:Piero Rattalino
Fair is foul, foul is fair fu composto da Giorgio Battistelli fra il 2008 e il 2009 su commissione del Festival di Edimburgo e fu dedicato alla Scottish Chamber Orchestra; la prima esecuzione ebbe luogo ad Edimburgo il 26 agosto 2009 con la Scottisch Chamber Orchestra diretta da Garry Walker. La partitura, molto suggestiva e coinvolgente, è ispirata ad un mito scozzese, il mito di Macbeth. Nulla, meglio della nota dell’Autore pubblicata nel programma di sala del Festival, può spiegarne le caratteristiche poetiche: Fair is foul, foul is fair, borbottano le tre Sorelle Fatali (le Weird Sisters di nordica ascendenza) incontrandosi all’aperto nella landa deserta. Nell’allitterazione lievita un suono che solleva nel dramma scozzese il senso sinistro dell’ossimoro, dove il brutto e il bello si confondono nello stesso terrore. Il terrore sarà l’emozione dominante nella coscienza dell’usurpatore del regno, Macbeth – che re non sarà mai, ma solo un regidica e un tiranno. Lo stesso suono dalle labbra stregate corre alle labbra di Macbeth, appena entra in scena: è il tema dominante del dramma. Le voci alternandosi si fanno strumento, e attraversano l’orchestra dagli archi ai legni imprimendo nella composizione una dinamicità che accoglie tutti gli echi della tragedia shakespeariana – più veloce, più breve, e più notturna . Intrighi scellerati, complotti ossessivi, una violenza coatta si trasformano in suono offrendo all’ascoltatore un inedito orizzonte di teatro sinfonico.
Nel 1811 l’imperatore Napoleone poteva annunciare al mondo la nascita dell’erede al trono, al quale veniva attribuito il titolo di Re di Roma. Sconfitto a Lipsia, e dichiarato decaduto dal Senato il 2 marzo 1814, Napoleone partì per l’isola d’Elba, trasferendo il titolo imperiale al figlio, Napoleone II. Ma l’ex-imperatrice Maria Luisa, arciduchessa d’Austria, invece di seguire il marito si recò presso il padre a Vienna, portando con sé il piccolo Napoleone II che non sarebbe mai salito sul trono. Il Congresso di Vienna assegnò il Ducato di Parma a Maria Luisa, che nel 1816 prese possesso del suo dominio lasciando a Vienna per sempre il figlioletto. Nel 1818 l’ormai ex-Re di Roma ed ex-Napoleone II venne nominato dal nonno, l’imperatore Francesco I, Duca di Reichstadt. Il napoleonide doveva dunque diventare un principe austriaco. La scelta dell’istitutore adatto a perseguire questo fine politicamente delicatisimo cadde sul conte Moritz Dietrichstein, grande amico di Beethoven. Dopo qualche anno il Conte decise di formare per il Duca di Reichstadt una piccola corte di coetanei, e così, nel 1822, arrivò a Vienna Sigismund Thalberg, nato a Ginevra nel 1812. Sulla nascita di Thalberg continua ad aleggiare un’ombra di mistero. Il certificato di nascita riporta i nomi dei genitori, ma la vox populi disse che Thalberg era in realtà figlio illegittimo del conte Dietrichstein e della baronessa von Wetzlar. Un’altra vox populi ci dice che dal conte e dalla baronessa Thalberg fosse stato adottato. Fatto sta che il ragazzo, cresciuto ed educato con il Duca di Reichstadt, fu destinato all’inizio alla carriera diplomatica. Il manifestarsi del suo talento musicale non sfuggì però al conte Dietrichstein, che era anche compositore e che affidò il ragazzo al miglior insegnante di composizione, Simon Sechter, e al miglior insegnante di pianoforte, Jan Nepomuk Hummel, allora reperibili a Vienna. Nel 1826 Thalberg esordì come pianista in un concerto privato che ebbe probabilmente luogo nel palazzo del principe Metternich. Il 3 aprile 1830 tenne uno… strombazzatissimo concerto, sempre privato, nel salone dei principe Schwarzenberg, improvvisando su temi suggeriti dagli illustrissimi ospiti ed eseguendo il secondo e il terzo movimento del suo Concerto op. 5. Subito dopo partì per una tournée di concerti in Germania. Fino a quel momento Thalberg si era presentato come gentiluomo dilettante di musica. Nella stagione 1830/31 ebbe luogo il suo esordio da professionista, sempre a Vienna e con l’intero Concerto op. 5. Il caso volle che a Vienna fosse arrivato alla fine di novembre del 1830 Fryderyk Chopin, che andava avventurosamente alla ricerca del successo senza avere alle spalle nessun uomo di panza. I due giovani pianisti fecero ben presto conoscenza e il 26 dicembre, scrivendo ad un amico, Chopin disse: Sebbene suoni molto bene, Thalberg non è il uomo. È più giovane di me, piace molto alle signore e fa dei pot-pourris sulla Muta di Portici [di Auber]. Fa il piano con il pedale, non con le mani, prende dieci tasti come io ne prendo otto e usa dei bottoni da camicia di diamanti. Moscheles non lo stupisce, e va da sé che gli piacciono solo i tutti dei miei concerti. Scrive concerti anche lui.
Questo crudo giudizio non impedì a Chopin di frequentare Thalberg durante il suo soggiorno a Vienna. Ma mentre l’esordio professionale di Thalberg fu un trionfo megagalattico, Chopin riuscì a suonare nella capitale austriaca una volta sola, gratutamente e in una serata a beneficio di un ballerino. Per avere un’idea di quale fosse fino alla metà del secolo la fama rispettiva di Chopin e di Thalberg basta del resto dire che a Londra nella primavera del 1848 il primo riuscì a tenere due soli concerti retribuiti, in palazzi privati, mentre il secondo tenne dodici pagatissimi concerti in teatro. Allievo di Hummel, nel Concerto op. 5 scritto all’età di diciott’anni Thalberg prende come modello il suo maestro, che con Moscheles era stato il creatore del concerto Biedermeier. Il concerto Biedermeier fonde stilemi della tradizione viennese classica e dell’opera italiana ed è una spettacolare macchina teatrale che si rivolge ad un pubblico nuovo, un pubblico in formazione che dal teatro fluisce lentamente verso la musica orchestrale. Questo processo socioculturale avrà il suo sbocco dopo la metà del secolo, quando verranno fondate le orchestre sinfoniche stabili e verranno programmate regolari stagioni di concerti. Fino a quel momento sono gli stessi concertisti che organizzano in proprio le loro apparizioni in pubblico, assumendone tutti i rischi. Per limitare i costi delle prove viene sviluppato all’estremo l’aspetto virtuosistico della scrittura pianistica e l’orchestra viene impegnata solo nei raccordi fra le varie sezioni architettoniche e in funzioni di “accompagnamento”. Proprio per questo motivo il concerto Biedermeier, privandole del coprotagonismo, non soddisferà più nella seconda metà del secolo le orchestre stabili e verrà radiato dal repertorio. Ma nella prima metà dell’Ottocento il concerto Biedermeier svolge una funzione essenziale nella trasformazione del costume musicale. A Vienna, nella primavera del 1831, Chopin annotava nel suo diario una frase angosciante: “Non so cosa mi manca e ho già più di vent’anni”. Nel 1848 avrebbe scritto ad un amico: “Per il pubblico borghese ci vuole qualcosa di straordinario e di meccanico, che io non posseggo”. Il qualcosa di straordinario e di meccanico lo possedeva fin dall’adolescenza Thalberg, e il suo Concerto op. 5 ce ne dà la dimostrazione palmare. Primo movimento drammatico con impiego di ritmi di marcia, secondo movimento lirico, meditativo, sognante, terzo movimento festoso. Non c’è bisogno di un grande sforzo per veder spuntare nella musica di Thalberg le silhouette di Mercadante e di Pacini. Ci si aspetta ad ogni momento che sbuchino fra le note una qualche Donna Caritea o una qualche Niobe. Ma non bisogna dimenticare che Thalberg aveva diciott’anni e che, appoggiandosi a modelli stilistici allora di sicuro successo, sapeva poi manovrare i tasti del pianoforte in modo straordinario e meccanico, sebbene non avesse ancora inventato l’effetto del “suonare con tre mani” che lo avrebbe fatto passare come protagonista alla storia del virtuosismo. Straordinario, cioè stupefacente. Ma meccanico – il lettore perdoni la precisazione – non significa inumano e idiota: meccanico, piuttosto, nel senso di ginnico, come nei “passi” del balletto. Particolare singolare: il primo movimento del Concerto op. 5 contiene la Cadenza, che manca di norma nel concerto Biedermeier (manca ad esempio nei Concerti di Chopin).
Come mi è già capitato altre volte in occasioni simili a questa, la necessità di illustrare con una certa ampieza un autore ed una composizione praticamente ignoti mi ha indotto a consumare un gran parte dello spazio a disposizione. Poche parole basteranno comunque per la Sinfonia n. 4 di Schumann, che del repertorio sinfonico romantico è una delle punte eminenti. Schumann la compose nell’autunno del 1841, in quattro movimenti collegati; la prima esecuzione ebbe luogo a Lipsia il 6 dicembre dello stesso anno. Il successo fu un po’ contrastato, e Schumann non diede per il momento alle stampe la partitura. La riprese in mano alla fine del 1851, probabilmente con l’intenzione di pubblicarne la riduzione per pianoforte. Dal 3 all’11 dicembre trascrisse la composizione, ma trascrivendola la modificò in così tanti particolari che decise di riorchestrarla. Il lavoro fu compiuto entro il 19 e la prima esecuzione della nuova versione ebbe luogo a Düsseldorf il 3 marzo 1853, con successo pieno. Dal punto di vista compositivo la Sinfonia n. 4 è opera dello Schumann che nel 1841 aveva cominciato ad affrontare l’orchestra dopo aver esplorato a fondo il pianoforte e il Lied, non dello Schumann più tardo. La dialettica classica del gioco dei temi è ancora estranea alla poetica di Schumann, che nella Sinfonia n. 4 basa tutta la costruzione su due nuclei tematici esposti nella Introduzione del primo movimento. In questo senso la Sinfonia apre nel 1841 una prospettiva verso la tecnica del Liszt maturo e di Franck. La versione del 1853 rende più logica l’architettura, appesantendo la strumentazione. Per questa ragione Brahms, in contrasto con l’opinione di Clara Schumann, pubblicò la prima versione, che riteneva più autenticamente rappresentativa.
Il Cast
Direttore: Giordano Bellincampi
Pianoforte: Hélène Couvert
Orchestra: I Pomeriggi Musicali