Cristian Carrara (1977)
Festa! (prima esecuzione assoluta, commissione dei Pomeriggi Musicali)
Heitor Villa-Lobos (1887 – 1959)
Concerto per armonica e orchestra W524 (versione per fisarmonica)
Gioachino Rossini (1792 – 1868)
Ouverture da L’italiana in Algeri
Georges Bizet (1838 – 1875)
Sinfonia in Do maggiore
direttore Alessandro Bonato
fisarmonica Samuele Telari
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Biglietteria
Prezzi dei singoli biglietti
Intero
Posto unico € 10,00 + prevendita
Ridotto (under30, over60)
Posto unico € 8,00 + prevendita
Note di sala
Composte nell’ampio arco di due secoli, le pagine oggi in programma sono tutte musica nuova: conferiscono loro il sigillo della novità, rispettivamente, il proporsi in prima esecuzione assoluta, l’impiegare uno strumento inconsueto per la tradizione sinfonica, essere il parto di compositori all’inizio delle rispettive carriere. Apre il concerto la novità dedicata agli 80 anni dei Pomeriggi Musicali. Intitolata appropriatamente Festa!, appartiene al genere di brillanti lavori d’occasione che mirano a cogliere in una sintesi sonora efficace lo stato d’animo felice di una celebrazione importante, un giro di boa che porta con sé la bellezza dell’attività trascorsa e la promessa di quella che verrà. Altrettanto opportunamente ci si affida alla cifra d’un dinamismo effervescente, risalente per li rami all’inventiva travolgente del più maturo Prokof’ev e scevro di qualsiasi retorica solennità, mette in risalto la felicità nel far musica dell’orchestra (d’altra parte, non è forse la sua festa?), esaltata nel suo côté più brillante e luminoso, sin dall’avvio capitanato dagli archi. Autore di questa miniatura è il friulano Cristian Carrara, classe 1977. Pubblicato da Sonzogno, docente di composizione al Conservatorio di Udine e direttore artistico della Fondazione Pergolesi Spontini, Carrara è di casa come autore all’Accademia di Santa Cecilia come al Maggio Musicale, vanta sette registrazioni discografiche, ha collaborato con compagini di assoluto spicco come la London Philharmonic o i Berliner Symphoniker, così come con interpreti di rilievo. Versato nella musica sinfonica, ha al suo attivo lavori concertanti e per orchestra, e numerose produzioni operistiche. Tra le più recenti, Voci da Hebron, di scottante attualità, andata in scena nel febbraio 2024 a Metz e a Modena, ma anche l’opera buffa La benedizione, pendant del Gianni Schicchi pucciniano, in scena al Coccia di Novara lo scorso ottobre. Il linguaggio di Carrara, frutto di quella che Giorgio Battistelli ha opportunamente definito una «grande facilità di scrittura», è caratterizzato da una considerevole chiarezza espressiva e di pensiero.
Sebbene non più fresco d’inchiostro, il Concerto di Heitor Villa-Lobos può vantare il merito della novità nello strumento cui è dedicato. Se del tutto peregrino è l’impiego in orchestra dello strumento per cui nacque – l’armonica, strumento di tradizione popolare! – non meno inconsueto risulta quello protagonista della versione che ascolteremo oggi, la fisarmonica. La genesi del lavoro risale a una commissione da parte dell’armonicista John Sebastian (1914-1980), musicista di origine italiana (lasciò cadere il cognome originario, Pugliese), virtuoso di fama internazionale cui molti compositori, tra cui il nostro Luciano Chailly e il russo Aleksandr Čerepnin, dedicarono loro lavori. Villa-Lobos compose nel 1955-56, nella sua ultima stagione creativa, il proprio concerto, che fu possibile ascoltare a Gerusalemme, nell’interpretazione del committente-dedicatario, il 27 ottobre 1959, appena tre settimane prima della scomparsa del suo auytor. Una partitura ancora oggi di raro ascolto, spesso nella versione per fisarmonica. L’ascoltatore sarà subito catturato dalla fascinazione timbrica molto debussiana (è nota d’altra parte l’influenza del francese, che Villa-Lobos ebbe modo di frequentare a Rio, e dei suoi connazionali sul compositore brasiliano, circostanza che attirò a quest’ultimo il soprannome di «debussysta zangado», cioè arrabbiato), già dalla scrittura orchestrale, cui aggiunge ulteriore seduzione la voce della fisarmonica, che con l’orchestra ingaggia un dialogo complice sostanziato di indugi e ripartenze. Di schietta marca elegiaca è l’ampio, malinconico Andante che compete per estensione con l’Allegro moderato d’apertura. Stabilisce il definitivo tono alacre ma non propriamente festoso, l’Allegro conclusivo.
La splendida Sinfonia dell’Italiana in Algeri risale ancora all’età napoleonica: la si ascoltò per la prima volta al Teatro S. Benedetto di Venezia il 22 maggio 1813, l’anno che impose il genio ventunenne all’attenzione universale. Come di norma bipartita tra un Andante introduttivo e un Allegro principale, si apre sull’understatement indubbiamente ironico del pizzicato in piano di tutti gli archi, contraddetto dall’accordo in sforzando a piena orchestra e dalla melodia sorniona dell’oboe, protagonista con il flauto di una sinfonia in cui l’apporto dei legni è fondamentale. Il piatto forte è però l’Allegro, forma sonata senza sviluppo che esplode con sfacciata energia dal sapore bandistico, per ospitare una delle prime apparizioni della macchina formidabile del crescendo che man mano coinvolge irresistibilmente l’intera orchestra.
Non alla tarda maturità, bensì quasi all’adolescenza del suo autore andrà invece riferita la Sinfonia in Do maggiore che Bizet compose a Parigi nell’autunno 1855, all’indomani del diciassettesimo compleanno e pochi mesi dopo la “prima” all’Opéra dei Vespri siciliani di Verdi. Da due anni è allievo di Jacques-François-Fromental-Élie Halévy, che lo raccomanda all’Opéra-Comique; l’anno della Sinfonia riceve il pri mo premio per l’organo e per la fuga, e forse compone anche l’Ouverture in La minore/maggiore. Rimasto inedito e ignoto fino al 1935, il lavoro nulla ha dell’esercizio in un sinfonismo che Bizet percepiva come poco congeniale: è piuttosto un gioiello di romanticismo aurorale, d’un protoromanticismo ignaro di tensioni insolubili, ingenuo in senso schilleriano: una “voce” che potrà ricordare quella di Schubert, con cui non ha relazioni se non, fondamentale, la derivazione dai classici. La frequentazione con Haydn, Mozart e Beethoven è evidente nel primo movimento, un condensato d’energia caratterizzato da un tema perentorio dominato da una formula ritmica poi pervasiva (alla Beethoven, tre note appena), che assicura uno slancio controbilancia to dall’alata cantabilità del secondo tema. Dal suggestivo, indugiante avvio dell’Adagio sboccia la melopea dell’oboe, le cui inflessioni esotiche lasciano brevemente il campo a un più franco élan romantico, prima che s’inneschi un fugato a quattro voci su un soggetto scherzoso, parente nel profilo melodico del primo tema dell’Allegro vivo d’apertura. Si apprezzi, nella mirabile ingegneria di questa costruzione equilibratissima, l’adozione di strategie che compensino la tensione verso quel parossismo energetico che infiammerà la Carmen vent’anni esatti più tardi: andranno interpretate in questo senso la presenza, nello Scherzo, di un’ampia melodia ai violini da eseguirsi piano con molta espressione; il pesante bordone di viole e violoncelli su cui il clarinetto, il corno e poi l’oboe intrecciano un rustico Ländler nel Trio dello stesso Scherzo; infine, l’affiorare, in quel meccanismo a tamburo battente che è l’Allegro vivace conclusivo, d’un tema cantabile dall’afflato lirico.
Raffeale Mellace