Leonard Bernstein (1918 – 1990)
West Side Story Suite per sassofono e orchestra sinfonica
Ennio Morricone (1928 – 2020)
Musiche da Film per orchestra sinfonica
Nino Rota (1911 – 1979)
Musical Portrait per sassofono e orchestra sinfonica
Arrangiamenti di Roberto Granata
direttore e sassofono Federico Mondelci
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Biglietteria
Prezzi dei singoli biglietti
Intero
Posto unico € 10,00 + prevendita
Ridotto (under30, over60)
Posto unico € 8,00 + prevendita
Note di sala
Il sassofono, il cinema, un trio di musicisti formidabili del secondo Novecento: ingredienti d’un programma che volta pagina rispetto alla programmazione consueta, per adottare il linguaggio della modernità nella sua accezione più accattivante e seducente. Programma che, sotto il cappello del grande schermo per cui queste musiche vennero concepite o riprese, unisce le due sponde dell’Atlantico. Lo fa all’insegna d’uno strumento tra i più giovani in orchestra, il sassofono, inventato da Adolphe Sax nel 1846 per fornire alle bande militari una voce di registro medio e di cospicua intensità. Il risultato superò le aspettative, con uno strumento estremamente versatile, in grado di spaziare nella vasta gamma espressiva tra brillante agilità acrobatica e un suadente timbro malinconico solo suo. Il sassofono s’impose nella musica da ballo e nel jazz, e i compositori, da Berlioz in avanti, Stravinskij e Schönberg inclusi, non cessarono di sfruttarlo in orchestra.
Il percorso odierno non inizia al cinema, bensì in teatro, al National Theatre di Washington, dove il 19 agosto 1957 debuttò West Side Story, un musical in piena regola, benché meglio e universalmente noto per la pellicola del 1961 di Robert Wise e Jerome Robbins. In questo capolavoro, freschissimo nonostante quasi 70 anni, Leonard Bernstein ambientò nel West Side newyorchese la sua riedizione contemporanea della vicenda intramontabile di Romeo e Giulietta. Il grande musicista statunitense utilizza danze e songs del crogiuolo americano per dar vita alla tragedia dell’amore reso impossibile dai conflitti etnici in un milieu sociale degradato. La Suite per sassofono e orchestra realizzata da Roberto Granata riprende una dozzina di luoghi celeberrimi del musical, restituendone gli elementi capitali, testimoniando al contempo l’eccentrica collocazione del capolavoro d’un Bernstein sospeso tra contemporaneità a tradizione, jazz, musica latino-americana, lirismo operistico e vena liederistica schubertiana. Cuore della suite sono le memorabili pagine romantiche (“Maria”, “Tonight”, “Somewhere”) che trasferiscono l’incanto del balcone veronese alle scale antincendio dei sobborghi di New York. Luoghi musicali che corrispondono a paesaggi dell’anima e costellano il romanzo di Tony e Maria col lirismo acceso del song “Maria”, raggiungono il culmine dell’entusiasmo in “Tonight”, si sporgono sull’utopia d’una felicità irrealizzabile in “Somewhere”. Il viaggio attraverso West Side Story non può eludere “America”, vivace ritratto folkloristico della comunità portoricana di New York, puro tocco di colore locale, per quanto gli immigrati che vi si videro ritratti la trovassero eccessivamente oleografica.
Alla sala cinematografica ci conduce invece direttamente la Film Suite d’un Ennio Morricone la cui popolarità, da metà anni Ottanta e oltre l’ancora recente scomparsa, non è mai scemata. Protagonista d’una parabola tra le più originali e feconde del panorama musicale contemporaneo, allievo di Petrassi, affiliato all’avanguardia di Nuova Consonanza e sempre disponibile a progetti di valenza civile, ha sempre perseguito una scrittura sofisticata e consapevole, sintesi di prosa e poesia, raffinato e plebeo, un linguaggio proprio dalle soluzioni immediate e quanto originali, «in cui il bisogno di comunicare e la ricerca compositiva riescono a coesistere senza mistificazioni», per dirla con Sergio Miceli. Morricone mette a punto un linguaggio riconoscibile ed efficacissimo, basato sulla suprema economia del materiale tematico, convinto com’era che la musica da cinema rischia di diventare “musica di consumo” solo «se il compositore non mette dentro […] qualcosa di più». E non è certo il caso delle invenzioni evocative, raffinate, spesso intimistiche, richiamate alla memoria dall’antologia in programma, che copre l’ultimo ventennio del secolo scorso: motivi dai grandi successi internazionali come gli Intoccabili (1987) di Brian De Palma, che gli fruttarono un Grammy Award, un Nastro d’argento, un Bafta e la nomination agli Oscar; Nuovo Cinema Paradiso (1988), titolo inaugurale della collaborazione con Giuseppe Tornatore, David di Donatello, Bafta e Prix Fondation Sacem a Cannes; ancor prima lo sceneggiato televisivo Rai Marco Polo (1982 83) di Giuliano Montaldo, frutto di decenni di maturazione tecnica e stilistica; infine, la Leggenda del pianista sull’Oceano (1998), sempre di Tornatore – che nel 2021 si sarebbe sdebitato con il maestro attraverso il monumentale e pluripremiato documentario Ennio –, Nastro d’argento e David di Donatello.
Chiude il programma un ritratto di Nino Rota, realizzato con la musica di sei formidabili colonne sonore, a coprire quasi tre lustri di attività del grande compositore milanese, dal 1960 della Dolce vita al 1973 di Amarcord. I due titoli estremi si riferiscono, con 8 ½ e persino il documentario per la tv I clowns, al fecondo sodalizio quasi trentennale con Federico Fellini, che ha fruttato 17 pellicole sulle oltre 150 realizzate da Rota. Nelle sue colonne sonore Rota s’impose per una propria cifra stilistica inconfondibile, tramite la leggerezza, la levità dei sogni, le folgoranti, sconcertanti epifanie di gesti musicali (melodie ampie, temi icastici, semplici motivetti) d’una bellezza inattesa, pregnante, intensamente suggestiva. Per questo la musica dell’«amico magico» contribuisce in maniera determinante nel caratterizzare l’atmosfera di tanti capolavori di Fellini. Alle immagini felliniane, di cui Rota condivide pienamente l’estetica, il compositore prestò una voce che mescola clownerie e malinconia, echi dei mondi della banda e del circo con un languore, peraltro assai adatto alla voce del sassofono; il tutto con un’immediatezza pop, un candore per cui vale ancora un’annotazione di Fedele D’Amico: «La gente crede di scandalizzarsi perché trova nella sua [di Rota] musica relazioni tonali sempre esplicite, simmetrie melodiche fondate sulle canoniche otto battute, eccetera; ma si sbaglia: lo scandalo è che cose del genere siano ammesse nella sua partitura come naturali, invece di essere messe tra virgolette». Il potpourri odierno accoglie musica da altri due (formidabili) titoli non felliniani: Il padrino di Francis Ford Coppola e Il gattopardo di Luchino Visconti, che trasfigurando, anche tramite le note d’un allora inedito valzer verdiano, la Sicilia risorgimentale del romanzo di Tomasi di Lampedusa, offre un insospettabile contraltare al contemporaneo, felliniano 8 ½, geniale omaggio a due registi e ai loro rispettivi progetti che difficilmente si potrebbero immaginare più distanti.
Raffaele Mellace